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domenica 1 settembre 2013

Siria: Obama frena la guerra, attacco, ma più tardi

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 01/09/2013

“Siamo pronti a colpire quando sceglieremo di farlo”: l’attacco alla Siria è deciso, ma non scatterà subito. Manca ancora l’ordine del comandante in capo alle unità già schierate in zona (sei le navi che incrociano nel Mediterraneo, a distanza di tiro dagli obiettivi). E il presidente Barack Obama vuole chiedere l’avallo del Congresso, prima di agire.

Nel gioco dell’oca tragico dell’attacco alla Siria, Obama era a un tiro di dadi dalla casella d’arrivo: con un colpo a sorpresa, non torna alla casella di partenza, ma sta fermo un giro.

Oggi, la Casa Bianca farà a deputati e senatori  un briefing confidenziale sulla crisi siriana: potrebbe teoricamente essere l’ultima ‘sceneggiata’, prima del lancio dell’operazione, che scatterà –scandisce Obama- “domani, fra una settimana o fra un mese e sarà limitata nella portata”. Ma tutto, in realtà, slitta e la tensione s’allenta: il voto del Congresso sull'uso della forza in Siria non potrà avvenire prima del 9 settembre, alla ripresa dei lavori.

La minaccia di un’azione punitiva contro il presidente al-Assad, reso dell’uso di armi chimiche, resta, dunque, intatta, ma da clava militare diventa leva politica, per indurre il regime siriano e i suoi sponsor, l’Iran, ma soprattutto la Russia, a un serio negoziato. Il presidente, che s’era messo alle corde da solo, costretto a un intervento militare che né lui né il Pentagono in realtà vogliono, guadagna un po’ di tempo e concede al mondo in ansia una boccata di sollievo.

Quanto all’Onu, Obama la mette fuori gioco: è completamente paralizzata –dice- e non vuole affrontare il nodo del problema. Gli ispettori, che dall'alba di ieri sono fuori dalla Siria, faranno conoscere i risultati dell’inchiesta fra due settimane e, comunque, difficilmente attribuiranno responsabilità, un po’ perché le Nazioni Unite hanno uno spirito pilatesco e un po’ perché davvero non sanno. E’ sempre più insistita la voce che l’uso dei gas sia stato deciso dal fratello di Bachar, Maher, in contrasto con il presidente.

Quando l’ora X pareva prossima, Vladimir Putin aveva offerto una polpetta avvelenata a Obama: se davvero hanno le prove d’un attacco con i gas compiuto dal regime siriano, aveva detto, gli Usa le presentino al Consiglio di Sicurezza dell'Onu. Dal canto suo, Putin giudica “insensate” le accuse contro Damasco –il regime è all'offensiva, i ribelli in difficoltà, perché esporsi con il sarin?- e offre il Vertice del G20, convocato il 5 e 6 settembre a San Pietroburgo, come piattaforma per discutere della crisi in Siria e per cercare una via d’uscita politica condivisa.

Obama non ci pensa proprio a seguire il consiglio di Putin: l’ultima volta che gli Stati Uniti andarono al Palazzo di Vetro per convincere il mondo che il nemico di turno aveva armi di sterminio, nel febbraio 2003, prima dell’invasione dell’Iraq, fu un flop totale. Il presidente sembra, invece, raccogliere l’offerta del G20 come luogo di negoziato. E torna l’ipotesi di una Ginevra2, una riedizione della conferenza di pace sulla Siria fallita al primo tentativo.

In giornata, la  Lega Araba, oggi riunita al Cairo, escludeva ''il via libera a un’azione militare ”, propugnando una soluzione politica. La Conferenza islamica, pochi giorni fa, aveva invece sollecitato un intervento anti-al Assad.

A Damasco, l’esercito siriano tiene “il dito sul grilletto” per rispondere a un attacco. E, da Teheran, i Guardiani della rivoluzione prevedono ripercussioni a un intervento “al di fuori della Siria”.

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