Una vittima di tutte le guerre è la verità. E se la guerra è ideologica, o religiosa, la verità, lì, muore più volte. Complice, magari, l’approssimazione dei media, perché la notizia falsa, o gonfiata, è sempre più ‘bella’ di quella vera, e rigorosa. E, poi, il califfo Abu Bakr al Baghdadi e le sue milizie jihadiste si sono già visti attribuire tante di quelle infamie che una in più non fa neppure specie.
La notizia, falsa,
ma battuta come se fosse vera, dice che tutte le donne del neo-costituito Stato
islamico, che si estende da Aleppo in Siria a Mosul in Iraq e fin nella Valle
dell’Eufrate, devono subire l'infibulazione: lo prevede un "decreto" promulgato
dall'autoproclamato califfo “per impedire la diffusione del peccato”.
I dubbi sull’autenticità
del documento sono subito numerosi (ed evidenti agli esperti): il decreto, ad
esempio, è datato 21 luglio 2013, quando il califfato ancora non esisteva; e il
testo -come evidenzia sull’ANSA Lorenzo
Trombetta, cronista esperto e affidabile- presenta numerosi errori tipografici
e utilizza fonti inconsuete per sostenere i presunti riferimenti alla
tradizione profetica.
Il califfo al
Baghdadi, alfiere della contrapposizione tra sunniti e sciiti ed epigono di al
Qaeda, suscita ostilità nel mondo islamico: la sua pretesa di rivitalizzare il
califfato, morto con la fine dell’impero ottomano, non è avallata dalle
maggiori autorità religiose islamiche. E i cristiani gli rimproverano la
persecuzione delle chiese a Mosul e altrove nei territori da lui controllati.
L’avanzata delle
milizie è stata costellata da episodi di crudeltà. E agli jihadisti è stata
attribuita anche una ‘caccia alle spose’ nei territori man mano occupati: una versione
moderna, non meno violenta, del ‘ratto delle Sabine’.
Il decreto dell’infibulazione è un abominio da sfruttare
mediaticamente. L’Osservatore Romano titola in prima pagina "Il califfato
della brutalità”, raccontando "l'ultimo farneticante ordine impartito dal
sedicente leader dell'Isil, che ha chiesto l'infibulazione per tutte le donne, bambine
comprese, adducendo alla brutale disposizione inesistenti motivazioni religiose".
Il giornale cita "fonti indipendenti", secondo cui "circa trenta
bambine sarebbero già state sottoposte alla pratica dell'infibulazione negli
ultimi giorni, mentre due donne sarebbero state lapidate senza che venissero
rese note le accuse mosse loro".
Fioccano le reazioni, politiche, governative. "Se l'Isil conferma l'infibulazione di
massa –commenta su twitter, con formula prudenziale, il sottosegretario agli
Esteri Benedetto Della Vedova- sarebbe una cosa raccapricciante", "un'intollerabile
violenza, come la scristianizzazione forzata".
Non è
probabilmente vero. Ma si sceglie di fare come se lo sia. Ora, nessuno vuole
difendere –sia ben chiaro- la pratica dell’infibulazione, del resto più volte
denunciate dalle autorità religiose musulmane. E nessuno vuole neppure recitare
la parte dell’avvocato del califfo. Ma attribuirgli infamie con documenti
fabbricati non serve la causa della verità e neppure quella della giustizia.
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