2015/03/12 - Dopo l’invito del Congresso al premier israeliano Benjamin Netanyahu, ora la lettera al regime di Teheran di 47 senatori repubblicani –solo una manciata non l’hanno firmata-. L’opposizione conservatrice all’Amministrazione democratica del presidente Obama ha ormai ‘esportato’ la campagna elettorale in politica estera: una scelta che contrasta con il carattere tradizionalmente bypartisan delle posizioni internazionali degli Stati Uniti e fa infuriare, e contestualmente imbarazza, la Casa Bianca. Che denuncia le iniziative nella forma e nella sostanza. L’invito del Congresso a Netanyahu, che la scorsa settimana non venne ricevuto da Obama e neppure vide il vice Biden, in missione all’estero, era stata giudicata un inopportuno assist repubblicano alla campagna del leader del Likud nell’imminenza del voto in Israele –martedì 17- e un siluro contro la conclusione dei negoziati con l’Iran sul nucleare. La lettera che mette in guardia Teheran sul fatto che l’Amministrazione non avrebbe il potere di concludere accordi internazionali viene contestata con tanto di dettami costituzionali e precedenti storici, il più importante dei quali è repubblicano: l’apertura di Nixon alla Cina. Ma è ormai chiaro che il clima di confronto e la partita dei veti che s’è aperta sulla politica interna contagiano la politica estera: pesano le presidenziali 2016, dove i repubblicani non hanno –ancora?- un candidato forte e credibile, mentre i democratici sembrano relativamente compatti dietro Hillary Clinton, uscita per ora indenne dalle trappole tesele, più dai suoi che dagli avversari per, per azzopparla, aspettano l’ultimo miglio della campagna vera e propria. (gp)
mercoledì 11 marzo 2015
Usa 2016: dopo Israele l’Iran, lo scontro è (anche) in politica estera
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu l'11/03/2015
2015/03/12 - Dopo l’invito del Congresso al premier israeliano Benjamin Netanyahu, ora la lettera al regime di Teheran di 47 senatori repubblicani –solo una manciata non l’hanno firmata-. L’opposizione conservatrice all’Amministrazione democratica del presidente Obama ha ormai ‘esportato’ la campagna elettorale in politica estera: una scelta che contrasta con il carattere tradizionalmente bypartisan delle posizioni internazionali degli Stati Uniti e fa infuriare, e contestualmente imbarazza, la Casa Bianca. Che denuncia le iniziative nella forma e nella sostanza. L’invito del Congresso a Netanyahu, che la scorsa settimana non venne ricevuto da Obama e neppure vide il vice Biden, in missione all’estero, era stata giudicata un inopportuno assist repubblicano alla campagna del leader del Likud nell’imminenza del voto in Israele –martedì 17- e un siluro contro la conclusione dei negoziati con l’Iran sul nucleare. La lettera che mette in guardia Teheran sul fatto che l’Amministrazione non avrebbe il potere di concludere accordi internazionali viene contestata con tanto di dettami costituzionali e precedenti storici, il più importante dei quali è repubblicano: l’apertura di Nixon alla Cina. Ma è ormai chiaro che il clima di confronto e la partita dei veti che s’è aperta sulla politica interna contagiano la politica estera: pesano le presidenziali 2016, dove i repubblicani non hanno –ancora?- un candidato forte e credibile, mentre i democratici sembrano relativamente compatti dietro Hillary Clinton, uscita per ora indenne dalle trappole tesele, più dai suoi che dagli avversari per, per azzopparla, aspettano l’ultimo miglio della campagna vera e propria. (gp)
2015/03/12 - Dopo l’invito del Congresso al premier israeliano Benjamin Netanyahu, ora la lettera al regime di Teheran di 47 senatori repubblicani –solo una manciata non l’hanno firmata-. L’opposizione conservatrice all’Amministrazione democratica del presidente Obama ha ormai ‘esportato’ la campagna elettorale in politica estera: una scelta che contrasta con il carattere tradizionalmente bypartisan delle posizioni internazionali degli Stati Uniti e fa infuriare, e contestualmente imbarazza, la Casa Bianca. Che denuncia le iniziative nella forma e nella sostanza. L’invito del Congresso a Netanyahu, che la scorsa settimana non venne ricevuto da Obama e neppure vide il vice Biden, in missione all’estero, era stata giudicata un inopportuno assist repubblicano alla campagna del leader del Likud nell’imminenza del voto in Israele –martedì 17- e un siluro contro la conclusione dei negoziati con l’Iran sul nucleare. La lettera che mette in guardia Teheran sul fatto che l’Amministrazione non avrebbe il potere di concludere accordi internazionali viene contestata con tanto di dettami costituzionali e precedenti storici, il più importante dei quali è repubblicano: l’apertura di Nixon alla Cina. Ma è ormai chiaro che il clima di confronto e la partita dei veti che s’è aperta sulla politica interna contagiano la politica estera: pesano le presidenziali 2016, dove i repubblicani non hanno –ancora?- un candidato forte e credibile, mentre i democratici sembrano relativamente compatti dietro Hillary Clinton, uscita per ora indenne dalle trappole tesele, più dai suoi che dagli avversari per, per azzopparla, aspettano l’ultimo miglio della campagna vera e propria. (gp)
Iscriviti a:
Commenti sul post (Atom)
Nessun commento:
Posta un commento