Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano e per EurActiv.it il 27/07/2014
Nel suo editoriale, Antonio Padellaro, direttore de Il Fatto
Quotidiano, evidenzia, oggi, “la continua esibizione muscolare del premier e
dei suoi accoliti”, “la strategia dello scazzo permanente”, il “qui si fa come
dico io”. Sono scelte, o meglio comportamenti, che il premier Renzi e il suo
Governo tendono ad adottare anche in Europa, specie dopo che l’Italia ha
assunto, il 1° luglio, la presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, una posizione
che dovrebbe essere più di mediazione che di potere.
Alcuni ministri lo seguono per convinzione, altri per
imitazione, altri, forse i migliori, o i più timidi, o i più esperti, esitano a
farlo. Perché nell’Unione quegli atteggiamenti non premiano. Anzi, penalizzano.
Ed erodono il capitale di credibilità e di simpatia su cui il premier Renzi
poteva inizialmente contare. Che si discuta di nomine o di riforme (e, quindi,
di flessibilità).
Tanto più quando il contesto economico non induce ad avere
fiducia nell’Italia, di cui le Istituzioni internazionali –Fmi, Ocse, Ue- e
nazionali –BankItalia, Confindustria- non fanno che abbassare le previsioni di
crescita 2014, dallo 0,8% iniziale –già modesto- allo 0,3% delle ultime stime
del Fondo monetario (a fronte di un 1,1% medio della zona euro). Va peggio del
previsto pure la Francia di Hollande, il miglior amichetto europeo di Renzi,
Vanno meglio del previsto Germania e Spagna e, fuori dall’euro, meglio di tutti
i Grandi dell’Ue, la Gran Bretagna.
Il Governo italiano non prova più ad arginare il pessimismo
degli esperti, che saranno ‘tecnocrati’, ma con le cifre ci vanno a nozze. E
così lo
spauracchio di una correzione dei conti pubblici in autunno diventa concreto:
una manovra che gli analisti prevedono fino a 20 miliardi di euro. Anche se,
per scongiurare l’ipotesi, o contenerla, il ministro dell’Economia Pier Carlo Padoan lavora sodo sul capitolo privatizzazioni: obiettivo, raccogliere
complessivamente 11 miliardi.
Quando il neo commissario agli Affari economici e
monetari, Jyrki Katainen, ex premier finlandese che ha scelto l’approdo
europeo, dice al quotidiano tedesco Die Welt, che "la cosa più importante
per l'Italia … è attuare le riforme promesse dagli ultimi governi" fa una
constatazione condivisibile. Che l’importante sia fare e non annunciare,
nessuno può contestarlo.
Inutile metterla sulla rissa verbale, come fanno il
sottosegretario agli Affari Europei Sandro Gozi e pure Palazzo Chigi. Gozi
dice: "Con tutto il rispetto per Katainen, ciò che è giusto e ciò che è
sbagliato in Europa non lo decide il commissario pro tempore finlandese, ma il
Vertice dell'Unione", che “ha parlato chiaro su crescita e flessibilità:
di solo rigore l'Europa non campa" (ma neppure di solo promesse).
La rissa sta in quel ‘pro tempore’. Perché Katainen è
a Bruxelles per restarci, non solo lo scorcio che resta della Commissione
Barroso, ma pure tutto il quinquennio della Commissione Juncker. Sarebbe meglio
dialogarci, invece che usare le parole come pietre.
Come fa pure Palazzo Chigi: “Non siamo scolaretti indisciplinati: ciò che
fa l'Italia, specie le riforme .. , lo decide il popolo italiano, non certo il
commissario pro tempore finlandese” –e dalli!-. E, poi, la stoccata che vuole
essere decisiva: “Portiamo in Europa milioni di voti e miliardi di euro”.
Argomento un po’ logoro e un po’ scivoloso. Perché di
miliardi ne porteremmo di meno, se solo sapessimo spendere quelli messici a
disposizione dall’Unione. E perché i voti i partner s’aspettano che Renzi li
usi per fare le riforme: quelle utili a rilanciare la crescita e il lavoro.
Discorsi analoghi valgono sul fronte aperto delle
nomine europee: l’affondo del premier per mettere Federica Mogherini al posto
di alto rappresentante della politica estera e di sicurezza europea non è
riuscito a metà luglio e tutte le decisioni sono slittate al 30 agosto; e chi
era in pole position 10 giorni fa potrebbe ritrovarsi fuori dalla griglia fra
un mese.
Per il momento, il premier e il governo difendono in
trincea le chances della Mogherini, mentre c’è chi lavora a costruirle
alternative credibili. Ma l’Italia potrebbe prendere due piccioni con la fava
del rinvio: tenersi un ministro degli Esteri giovane, ma preparato e
competente, che nell’Unione farebbe fatica a sottrarsi al destino di basso
profilo toccato a Lady Ashton (che, a dire il vero, l’ha più accettato che
subito); e mandare a Bruxelles come commissario un ‘culo di pietra’ che possa
seguire i lavori dell’Esecutivo, senza essere sempre in missione, ed occuparsi
dei dossier ‘italiani’, oltre che dei propri. A Bruxelles, di grane da
risolvere ce ne sono sempre. Ed è meglio essere presenti, piuttosto che in
viaggio, quando si decide; e avere buoni rapporti con tutti i colleghi. Anche i
finlandesi.
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