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domenica 8 settembre 2013

Siria: Obama alla guerra contro il fronte 'no guerra'

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 08/09/2013

Per Barak Obama, rischia d’essere più dura a Washington che a San Pietroburgo, dove, al G20, non se l’è cavata proprio bene. Alla vigilia del ritorno al lavoro del Congresso, la conta di deputati e senatori indica che l’avallo all’attacco alla Siria non è affatto scontato. E il presidente telefona agli indecisi, cerca di convincerli.

La migliore notizia, però, gli arriva da Vilnius, dove i 28 dell’Ue, presente Kerry, indicano la responsabilità di al-Assad nell’attacco chimico del 21 agosto e affermano l’esigenza di una risposta chiara e forte, senza però evocare ritorsioni militari.

Camera e Senato sarebbero praticamente spaccati in due: fra i deputati, i media Usa ne contano 224 inclini al no e 209 orientati al sì –dei 435 seggi, due sono vacanti-; fra i 100 senatori, l’equilibrio è quasi perfetto, 51 per il no, 49 per il sì.

La Gallup tasta il polso dell’opinione pubblica: 51% contrari, 36% favorevoli, un atteggiamento più prudente di quello che aveva accompagnato altri conflitti americani, la Guerra del Golfo, quella del Kosovo, l’attacco all’Afghanistan, l’invasione dell’Iraq. La cautela ricorda la reazione ai raid contro la Libia nel 2011.

Certo, il presidente, che martedì parlerà alla nazione, ha strumenti per premere sul Congresso. Ma deputati e senatori devono pure tenere conto di come la pensa la gente: fra 14 mesi, negli Usa, si vota di nuovo per rinnovare tutta la Camera e un terzo del Senato. Gli elettori contrari all’intervento, specie i cattolici, si fanno sentire molto di più di quelli favorevoli.

I deputati e senatori non inclini ad approvare la punizione ad al-Assad possono essere divisi in tre gruppi: i repubblicani ultra-conservatori ed isolazionisti vicini al Tea-Party, stile ‘America first’; i democratici ostili alla guerra, che nel 2011 votarono contro i raid sulla Libia –circa due quinti del totale-; infine, gli interventisti dei due campi, che giudicano l’azione ora prospettata “troppo poco e troppo tardi”. E c’è pure il timore che uno scontro sulla Siria metta a repentaglio la ripresa dell’economia.

Finora, con gi americani Obama ha usato gli stessi argomenti utilizzati al G20: non possiamo chiudere gli occhi, dopo che al-Assad ha usato le armi chimiche contro il proprio popolo; la Siria non diventerà un Iraq, perché l’attacco sarà limitato nel tempo e negli obiettivi –l’intenzione non è rovesciare il regime, né cambiare l’inerzia del conflitto-. Argomenti che sono pure boomerang: se non serve a nulla, perché farlo?

Ad uso interno, il presidente dice che i gas sono una minaccia per l’America, mentre l’Iran preparerebbe attentati in Iraq contro l’ambasciata Usa. E l’opposizione siriana aggiunge orrore all’orrore: 10mila i minori uccisi, 2300 avevano meno di 10 anni.

Nel giorno in cui papa Francesco va in gol facile con digiuno e preghiera, anche Obama mette a segno un punticino: riuniti in Lituania, i ministri degli esteri dei Paesi Ue gli danno un po’ di spago. E la Germania sottoscrive a posteriori la dichiarazione di 12 del G20, in linea con quella europea: almeno, si riduce la ferita della spaccatura fra europei, anche se divisioni restano sull’attacco. Anzi, Emma Bonino ribadisce: nessun intervento senza l’avallo dell’Onu, che non ci sarà. E la Francia fa un passo indietro: bisogna aspettare i risultati dell’inchiesta degli ispettori.

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