Scritto per il blog de Il Fatto lo 02/07/2014
Ma quale Telemaco!, per piacere. Ulisse, il padre, fece
la storia e l’epica di un’intera civiltà, non certo quel figlio bamboccione che
stava a guardare la madre tessere e disfare e solo quando il padre tornò si
dette una mossa. Matteo Renzi infligge al Parlamento europeo un discorsetto –
breve, almeno quello - denso di citazioni culturali da Liceo Classico, ma senza
un solo riferimento concreto, preciso, dettagliato alle cose che intende fare
nei prossimi sei mesi, adesso che l’Italia è alla presidenza del Consiglio
dell’Ue.
Parlando a braccio, dopo avere consegnato un testo
scritto che –speriamo- risponde alle molte domande lasciate in sospeso, il
premier snocciola nomi e circostanze che, probabilmente, buona parte dei
deputati europei di differente tradizione culturale non sono in grado di
apprezzare; e punta su parole come “coraggio” e “orgoglio”, “fiducia” e
“speranza” che suonano più telecronaca dei Mondiali che discorso programmatico
del semestre italiano.
E, poi, subito il gradino generazionale che tanto piace a
Renzi: dell’Europa, non vuole scattare un’istantanea, ma fare un selfie. E ne
viene fuori –dice- un volto stanco, rassegnato, noioso. Invece il suo è un
discorso ad effetto, scoppiettante, che vuole ”ritrovare l’anima dell’Europa”
–obiettivo ambizioso, se ve n’è uno- ed essere all’altezza “della grandezza dei
Padri”, che il premier ritrova nella tradizione classica greca e latina.
Persino Manuel Barroso, il presidente della Commissione
europea, un portoghese prudentissimo, sente stridere qualcosa, se, prendendo la
parola, ricorda a Renzi che Italia e Grecia sono state spesso al centro dei
discorsi europei negli ultimi anni, ma non nel segno della tradizione oratoria
di Demostene e Cicerone, bensì per problemi di conti in disordine e palpitazioni
sull’euro.
Crescita, occupazione, immigrazione sono le parole più
concrete del discorso di Renzi. E flessibilità forse la più ricorrente, sempre
accompagnata dalla precisazione, che l’Italia, Paese fondatore e contribuente
netto, “non viene in Europa a chiedere, ma a dare”, “non chiede scorciatoie, ma
offre la sua disponibilità a fare la propria parte”.
Tra frasi ad effetto (“Non ci interessa giudicare il
passato, ci interessa costruire il futuro”; o “l’Europa dfeve tornare a essere
una frontiera” –ma perché, non lo è?-) e proposte magari buone, ma buttate lì
(un servizio civile europeo), la ciliegina sulla torta è la mano tesa alla Gran
Bretagna: se è vero che “l’Unione senza la Gran Bretagna non sarebbe se
stessa”, è però altrettanto vero che “ricondurre all’unità tutte le posizioni”
significa procedere al minimo comune denominatore. Facendo a pugni con “il
coraggio” e l’orgoglio” e la riscoperta della frontiera.
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