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martedì 8 luglio 2014

Shevarnadze: con Gorbaciov, sciolse la guerra fredda

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 08/07/2014

E’ nato sovietico. E’ morto georgiano. Non è mai stato russo. L’Occidente, che mostrava simpatia per le sue ciocche di capelli bianchi perennemente in disordine,  lo ricorda più delle sue terre. Eduard Shevarnadze, ministro degli esteri dell’Urss di Gorbaciov dal 1985 al suo dissolvimento, protagonista degli anni della perestroika, uno degli artefici della fine della Guerra Fredda, poi presidente della Georgia dal 1995 al 2003, è morto ieri all’età di 86 anni, a Tbilisi. Era malato da tempo.

Il ricordo più commosso è quello di Gorbaciov, che piange “l’amico” "un uomo molto capace e molto predisposto al lavoro con la gente". Putin e gli attuali leader georgiani si sono limitati a parole di circostanza. Il primo vice presidente della Duma, il comunista Melnikov, lo ha invece bollato come una "figura del gruppo di quelli che passeranno alla storia come distruttori dell'Urss, spinti in questa direzione dalle forze dell'Ovest".

Nel 1985, Gorbaciov, da poco nominato segretario generale del Pcus e presidente dell’Urss, lo chiamò dalla Georgia, dove guidava il partito comunista di quella repubblica, a Mosca, come ministro degli esteri: parve una scelta avventata, si rivelò una scelta azzeccata. Per circa 6 anni, Shevarnadze fu uno dei principali artefici del disarmo internazionale; e si mostrò capace di stringere in Occidente solide amicizie. Come quella con il collega tedesco Genscher, il ministro degli esteri della Caduta del Muro e della Riunificazione: “Divenimmo amici personali, cosa che io non avrei mai creduto possibile”.

Aveva lasciato la scena politica dopo un’esperienza tormentata alla guida della Georgia. Subentrò all’autocrate Gamsakurdia; dopo di lui, quello che in altri tempi si sarebbe definito “un fantoccio degli americani”, Saakashvili; si dimise prima di essere cacciato dalla ‘Rivoluzione delle Rose’.

La sua presidenza fu segnata da alcuni falliti attentati – uno quasi andò a segno: lo dice l’immagine di lui in canottiera sulla poltrona del suo ufficio, lo sguardo dilatato, il volto coperto da schegge e grumi di sangue - e dal deterioramento della situazione economica e sociale del suo Paese. Viveva "senza paura”, ma “consapevole che ogni giorno poteva essere l'ultimo", scrive il sito russo Mir24.

Le sue dimissioni gli permisero di salvaguardare, in patria, una certa credibilità. A gennaio, cancellò la festa per il suo 86° compleanno per rispetto delle vitiime sul Maidan di Kiev, dove allora era in corso la protesta contro il presidente filorusso Yanukovich.

Ai giornalisti, amava raccontare di essere nato "per miracolo", perché i medici giudicavano la vita sua e della mamma "in pericolo". Il coraggio della mamma, l’aiuto di Dio e la bravura dei dottori i fecero venire al mondo Eduard e sopravvivere sua madre.

Del suo lascito, diceva: "Saranno i posteri a decidere se rimarrò nella storia come ministro degli Esteri sovietico o leader della Georgia. Ma so che tutti, alla fine, hanno quello che si meritano".

E quando cominciarono a circolare voci su un cancro alla prostata –smentite-, rispose in versi: "Vivrò ancora a lungo / sarò di titanio come prima / morirò, sapete / non portatemi rose", che sono un emblema della Georgia.

I funerali si faranno domenica 13 luglio. Shevarnadze sarà sepolto nel giardino della sua residenza, presso Tbilisi, accanto alla moglie Nanuli: “La sua scomparsa –aveva detto- è stata il momento più tragico della mia vita. Voglio riposare al suo fianco”.

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