Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 07/09/2013. Altra versione su EurActiv.it
Lo avevano escluso. Ma, alla fine, i
presidenti russo Vladimir Putin e americano Barack Obama hanno discusso faccia
a faccia della crisi in Siria. Però, non hanno cavato un ragno dal buco. Anzi,
con le loro contrapposizioni, hanno spaccato a metà il G20 e alimentato
tensioni diplomatiche che rischiano di tracimare in un’azione militare.
Il G20 esce annichilito dal Vertice di
San Pietroburgo, il più elettrico nella breve storia del Gruppo: il conflitto
siriano ha quasi cancellato i tradizionali temi economici. L’economista Nouriel Roubini commenta:
“Questo non è un G20, ma un G0: non sono d’accordo su nulla, la Siria lo
conferma”.
La dichiarazione finale, il solito
libro, 27 pagine, 114 paragrafi, non fa menzione della questione che ha
focalizzato tutto l’interesse. In un comunicato a parte, 11 dei Venti, fra cui
gli Stati Uniti, reclamano una “risposta internazionale forte” contro Damasco,
che sarebbe “chiaramente” responsabile
dell’uso di armi chimiche il 21 agosto. Ci sono le firme di Arabia
Saudita, Turchia, Australia, Canada, Gran Bretagna, Francia e pure Italia e
Spagna.
Dei paesi dell’Ue al G20, la Germania è
l’unica a non sottoscriverlo. La Merkel si ritrova al fianco di Putin, insieme
a Cina, India, Sud Africa, Brasile e tutti i latino-americani-. Mosca blocca
l’avallo dell’Onu a raid punitivi contro il regime siriano perché non giudica
certe le prove a suo carico.
A San Pietroburgo, Obama, un Nobel per
la Pace, ha offuscato la propria immagine:
non c’è venuto per cercare un’alternativa ai raid, ma per coagulare il
massimo consenso sul suo progetto, perché - dice - il mondo non può restare con
le mani in mano. Gli 11 non richiamano l’opzione militare esplicitamente, ma
ritengono che “non si possa attendere a tempo indeterminato”. E, da parte Usa,
c’è un’escalation di sortite anti-Russia.
Putin e Obama si sono visti per mezz'ora
giovedì sera, dopo la cena che aveva sancito lo stallo. La conversazione è stata “costruttiva” –i due
utilizzano la stessa parola in conferenze stampa distinte-, ma ciascuno è
rimasto sulle proprie posizioni. Anche se Obama spera che Putin cambi idea
quando gli ispettori dell’Onu pubblicheranno il loro rapporto –non c’è una
data-.
Saltare sul carro del vincitore è
difficile, quando tutti sono perdenti. L’Italia prova a tenere il piede in due
scarpe: firma il testo ‘pro Usa’, ma –dice il premier Letta- “continua a lavorare” perché s’arrivi insieme "alla
soluzione che prediligiamo, quella politica".
Le consultazioni
continuano, con i ministri degli esteri e della difesa dei 28 riuniti oggi in
Lituania. Lunedì, torna al lavoro il Congresso Usa; martedì Obama parlerà alla Nazione:
Tony Blinken, numero due per la sicurezza nazionale, spiega che il presidente non intende andare avanti con i raid senza l’appoggio del
Parlamento, anche se ha il potere di farlo. C’è chi lavora a formule dilatorie:
sì all’attacco, ma prima provare a convincere al-Assad a rinunciare alle armi
di distruzione di massa. Damasco, dal canto suo, blandisce deputati e senatori
americani.
Un nulla di fatto che meno di così era
difficile riuscirci e immaginarlo. Dopo
la cena a vuoto, il G20 non ha neppure
ripreso la discussione in plenaria, confinandola all’intreccio di
bilaterali più o meno formali. Anche la foto di gruppo è stata sbrigata in
quattro e quattr’otto, come se i leader avessero poca voglia di lasciare una
traccia di questo loro incontro teso all’inizio e fiacco in chiusura.
E non lo riscattano certo gli
accenni di convergenza e cooperazione sui temi economici, ad esempio contro
l’evasione fiscale. L’uscita dalla crisi non viene certificata, perché il clima
è migliorato e pure l’Ue è fuori recessione –fa eccezione l’Italia-, ma la
ripresa è “debole” e “i rischi” restano. Letta prima dice che l’Italia non è
più una sorvegliata speciale, poi invita a vedere la terra promessa. Ma
Saccomanni ammette che gli impegni presi dall’Italia, economici e per le
riforme, saranno "oggetto di monitoraggio nei prossimi mesi".
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