Dall’ennesima cruenta crisi mediorientale, Super-Potenze e potenze regionali, vicini volenterosi e organizzazioni internazionali, girano tutti alla larga. Non perché chi tocca i fili muore, ché, a Gaza, a morire sono centinaia di palestinesi e decine di israeliani; e nessun aereo civile ne traversa il cielo, solcato da caccia israeliani e razzi palestinesi. In 14 giorni d’offensiva israeliana sulla Striscia, la conta delle vittime è di oltre 550 palestinesi uccisi, e oltre 3000 feriti, contro una ventina di militari israeliani caduti.
Girano alla larga perché, a
occuparsene, non si cava un ragno dal buco e si rischia di collezionare magre
diplomatiche. Salvo, poi, quando i buoi sono scappati –e gli israeliani hanno
già raggiunto, almeno in parte, i loro obiettivi- precipitarsi sui luoghi.
Dove, in queste ore, convergono Usa, Russia e Onu. E l’Ue? C’è, c’è stata,
l’hanno vista da quelle parti. Ma il segno non l’ha lasciato.
Il presidente Obama spedisce al
Cairo il segretario di Stato John Kerry per “una tregua immediata” a Gaza e in
Israele: vuol dire stop alle operazioni di terra e ai raid e stop ai razzi. “La
priorità nostra e della comunità internazionale –sostiene Obama, sempre bravo a
parole- è un cessate-il-fuoco che salvi la vita a civili innocenti … Il compito
non sarà semplice: c’è molta passione e ci sono grosse difficoltà strategiche,
ma ho chiesto a Kerry di fare tutto il possibile”. E Obama rileva che Israele
“ha già inflitto danni significativi alle infrastrutture terroristiche di Hamas
a Gaza”. Cioè, “Netanyahu, hai già avuto quel che cercavi, ora basta”: il
linguaggio più esplicito che gli Usa possono permettersi con Israele, che
criticano solo ‘fuori onda’ –come fa Kerry, un infortunio che casca bene-.
Se Washington si muove, Mosca non
può stare a guardare. Ecco dal Cremlino l’appello alla tregua e ad “un’azione
concertata della comunità internazionale”. Il cui linguaggio è più schierato di
quello della Casa Bianca: “La situazione a Gaza è letteralmente degenerata,
dopo l’avvio dell’offensiva terrestre israeliana”. Mosca appoggia gli sforzi
dell’Egitto, ma non c’è feeling tra Hamas e il regime del generale al Sisi,
anche se fonti iraniane riferiscono di “significativi progressi” fatti nel Qatar,
nei negoziati tra Fatah e Hamas sulla proposta di tregua egiziana.
All’Onu, il Consiglio di Sicurezza
non va oltre “la grave preoccupazione” per il numero crescente delle vittime e
il rinnovato appello “a cessare immediatamente le ostilità”, sulla base
dell’accordo fra Israele e Hamas del novembre 2012. Il segretario generale Ban
Ky-moon è in Medio Oriente, finora con scarso costrutto, anche sul fronte
umanitario, nonostante “gli enormi bisogni” delle 83 mila persone rifugiatesi
nelle strutture delle Nazioni Unite.
E l’Italia, che dal 1° luglio guida
il Consiglio dell’Ue? La politica estera e di sicurezza europea è nelle mani di
Lady Ashton, che non ha mai mostrato grande sintonia con le vicende
mediorientali. Federica Mogherini, che aspira a succederle, è stata nella
Regione e ieri ha ricevuto il collega turco Mevlüt Cavusoglu: c’è l’idea “d’un
ripensamento generale del quadro mediorientale e mediterraneo e di un approccio
globale” alle problematiche regionali –MO, ma anche Siria, Iraq, Libia- verso “soluzioni
sistemiche” alle crisi di quello scacchiere.
La presidenza italiana progettava di
lavorare sul contesto mediterraneo e, in particolare, sulla Libia, che resta
una priorità della Farnesina e non solo. Il sussulto di guerra tra israeliani e
palestinesi manda all’aria i piani. E l’equidistanza diplomatica fra israeliani
e palestinesi suscita mal di pancia nel Pd, dove Gianni Cuperlo, in un post su
Facebook, chiede spirito d’iniziativa alla segreteria, denuncia la ‘guerra
asimmetrica’ e propone che se ne parli alle Feste dell’Unità. Non piovessero le
bombe, a Gaza sorriderebbero.
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