Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/03/2015
L'intervento militare arabo sunnita guidato
dall'Arabia Saudita nello Yemen continuerà “finché non saranno raggiunti tutti
gli obiettivi”: la sconfitta dei ribelli sciiti Houthi e la restaurazione della
pace nel Paese: parola di re. Salman bin Abdulaziz, monarca saudita, lo dice al
vertice della Lega araba a Sharm el Sheikh.
Il ‘giovane’ re di quasi 80 anni, ma sul
trono da appena due mesi, conduce con piglio determinato l’Arabia Saudita su
territori politici e militari inesplorati da oltre mezzo secolo. In Egitto c’era
Nasser - ed era il nemico - l’ultima volta che i sauditi combatterono nello
Yemen. Oggi, l’egiziano al-Sissi è il principale alleato.
Per Robert Fisk, che ne scrive su The
Independent, l’Arabia Saudita, con questa guerra, sta facendo “un salto
nell’abisso”. Il giornalista, forse il miglior conoscitore anglo-sassone del
Medio Oriente, si chiede chi abbia davvero deciso di aprire il conflitto nella
più povera delle Nazioni arabe: “I sauditi, del cui re si dice nel mondo arabo
che non sia capace di prendere decisioni da capo di stato?, o magari i principi
dell’esercito saudita, preoccupati che le loro stesse forze di sicurezza non
siano leali alla monarchia?” e avvertano il richiamo dei messaggi integralisti
di al Qaida e del Califfato? Di qui, in fondo, dall’Arabia Saudita venivano
Osama bin Laden e 15 dei 19 terroristi kamikaze dell’11 Settembre 2001.
Al Vertice di Sharm, re Salman tiene a
precisare che il Consiglio di cooperazione del Golfo risponde, con la missione
‘Tempesta decisiva’, a "una richiesta di intervento" del presidente
yemenita legittimo Hadi, dopo che gli insorti Houthi non vollero “discutere
della crisi a Riad".
Se i ribelli minacciano "la sicurezza regionale e la pace
internazionale", anche l’intervento militare della coalizione araba è un
grosso rischio: può scatenare un conflitto generale tra sciiti e sunniti. E gli
Usa non sanno a chi dare i resti, tanto più che la retorica sciita descrive
l’azione anti-Houthi come “una cospirazione saudita-americana”.
Non è (del tutto) vero. Washington
appoggia l’intervento per ripristinare la legalità internazionale: Obama lo
dice di persona a re Salman. E la marina Usa recupera nelle acque del Golfo di
Aden piloti sauditi dispersi. Ma, nel contempo, l’America non vuole rompere con
Teheran, mentre s’avvia a Losanna quella che potrebbe essere la fase finale dei
negoziati sui programmi nucleari iraniani. La diplomazia internazionale,
tramite il segretario generale dell’Onu Ban, si limita all’appello alle parti a
negoziare per evitare “una lunga guerra”.
Riad non esclude il dialogo, se “i leader
golpisti tornano alla ragione". Re Salman è contro gli sciiti, ma pure
contro l’integralismo sunnita del sedicente Califfato: il “doloroso” momento è "il
risultato di terrorismo e politiche settarie"; e insiste per fare del
Medio Oriente una "zona denuclearizzata" (un ritornello
anti-israeliano, che ora suona pure anti-iraniano). L’egiziano al-Sisi
attribuisce la crisi “a interventi stranieri”, leggasi iraniani.
I raid aerei della coalizione araba hanno
già colpito numerosi obiettivi nello Yemen e fatto vittime, specie a Sanaa, la
capitale occupata dal settembre scorso dalle milizie Houthi. Fra i luoghi
attaccati, la base aerea di al Dalaimi e un deposito dove la famiglia dell'ex
presidente Saleh teneva migliaia d’armi della Guardia Repubblicana, oltre al
palazzo presidenziale e ad altre postazioni militari.
Numerosi i raid nella provincia di Saadah,
al confine con l'Arabia Saudita, roccaforte degli Houthi, e sul porto di
Hodeida, sullo Stretto di Bab el Mandab, importante per i rifornimenti dall'Iran.
Pure colpiti la base aerea di Tarek, nella regione di Taiz, e obiettivi nella
zona di Aden. Dal canto loro, gli Houthi avrebbero compiuto incursioni in
territorio saudita.
Che l’Iran non intenda stare a guardare e
che il conflitto nello Yemen possa condizionare l’impegno contro il Califfato
lo avalla una voce diffusa dal canale arabo della Bbc: il generale iraniano Soleimani,
capo della Forza Qods delle Guardie della rivoluzione islamica, avrebbe lasciato
l'Iraq per recarsi in Yemen. Suleimani era l’artefice delle operazioni contro
lo Stato islamico a Tikrit, insieme ai vertici militari iracheni.
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