Scritto per Il Fatto Quotidiano del 16/07/2014
In Medio Oriente, il
no di Hamas alla tregua mette fuori gioco la diplomazia internazionale e suona via
libera a Israele perché rilanci intensifichi l’azione militare. Hamas respinge il ‘cessate-il-fuoco’ d’ispirazione
egiziana; e il conflitto, rimasto sospeso per sei ore, riprende. Il bilancio
delle vittime supera le 200 fra i palestinesi ed ha già maggiore di quello
dell’ultima vampata tra Israele e Hamas nel 2012.
Il
governo israeliano aveva accettato di sospendere, alle 0600 gmt, le 0800 del
mattino in Italia, raid e bombardamenti. Hamas non ha però cessato i suoi
attacchi, sparando 47 razzi, dice Peter Lerner, un portavoce militare -840
quelli tirati complessivamente, 200 quelli intercettati-. Intorno alle 1400,
Israele ha così ripreso le operazioni nella Striscia di Gaza.
Il
premier Netanyahu aveva avvertito che, se Hamas non avesse osservato la tregua,
Israele, forte d’un’ulteriore legittimazione internazionale, oltre al diritto all’autodifesa che tutti le
riconoscono, avrebbe amplificato i suoi attacchi, “per riportare la calma” nella
Strascia di Gaza –una calma che s’annuncia spettrale-.
Difficile decifrare in modo
univoco le ragioni del rifiuto di Hamas di accettare la tregua egiziana, quando
l’alternativa è il protrarsi di un confronto impari, in cui il divario dei
danni inflitti all’avversario può solo ampliarsi a vantaggio degli israeliani.
Diversi i fattori che hanno
contribuito alla risposta negativa: il rapporto di diffidenza, se non proprio
di sfiducia, tra Hamas e l’Egitto del generale al Sisi, persecutore della
Fratellanza musulmana; l’eco del vento dell’oltranzismo che la nascita del
califfato tra Siria e Iraq fa arrivare fin sui Territori e nella Striscia; il
tentativo di riguadagnare, fra la popolazione palestinese, credibilità e
influenza, dopo i recenti segnali d’intesa tra Fatah e Hamas.
Che il fronte interno
palestinese sia diviso e incerto sul da farsi si deduce anche dalla
discrezione, nella crisi, del presidente Abu Mazen, che, però, aveva invitato
le due parti a rispettare la tregua. Abu Mazen deve recarsi nelle prossime ore
in Egitto e in Turchia, alleata di Hamas, il cui premier Erdogan accusa Israele
di “terrorismo di Stato” e di perpetrare “massacri” della popolazione civile.
"L'iniziativa egiziana
rappresenta un tentativo di sconfiggerci", spiega uno dei portavoce di Hamas,
Fawzi Barhum, citato daYnet, sito web di Yedioth Ahronoth. Le condizioni della
tregua proposta sono equiparate a quelle di una resa: “Siamo in guerra e, in
guerra, non si cessa di combattere prima di negoziare le condizioni”.
Sami Abu Zuhri, altro portavoce
di Hamas, osserva che il movimento "non è stato informato” prima della
proposta egiziana: "Abbiamo saputo tutto dai mezzi di informazione - ha
detto, citato dall’agenzia di stampa palestinese Maan -. Nessuno ci ha
consultato su questa iniziativa… E’ ovvio che non la consideriamo
vincolante".
Hamas scarta ogni ipotesi di
‘cessate-il-fuoco’ che non preveda una soluzione globale del conflitto
israeliano-palestinese. Il movimento integralista chiede lo stop ai
bombardamenti, la fine del blocco di Gaza in atto dal 2006, l’apertura del
posto di frontiera di Rafah chiuso dall’Egitto e la liberazione dei militanti
di nuovo arrestati dopo essere stati scambiati con un soldato israeliano preso
nel 2011.
L’ala militare di Hamas, le
brigate Ezzedin al-Qassam, ha subito bollato la proposta egiziana come “una
resa” e ha poi rivendicato il lancio
contro Israele dei razzi.
La diplomazie cercano ancora
di stemperare il conflitto. E,prima della ripresa dei raid, il segretario di
Stato Usa Kerry s’era inquietato al Cairo dei “rischi di escalation della
violenza”, dicendo che l’America è pronta “a fare di tutto” perché le due parti
si avvicinino e si parlino.
La missione di Kerry
s’intreccia con quelle dei ministri degli esteri italiano Mogherini – una
visita programmata, all’inizio della presidenza italiana del Consiglio Ue, e
tedesco Steinmeier. Arrivando in Israele, la Mogherini dice: “La cosa
più importante è la tenuta della tregua”. Manco un’ora dopo, il no di Hamas e
le bombe israeliane l’avevano seppellita.
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