Scritto per Il Fatto Quotidiano del 20/04/2016
Alleato che vai, grana che trovi: o devi prendere posizione l’uno contro l’altro, stile il vecchio di cui ti fidi da sempre contro il nuovo appena ritrovato – leggi, Arabia saudita e Iran -; o, addirittura, s’aspettano che tu entri nelle loro beghe interne, dirima guerre di successione camuffate da scelte fra linee politiche; senza contare che, quando si tratta di rispetto dei valori e dei diritti, c’è da turarsi il naso spesso, per non sentire puzza di marcio intorno.
La missione che Barack Obama s’appresta a fare in Arabia saudita avviene sotto tutti questi brutti auspici. Secondo il Financial Times, cade nel pieno di una faida dentro la famiglia reale sul diritto di successione a re Salman, per altro insediatosi al potere da poco tempo – il 23 gennaio 2015 - e, per di più, relativamente giovane, per gli standard sauditi – ha 80 anni -.
E, inoltre, capita mentre l'intelligence statunitense sta rivalutando un dossier di 28 pagine, dove si fanno congetture sul ruolo dell’Arabia saudita negli attacchi all'America dell’11 Settembre 2015 (15 dei 19 dirottatori erano sauditi). Del resto, gli Stati Uniti hanno ormai fatto l’abitudine a che, nella guerra al terrorismo, gli alleati siano spesso doppiogiochisti: oltre che turarti il naso, scegli di bendarti gli occhi, magari vedendo solo affari commerciali ed interessi economici.
La guerra di successione saudita – Nella ricostruzione del quotidiano economico, il fallimento dell’incontro a Doha fra i grandi produttori di petrolio testimonia la scalata al potere in corso a Riad da parte di Mohammed bin Salman, vice-principe appena trentenne, figlio prediletto del sovrano.
Nel Qatar, non sono stati fatti progressi sul congelamento della produzione di petrolio per tenere su i prezzi, mai così bassi: ‘colpa’ di Mohamed, che non era l’, ma che è intervenuto con mano pesante sulla delegazione saudita.
Domenica, i maggiori produttori mondiali dovevano negoziare la prima intesa in 15 anni sui livelli d’estrazione mondiale: i prezzi bassi danneggiano tutti i Paesi esportatori, ma soprattutto l’Iran, che conta sulla ripresa dell’export dopo la fine delle sanzioni per rilanciare l’economia, e la Russia, che, colpita dalle sanzioni per la crisi ucraina, ha visto crollare gli incassi energetici. E Riad è nemica di Teheran e non è amica di Mosca.
La trattativa è naufragata prima di iniziare perché, alle 3 del mattino, il principe saudita ha chiamato la delegazione saudita, dettando la linea: congelamento della produzione solo se pure l’Iran ci stava; se no, tutti a casa con un nulla di fatto. L’episodio conferma che Ali al-Naimi, tecnocrate da 21 anni alla guida del ministero del Petrolio saudita, propenso all'accordo, ha un ruolo ormai modesto. E alimenta le voci sulla nomina di Mohammed a nuovo principe della Corona, successore al trono designato. Che i figlio del re abbia ormai scavalcato nella gerarchia del potere il principe Mohammed bin Nayef, 56 anni, era già stato ipotizzato quando il monarca si presentò a Washington in visita con lui al fianco.
La sfida (quasi) aperta tra aspiranti al trono saudita è inusuale, perché la questione della successione è sempre stata avvolta da grande riserbo. Mohammed s’è ritagliato una fetta di potere enorme dopo l'ascesa al trono del padre: dirige il ministero della Difesa – e ha ordinato la guerra dello Yemen, che non è stata un successo - e guida il consiglio degli Affari economici, dove prepara la transizione del Paese verso un’economia post-petrolifera. Per Mohammed, la politica energetica diventa così strumento di politica estera: il petrolio è un’arma da usare contro l’Iran.
Le 28 pagine dell’intelligence Usa – Il documento che proverebbe un ruolo dei sauditi a sostegno degli attentatori dell’11 Settembre 2001 è noto all'Amministrazione statunitense dal 2002: si tratta di 28 pagine su 838 complessive, da allora sempre tenute segrete. Ma senatori e deputati possono accedervi e da loro è ora partita una spinta a renderlo pubblico: l’intelligence sta valutando se farlo.
Certo, non avverrà in coincidenza con la visita di Obama a Riad. La questione s’intreccia all'iter d’una legge, approvata all'unanimità dalla commissione Giustizia del Senato, che permetterebbe alle famiglie delle vittime degli attentati di fare causa al governo saudita. Il presidente vi s’oppone perché, "se apriamo alla possibilità che singoli individui negli Stati Uniti facciano causa a governi, allora dobbiamo anche aprire alla possibilità che singoli individui di altri Paesi ci facciano causa".
Certo, non avverrà in coincidenza con la visita di Obama a Riad. La questione s’intreccia all'iter d’una legge, approvata all'unanimità dalla commissione Giustizia del Senato, che permetterebbe alle famiglie delle vittime degli attentati di fare causa al governo saudita. Il presidente vi s’oppone perché, "se apriamo alla possibilità che singoli individui negli Stati Uniti facciano causa a governi, allora dobbiamo anche aprire alla possibilità che singoli individui di altri Paesi ci facciano causa".
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