Scritto per Il Fatto Quotidiano del 29/09/2013
Una (storica)
telefonata con il presidente Usa Obama, dopo la (storica) stretta di mano tra i
ministri degli esteri Kerry e Zarif, può ben valere un lancio di scarpe in
segno di sprezzo al ritorno a casa: forse, il presidente iraniano Rohani
l’aveva pure messo in conto. La sua missione a New York, all'Assemblea generale
delle Nazioni Unite, fa ripartire il dialogo tra Usa e Iran e anche il
negoziato sul nucleare, ma suscita inquietudini fra i conservatori. Eppure, ad
avere fretta, paiono soprattutto gli iraniani: vogliono attuare l’intesa entro
un anno, dicono. Cerchiamo di capire perché.
Le aperture
iraniane hanno pure facilitato l’accordo nel Consiglio di Sicurezza sulla
risoluzione, adottata all'unanimità, per lo smantellamento dell’arsenale
chimico siriano. E con il coinvolgimento di Teheran ha più consistenza la
prospettiva d’una nuova conferenza di pace per la Siria, Ginevra2. Sui gas da
distruggere, c’è una roadmap che il regime di Damasco deve rispettare; però, il
ricorso alla forza da parte della comunità internazionale, in caso di
inadempienze, non è automatico.
Il ritorno
dell’Iran ai tavoli che contano e i passi verso un superamento del conflitto
siriano sono fiori all'occhiello della diplomazia internazionale, a margine
dell’annuale kermesse di leader e incontri al Palazzo di Vetro. Ma non tutti in
patria prendono bene la morbidezza di Rohani con gli Usa e pure con Israele:
all'aeroporto, un centinaio di contestatori gli lancia scarpe contro l’auto,
prende a calci una guardia del corpo e intralcia il percorso del corteo presidenziale,
improvvisando una preghiera in strada e gridando “mote all'America, morte a
Israele”.
Sul piano
politico, la commissione parlamentare per la politica estera e la sicurezza
nazionale invita il ministro Zarif a presentarsi martedì al Majlis, il
Parlamento, per spiegare perché Rohani abbia avuto una conversazione telefonica
con Obama. Zarif dovrà anche motivare i
suoi colloqui con Kerry e con il britannico Hague e illustrare, in dettaglio,
le posizioni espresse a New York.
Dunque, non
tutti in Iran sono contenti. La stampa, però, accoglie con favore la fine del
gelo con gli Usa, che definisce “un vecchio tabù”. E ai contestatori
dell’aeroporto si contrappongono centinaia di giovani che scandiscono “Grazie,
Rohani”. Del resto, la sua elezione, in giugno, pareva preludere –con la
benedizione della guida suprema Khamenei- a un allentamento delle tensioni con
Washington e l’Occidente, anche se il Congresso americano, non casualmente,
aveva fatto coincidere con il suo insediamento un inasprimento delle sanzioni
contro l’Iran.
Spesso
trascurate nei loro effetti, proprio le sanzioni possono essere una molla del
cambio d’atteggiamento dell’Iran, al di là del gioco delle parti tra moderati e
conservatori. Le misure dell’Onu, dell’Ue, soprattutto degli Usa mettono da
tempo alla prova l’economia e le finanze iraniane e innescano contraccolpi
sociali, ma avrebbero ora intaccato gli interessi dei pasdaran, guardiani della
rivoluzione sì, però attenti al loro tornaconto. Di qui la voglia e la fretta
d’uscirne.
Rispetto a
Rohani, Obama ha meno problemi. "Storica" è l'aggettivo più comune
sulla stampa Usa per la loro telefonata. E i commenti sono un mix d’ottimismo e
di cautela: tutti concordano che parole e strette di mano devono ora essere
seguite dal fatti. “I leader dei due Paesi – nota il WSJ - si sono parlati direttamente
per la prima volta dal 1979": "L'avvio dei colloqui mostra quanto
l'Iran voglia un allentamento delle sanzioni economiche". E il NYT
riconosce, in un editoriale, la tempra di leader dei due presidenti, anche se
non è chiaro chi dei due abbia alzato la cornetta per primo.
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