Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/09/2013
Un nuovo capitolo nelle relazioni tra l’Iran e l’Occidente.
Oppure, il remake d’un film già visto, quello del riformista alla presidenza, con
un’incognita sul finale: cambierà?, o resterà lo stesso? Hassan Rohani, leader dell’Iran
da neppure due mesi, è stato il principale protagonista delle fasi d’avvio dell’Assemblea
generale delle Nazioni Unite, a New York. Lui impegnato a mandare messaggi
d’apertura e di ottimismo; i suoi interlocutori attenti a non lasciarli cadere,
ma anche decisi ad aspettare di vedere, come ha detto il presidente Usa Obama,
“i fatti, dopo le parole”.
E, in realtà, Rohani s’è mosso su un doppio binario, adeguando
il linguaggio al proprio pubblico: è stato fermo, sul fronte interno; accomodante,
sulla scena internazionale. Anche per questo, è stato ricambiato con un mix di
aperture di credito e di diffidenza.
Non è la prima volta che l’Iran uscito dalla rivoluzione
khomeinista si dà una guida riformista: l’avvento al potere di Khatami nel ’97,
votato da giovani e donne, coincise con una fase di fermento nel Paese. Khatami
dovette però confrontarsi, nel secondo mandato, con il clima anti-islamico
innescato dagli attentati dell’11 Settembre 2001 e con l’invasione dell’Iraq
nel 2003.
Il contesto di scontro favorì, nel 2005, l’ascesa al potere
del sindaco di Teheran Ahmadinejad, che riportò l’Iran agli anni di Khomeini e
inasprì i rapporti con l’Occidente, specie sul programma nucleare iraniano –esclusivamente
civile per Teheran, potenzialmente militare per Washington, e che Israele sente
come una spina nel fianco-.
Rohani, ex negoziatore sul nucleare nelle trattative tra
l’Iran e i ‘5 – 1’
–i Paesi dell’Onu con diritto di veto più la Germania-, ha messo
paletti ben precisi, prima di partire da Teheran per New York: ha chiesto che
sia riconosciuto il diritto dell’Iran di arricchire l’uranio per alimentare le
centrali, mentre le forze armate facevano sfilare in parata 30 missili
balistici, il numero più alto mai sciorinato in pubblico; e ha additato in
Israele la vera minaccia chimica e nucleare della regione, mentre, in Siria, la
guerra –ha detto- “deve essere spenta da politica e dialogo”.
Arrivato a New York, il presidente iraniano ha però cambiato
registro: l’Iran non è una minaccia per il Mondo e i suoi programmi nucleari
sono pacifici -l’accordo si può fare in tre mesi, il pianeta può essere
denuclearizzato in 5 anni-; è pronto al dialogo e ad un’ “intesa quadro” con
gli Usa; vuole costruire una “coalizione per la pace” e partecipare a una
conferenza per la Siria ,
la Ginevra 2;
riconosce le violenze del nazismo contro gli ebrei.
L’incontro con Obama, mai previsto, non c’è stato, ma Rohani
ha avuto faccia a faccia col francese Hollande, l’italiano Letta e molti altri.
A parte Israele, che giudica “cinico” il suo discorso, dove cita un passo del
Corano che riprende la Torah ,
le critiche sono state caute, ma positive: Obama s’è detto “incoraggiato”.
Ma la storia raccontata agli iraniani è tutta diversa: una frase
alla Cnn di condanna dell’Olocausto viene corretta dall’agenzia ufficiale; e la missione del presidente all’Onu è l’occasione
per “fare chinare la testa” agli Usa. Il vecchio Khatami, però, lo incalza:
libera i detenuti politici, fai respirare agli iraniani una boccata di libertà.
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