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sabato 2 aprile 2016

Libia: risiko libico, al Serraj a Tripoli, Ghwell a Misurata, Renzi da Obama

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 02/04/2016

Mentre Renzi a Washington inganna il tempo, negli a margine del Vertice sulla sicurezza nucleare e contro il terrorismo, e in attesa dell’incontro con Obama, affrontando le due priorità del momento, le gemelle della trivella Guidi e Boschi, Alaeddin Tantush, un giovane libico formatosi in Italia all’ ‘Università della Pace’, e che lavora a Tripoli per una Ong, OneLybia, dice via Skype a una platea di coetanei: “Non sono affatto sicuro che una missione internazionale in Libia migliorerebbe qui la situazione, anzi forse la peggiorerebbe”. Fra il pubblico che l’ascolta, c’è il presidente della Commissione Esteri del Senato Pier Ferdinando Casini, che subito dopo si dichiara “assolutamente contrario a una spedizione militare tradizionale in Libia, che servirebbe solo a coagularci contro tutti i libici”.

Il cooperante e il politico, dunque, la pensano allo stesso modo. E come la pensa Obama, Renzi già lo sa, prima di mettere piede nello Studio Ovale: giovedì sera, dopo avere incontrato il francese Hollande, in una pausa del Vertice da lui convocato, il presidente Usa ha prospettato il tentativo di “solidificare una struttura – il nuovo governo di unità nazionale, ndr – che impedisca al sedicente Stato islamico di utilizzare quel territorio come una propria roccaforte”. Cioè, gli Usa guardano alla Libia solo in funzione anti-Califfo. Del resto, petrolio e gas compresi, che non sono roba loro, a loro importa poco. Al massimo, per compiacere gli alleati, tengono conto della questione dei migranti.

Hollande gli ha fatto eco con accenti più bellici, chiedendo alla comunità internazionale, che poi sarebbero gli europei, visto che gli americani ci mettono al massimo aerei e droni, oltre alle bombe, e che gli arabi proteggono ciascuno la sua fazione, di essere pronta ad aiutare “anche militarmente” il nuovo governo, se ne dovesse giungere richiesta. E Renzi, più prudentemente, esorta a “sostenere tutti insieme lo sforzo del Governo di al-Serraj, finalmente a Tripoli" – specificando che ciò non vuol dire bombardare -.

A Tripoli, non c’è più invece un nemico di al Serraj, il premier 'ribelle' Khalifa Ghwell, che, appena saputo che il Consiglio dei Ministri dell’Ue aveva messo il suo nome nella lista delle sanzioni, ha prudentemente deciso di lasciare la captale e spostarsi a Misurata, sua città natale, la cui milizia è particolarmente agguerrita.

Con Ghwell, determinatosi a partire dopo un incontro con i capi tribù di Misurata, giovedì sera, avrebbero lasciato Tripoli anche diversi ministri. Gli anziani di Misurata hanno inoltre disposto che i manifestanti anti – al Serraj di piazza dei Martiri si ritirassero. E il presidente del Parlamento vicino ai miliziani filo-islamici di Alba Libica, Nouri Abu Sahimin, sarebbe tornato nella sua città, la berbera Zuwara, a ovest di Tripoli (smorzando i toni anti - al Serraj).

Cresce il sostegno al governo di unità nazionale e al premier al Serraj. Renzi sottolinea che “ l'Italia gli sta dando tutto il supporto necessario" per centrare l’obiettivo, cioè “la stabilizzazione del Paese e potenzialmente della Regione". Le richieste che arrivano, di primo acchito, sono ragionevoli: “Dateci soldi, non assistenza militare”.

Il premier designato, però, non deve sentirsi sicurissimo neppure lui, se rimane nella sede in cui s’è provvisoriamente installato, nella base navale d’Abusetta, dove ha avuto una fitta serie d’incontri: coi sindaci di 13 municipi della capitale, i responsabili dei pozzi di petrolio nell’area, il governatore della Banca centrale libica Saddek Elkaber. Lo sceicco Sadeq al-Ghariani, l'ex Gran Muftì, non l’ha invece voluto vedere, insistendo che o se ne va o "ci sono armi in ogni casa". La Lega degli Ulema ha però criticato le parole di al-Ghariani.

Anche i rappresentanti di dieci città situate a ovest di Tripoli, tra la capitale e la frontiera tunisina, hanno deciso di sostenere il nuovo governo. Fra queste c’è Sabrata, che ha gli jihadisti alle porte, quando non vi entrano, e che ha già dato prova della sua relativa affidabilità nella vicenda dei quattro ostaggi italiani, due uccisi e due liberati.

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