Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/03/2015
Il presidente Hadi, un sunnita, in fuga via mare su
un’imbarcazione; i ribelli Houthi, sciiti, sostenuti da truppe fedeli all’ex
presidente Saleh, in marcia su Aden, dopo avere conquistato una base aerea Usa
abbandonata; gli aerei sauditi che bombardano le postazioni degli insorti; il
presidente Obama che assicura supporto d’intelligence e logistico alla
coalizione araba guidata da Riad; Teheran, e Damasco, che denunciano
l’aggressione saudita e americana e ne chiedono l’immediato stop.
Il conflitto nello Yemen precipita e si allarga pericolosamente,
rischiando di compromettere –ma Washington non vorrebbe– pure i negoziati sul
programma nucleare iraniano, giunti quasi in porto. Quello che finora appariva
come un capitolo locale del grande scontro in atto nella Regione tra sciiti e
sunniti si rivela un tassello di quella Terza Guerra Mondiale di cui ha
recentemente parlato Papa Francesco.
Il presidente legittimo Abd Rabbo Mansour Hadi, sul cui capo i
ribelli sciiti hanno posto una taglia di 100 mila dollari –una cifra
apparentemente irrisoria, ma in questo Paese di 20 milioni d’abitanti la metà
vive sotto la soglia della povertà-, è giunto ieri sera a Riad, dopo essere
precipitosamente scappato da Aden con l’aiuto dei sauditi, davanti all'avanzata
degli Houthi, che, partendo da Sanaa, la capitale, presa in gennaio, conducono un’offensiva
verso Sud, innescata dagli attentati terroristici con centinaia di vittime della
settimana scorsa.
Nella loro
avanzata, gli Houthi hanno preso la base aerea di Al Annad, 60 chilometri da
Aden, evacuata dai militari americani e britannici che di qui conducevano la
campagna di bombardamenti con i droni dei santuari di Al Qaida nel Paese. Nella
vicina Lahj, i ribelli hanno catturato il ministro della Difesa, generale
Mahmud al Subaihi.
Proclamata capitale temporanea dal presidente Hadi, Aden, un porto
nel Sud, sul golfo omonimo, è ora teatro –riferiscono testimoni- di scontri tra
le milizie sciite, che hanno l’appoggio dell’Iran, e unità dei Comitati
popolari, formazioni locali fedele al presidente. I ribelli hanno anche compiuto
incursioni aeree sul compound presidenziale e sulle guardie che lo difendono.
Si ignora il bilancio dei bombardamenti e dei combattimenti.
A questo punto, dopo che Stati Uniti e Gran Bretagna avevano ritirato
dall’area tutto il loro personale militare, abbandonando i materiali e gli
armamenti, l'Arabia
Saudita è intervenuta: “Faremo di tutto –ha detto l’ambasciatore di Riad a
Washington Adel al-Jubeir- per proteggere il popolo yemenita e il governo legittimo”. I sauditi, che aveva già rafforzato il
dispositivo di truppe e mezzi lungo il confine, hanno condotto a più riprese
raid aerei contro le forze ribelli. Uno scenario in fondo già visto in queste
settimane nel Grande Medio Oriente, con i raid egiziani in Libia contro le
milizie jihadiste alla Sirte e a Derna: non a caso, Il Cairo ha dato il suo
avallo all’operato di Riad.
La
situazione è precipitata prima del vertice della Lega Araba a Sharm el Sheikh
sabato e domenica. Arabia saudita, Emirati, Bahrein e Qatar hanno diffuso un
comunicato congiunto in cui affermano di "avere deciso di contrastare nello
Yemen le milizie Houthi, al Qaida e lo Sato islamico". Ai Paesi del Consiglio
di cooperazione del Golfo, s’è poi aggiunta la Giordania.
Nel tentativo di dare una qualche
legittimità all’intervento esterno, Hadi aveva rivolto una richiesta di aiuto al Consiglio
di Sicurezza dell'Onu, sollecitando un sostegno di fronte alla ribellione. Vano,
in questo contesto, l’appello dell’Alto Rappresentante dell'Ue per la politica
estera e di difesa Federica Mogherini perché gli "attori della
regione" agiscano in modo "responsabile e non unilaterale".
La
situazione nello Yemen è incandescente da settembre, quando gli Houthi,
sostenuti fin dal 2004 da Teheran con equipaggiamenti e finanziamenti,
s’impadronirono della capitale Sanaa, dissolsero il Parlamento e misero agli
arresti il presidente, poi riuscito a fuggire ad Aden, da dove cercava
d’organizzare una resistenza con il sostegno di clan tribali sunniti e di parte
delle forze armate – un’altra parte è rimasta fedele all’ex presidente Saleh,
sciita-.
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