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martedì 1 luglio 2014

MO: il califfato jihadista apre il fronte palestinese

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 01/07/2014

Il ritrovamento, nei pressi di Hebron, dei cadaveri dei giovani coloni scomparsi il 12 giugno uccide le speranze di un esito non cruento del loro sequestro, esaspera le tensioni fra israeliani e palestinesi, crea spaccature nei Territori. La vicenda dei tre, rapiti mentre facevano autostop nel sud della Cisgiordania, aveva già suscitato emozione ed apprensione in tutto il Mondo.

Il premier israeliano Benjamin Netanyahu convoca d'urgenza una seduta di emergenza del gabinetto per la sicurezza, proprio per discutere dei "drammatici sviluppi". C’è chi ipotizza, dietro il crimine, un disegno delle milizie jihadiste che hanno insediato, tra l’Iraq e la Siria, un nuovo califfato.

La nascita del califfato può incendiare tutta la Regione, investire la Giordania e attizzare le frizioni nei Territori, dove i qaedisti starebbero reclutando combattenti per le loro milizie, alimentando così i contrasti tra Hamas, il cui premier Ismail Haniyeh ha annunciato il 23 giugno la terza Intifada, ed al Fatha.

Con il rapimento dei tre giovani coloni e, ora, la loro ‘esecuzione’, i jihadisti -se sono davvero loro dietro tutto ciò- fanno leva sulla frustrazione e sul risentimento di parte dei palestinesi verso leader quasi rassegnati al ristagno delle trattative con Israele e poco inclini a riprendere la lotta contro l’occupazione.

Non a caso, tutto ciò avviene all’inizio del Ramadan, il mese del digiuno sacro ai musulmani, quando i proclami esaltati della Guerra Santa trovano terreno più fertile. Per proclamare la nascita del loro califfato e l’insediamento del primo califfo, Abu Bakr al Baghdadi, le milizie jihadiste dell’Isis, lo Stato islamico d’Iraq e Siria, hanno proprio atteso l’avvio del Ramadan.

E se l’annuncio viene a coincidere con una controffensiva dell’esercito regolare iracheno, che tenta di riprendere Tikrit, la città di Saddam Hussein, e altri centri a nord di Baghdad, presi dagli insorti nell’avanzata acceleratasi dopo il 9 giugno, altrove le milizie restano all’offensiva: nelle ultime 48 ore, decine di lealisti sarebbero caduti in scontri alle porte della capitale.

Il califfato islamico si estende sulle regioni conquistate dai combattenti qaedisti, a cavallo tra Iraq e Siria, dove gli integralisti continuano a ricorrere agli strumenti del terrorismo: loro, probabilmente, l’autobomba esplosa domenica a Duma, un sobborgo di Damasco, facendo decine di vittime.

In un messaggio radio diffuso su Internet, l’Isis, che adotta ora il nome di Stati islamico, per evitare ogni riferimento alle frontiere acquisite, indica il proprio capo al-Baghdadi come califfo e, quindi, leader della umma dei musulmani, la comunità dell’Islam in tutto il mondo. Abu Bakr era il nome del primo califfo, insediato al potere nel 632 d.C., alla morte di Maometto.

Nel messaggio, Abu Mohammas al-Adnani, portavoce dell’Isis, spiega che il califfato sunnita copre da Aleppo, nel nord della Siria, a Diyala, nell’Est dell’Iraq, regioni già occupate dalle milizie, forti di decine di migliaia di combattenti contro i regimi di Damasco e di Baghdad. “Musulmani, respingete la democrazia, la laicità, il nazionalismo e tutta l’altra immondizia occidentale. Tornate alla vostra religione”, è il proclama di al-Adnani.

In questo scenario, si muovono potenze regionali, come, in primo luogo, l’Iran, a fianco degli sciiti d’Iraq, e Israele, preoccupato di subire una sorta d’accerchiamento jihadista, e le Grandi Potenze, come la Russia, che ha fornito a Baghdad 12 aerei militari Sukoi Su-25 (cinque già consegnati), mentre gli Stati Uniti si sono finora limitati a inviare circa 300 esperti militari e dei droni, aerei senza pilota.

L’unico dato positivo pare essere l’imminente arrivo nel porto di Gioia Tauro della nave danese che ha lasciato nei giorni scorsi il porto siriano di Latakia con un carico di componenti chimici letali, se assemblati. Domani, il materiale sarà trasbordato su unità attrezzate per distruggerlo. Un’operazione che apre scenari di disarmo, in un contesto di guerra.

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