La presenza dell’Eni in Nigeria è una storia vecchia di oltre 50 anni: comincia nel 1962, quando l’Agip avvia attività di esplorazione. Oggi l’Eni è presente nel Paese con un intreccio d’accordi e contratti ed è la quarta compagnia ‘locale’, dopo Shell, Exxon/Mobil e Chevron.
Nell’area del Delta, nel sud-est, dove
si trovano pozzi e impianti, la situazione socio-politica richiede massima
attenzione, per ammissione degli stessi dirigenti Eni, dal punto di vista del
miglioramento delle condizioni di vita e di sicurezza, della salute e
dell’istruzione.
Se nel nord-est il movimento
integralista Boko Haram allarma l’opinione pubblica internazionale, con i raid
contro le popolazioni cristiane, il sequestro di centinaia di studentesse e
l’insediamento d’un califfato a cavallo delle frontiere –proprio ieri, i capi
locali hanno chiesto protezione all’Onu-, nell’aerea del Delta –dice un
esperto- “petrolio, gas e guerriglia creano una miscela esplosiva”.
A nord e a sud, l’inazione,
l’inefficienza, la corruzione delle autorità e dell’esercito accrescono
l’impressione di disordine. Senza contare l’epidemia di Ebola in atto, che va
ampliandosi.
Secondo molti osservatori, le
compagnie petrolifera tentano di mettere la sordina a quanto avviene nel
sud-est, dai sequestri ricorrenti di personale (anche italiano) alle incursioni
di miliziani contro piattaforme e oleodotti, mentre gli impianti sono
presidiati da esercito regolare e squadre armate.
Nel Delta del Niger, l’attività delle multinazionali del
petrolio provoca –dicono ambientalisti e difensori dei diritti umani- gravi
danni. Le comunità locali sono appoggiate dal Mend -Movimento per l’emancipazione
del Delta-e dal Mosop -Movimento per la sopravvivenza del popolo Ogoni-.
La Nigeria ,
8° produttore mondiale, ha dovuto ridurre la produzione d’un quinto, dopo una
serie d’attacchi anche contro piattaforme offshore.
La Nigeria
e gli altri fornitori africani cui l’Eni guarda con interesse, specie Angola e
Mozambico, servono a ridurre la dipendenza energetica italiana da fornitori relativamente
instabili, come Libia e pure Algeria nel Nord Africa o la Russia a Est.
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