Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano e per EurActiv.it il 14/07/2014
Alla fine, vince l’Europa –per la prima volta in America-: la Germania del rigore (e,
nell'antologia dei luoghi comuni, dell’organizzazione) batte l’Argentina,
campione di default (e, a priori, di estro). E fanno 11 Mondiali all’Unione
–quattro ciascuno Italia e Germania, uno ciascuno Gran Bretagna, Francia e
Spagna- contro 9 al Resto del Mondo –cinque al Brasile, due ciascuno a Uruguay
e Argentina-.
Certo, la svelta –e piccola- Olanda faceva più simpatia
della massiccia –e grande- Germania. Però, gli olandesi, fuori contro
l’Argentina ai rigori, sono politicamente portatori dello stesso messaggio:
prima i conti in ordine, poi la flessibilità. I cui alfieri, al Mondiale in
Brasile, non sono stati brillanti: Italia e Spagna fuori subito, come
l’Inghilterra –che non rientra in nessuna categoria Ue-, Grecia agli ottavi,
Francia ai quarti.
La metafora calcistica vale quel che vale, cioè poco. Ma
l’Italia, presidente di turno del Consiglio dell’Ue, farà bene a non
sottovalutare, nel dibattito sulla flessibilità, dove per ora si una melina
persino stucchevole, la determinazione dei suoi interlocutori: quelli del
rigore sono tosti, sanno trasformare le stagioni di difficoltà in momenti di
crescita di rinnovamento.
Così, dopo la delusione casalinga inflittale dall'Italia
2006, la Germania
calcistica campione 2014 ha
fatto il percorso dell’integrazione riuscito per prima all'Olanda degli Anni
’70, con molucchesi e surinamesi, e poi alla Francia del ’98, con la sua nazionale
multi-etnica. E senza nulla perdere nell'organizzazione ha acquisito diversità
e pizzichi di fantasia.
Il calcio è un’altra cosa? Certo. Ma dalla Germania che
chiedeva –e otteneva- flessibilità agli albori dell’euro sono uscite le riforme
e un’economia ora solida. Mentre dai nostri anni di riforme sempre promesse e
mai fatte è uscita quest’Italia che non cresce, afflitta dalla sindrome del
Gattopardo e che rischia di confondere il cambiamento con la rottamazione della
competenza.
Aggiungerei un nome agli "anni di riforme sempre promesse e mai fatte": Silvio Berlusconi ed il suo ventennio disastroso, con il contratto con gli Italiani e il ponte sullo stretto di Messina (da piangere) e i suoi alleati leghisti con Bossi in canottiera. La mente vacilla.
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