Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 29/11/2014
2014/11/29 – Il
presidente Obama rispetta le tradizioni americane, nel lungo week-end della
Festa del Ringraziamento. Ma trova pure modo di lanciare un messaggio di
tolleranza e di rispetto, mentre l’ondata di proteste per la sentenza di
Ferguson investe il Black Friday, il giorno che segna l’avvio della stagione
degli acquisti natalizia. Alla Casa Bianca, è arrivato dalla Pennsylvania l'albero di Natale, su un carro trainato da cavalli. Ad
accoglierlo, c’era la first lady Michelle Obama con le figlie Sasha e Malia e i
due cani presidenziali, Bo e Sunny. L'albero, alto più di cinque metri, sarà allestito
nella Stanza Blu. A giorni, poi, ci sarà l’accensione dell’albero sul Mall, all'esterno
della residenza presidenziale. La vigilia della Festa del
Ringraziamento, il presidente aveva graziato il tacchino Cheese, 21 chili, una
bella bestia. Nella consueta cerimonia alla Casa Bianca, che precede l’abbuffata
di Thanksgiving, Obama ha evocato le tensioni razziali in tutta l’Unione, dopo
la mancata incriminazione del poliziotto bianco che ad agosto uccise un ragazzo
nero di 18 anni. "Accettiamo l'apporto di tutta la gente che considera gli
Stati Uniti il suo Paese, senza guardare all'origine o al colore della pelle,
perché così si arricchisce la vita della nostra Nazione". "Ognuno di
noi metta in tavola le proprie tradizioni, culture e ricette, ma tutti condividiamo
questo giorno, quando ci unisce la gratitudine che sentiamo per l'abbondanza
che ci dona questo Paese". (AGI-gp)
sabato 29 novembre 2014
Ue: Movimento europeo; Gozi a Congresso, verso nuovo ciclo
Scritto per EurActiv.it il 29/11/2014
L’avvio di un
nuovo ciclo politico europeo è stato auspicato dal sottosegretario agli Affari
Europei Sandro Gozi, intervenendo oggi a Roma in Campidoglio al congresso del
Movimento europeo internazionale.
Il Congresso
s’è svolto nella sala della Protomoteca, tutta la giornata di venerdì 28 e la mattina di
sabato 29 novembre, con il titolo “Beyond Nations: Empowering European
Citizens' Sovereignty”.
In apertura dei lavori, il presidente
del Consiglio italiano del Movimento europeo Pier Virgilio Dastoli ha ricordato
l’anniversario, trent'anni or sono, del progetto di Trattato istitutivo dell’Unione
europea voluto da Altiero Spinelli e votato dal Parlamento europeo. Dastoli ha
sottolineato che Spinelli non era per nulla favorevole al cosiddetto ‘metodo
comunitario’, che Jacques Delors avrebbe poi definito “il metodo
dell’ingranaggio” (un ingranaggio che s’è ora, per di più, inceppato).
Parlando ai delegati venerdì, Massimo
D’Alema, ex presidente del Consiglio, s’è presentato come “euro-critico”,
perché –ha spiegato- è evidente che le cose in Europa non vanno bene, ma s’è
pure detto convinto della necessità di
mettere in piedi meccanismi che ci consentano di sormontare difficoltà e
ostacoli.
D’Alema non è stato tenero sul
cosiddetto ‘piano Juncker’ per rimettere in moto la crescita e l’occupazione
-21 miliardi di euro in tre anni per metterne in moto oltre 300-: il piano –ha
sostenuto- arriva tardi ed è
insufficiente e non è neppure chiaro se i soldi ci siano davvero e da dove
vengano.
Nel suo discorso, questa mattina, Gozi
ha ricordato il lavoro fatta dalla presidenza di turno italiana del Consiglio
dell’Ue, che si chiuderà il 31 dicembre, “in un momento difficile, ma pure
pieno d’opportunità”. Quanto al cammino da proseguire perché “il lavoro
dell’Unione europea non è finito”, ci sono “ancora tabù”, specialmente “quelli
istituzionali”. Per cui, prima di pensare di andare al di là del Trattato di Lisbona,
bisogna esplorare il potenziale e i limiti del Trattato esistente.
Il sottosegretario ha detto: “Anch'io,
che sono una genuina espressione della generazione Erasmo, comincio ad avere
dei dubbi sull'immagine dell’Unione”, in un’Italia che non è più il Paese dove
l’opinione pubblica è più favorevole all'integrazione “soprattutto perché la
governance economica è insoddisfacente”.
Gozi auspica che il Parlamento europeo
possa farsi promotore di uno sviluppo istituzionale, non solo economico, dall’integrazione
europea. La presidenza italiana considera acquisito il progresso dell’elezione
semi-diretta del presidente della Commissione europea e rilancia il cosiddetto
rapporto dei Quattro presidenti dello 2013, dei cui quattro obiettivi solo uno,
l’Unione bancaria, può considerarsi al momento realizzato.
Gozi ha anche insistito sul tema dei
diritti e dei valori fondamentali, che non vanno solo vagliati prima
dell’ingresso di un Paese nell’Ue: il loro rispetto va anche monitorato quando
un Paese è nell’Unione.
“Il Congresso –recita un comunicato- rappresenta l’occasione principale di dibattito della società civile organizzata europea durante il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Ue. Fra i temi in discussione lo sviluppo sostenibile per lottare contro la recessione e la disoccupazione, la capacità fiscale dell’Unione e in particolare dell’Eurozona, le relazioni con i paesi mediterranei e la politica di immigrazione, la riforma dei trattati e la democratizzazione dell’Unione”. ... di qui in avanti, prosegue comunicato stampa Movimento europeo ...
“Il Congresso –recita un comunicato- rappresenta l’occasione principale di dibattito della società civile organizzata europea durante il semestre di presidenza italiana del Consiglio dell’Ue. Fra i temi in discussione lo sviluppo sostenibile per lottare contro la recessione e la disoccupazione, la capacità fiscale dell’Unione e in particolare dell’Eurozona, le relazioni con i paesi mediterranei e la politica di immigrazione, la riforma dei trattati e la democratizzazione dell’Unione”. ... di qui in avanti, prosegue comunicato stampa Movimento europeo ...
venerdì 28 novembre 2014
Usa: la legge di Murphy applicata all’Amministrazione Obama
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 27/11/2014
2014/11/27 - Dopo le elezioni di
Mid-term, il presidente Obama appare perseguitato da una ‘legge di Murphy’
applicata alla sua Amministrazione sui fronti della politica interna degli Stati
Uniti. Dopo l’avvicendamento, largamente previsto, del ministro della Giustizia
Eric Holder con Loretta Lynch, la prima nera in quel posto, e una settimana d’evasione
ai Vertici dell’Apec e del G20, tra Cina e Australia, Obama s’è ritrovato nel
ginepraio americano. Bocciata la riforma della National Security Agency, dopo
lo scandalo delle intercettazioni; accettate le dimissioni del segretario alla
Difesa Chuck Hagel, per contrasti sulla strategia anti-Is, tra Iraq e Siria; e,
quasi contestualmente, cambio di strategia in Afghanistan, dando implicitamente
ragione, per certi versi, proprio ad Hagel –e mancando di coerenza in modo
palese con le scelte fatte a suo tempo in Iraq e con l’atteggiamento anti-Is-;
prospettive di confronto duro con l’opposizione repubblicana, che da gennaio
controllerà sia la Camera che il Senato, sulla riforma dell’immigrazione,
decisa con l’equivalente americano del decreto legge. E, come se non bastasse,
ecco la sentenza di Ferguson e la protesta razziale che attraversa l’Unione.
Fortuna, per Obama, che la Festa del Ringraziamento e il Venerdì Nero stanno
per portarsi via questo suo disgraziatissimo novembre. (gp)
giovedì 27 novembre 2014
Ue: piano Junker, il miracolo dei pani e dei pesci
Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/11/2014
A dirla proprio tutta, sembra il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci – ve lo ricordate?, quello dei Vangeli, con Gesù che sfama facile una moltitudine di persone -: i soldi freschi sono, se va bene, 21 miliardi e diventano 300 nell’economia reale, facendo da volano all’ammodernamento di infrastrutture produttive ed energetiche, banda larga, trasporti, sanità, ricerca, istruzione.
A dirla proprio tutta, sembra il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci – ve lo ricordate?, quello dei Vangeli, con Gesù che sfama facile una moltitudine di persone -: i soldi freschi sono, se va bene, 21 miliardi e diventano 300 nell’economia reale, facendo da volano all’ammodernamento di infrastrutture produttive ed energetiche, banda larga, trasporti, sanità, ricerca, istruzione.
E’ l’attesissimo ‘piano
Juncker’: il presidente della Commissione europea, impegnato a dribblare
mozioni di sfiducia grilline ed euro-scettiche, l’ha presentato a Strasburgo al
Parlamento europeo.
Attenzione!, però: il
piano non è ancora operativo. Il programma d’investimenti dell’Ue per drogare
la crescita e l’occupazione sarà definito entro fine anno e partirà
materialmente in primavera. Se ne parlerà all’ultimo Vertice europeo del
semestre di presidenza di turno italiana, il 18 e 19 dicembre.
Jean-Claude Juncker ci
mette a sorpresa una ciliegina per l’Italia: i contributi dei governi nazionali saranno fuori dal Patto di Stabilità. E così Renzi
e Padoan, presente all’illustrazione del piano, alzano il gran pavese della
soddisfazione e della vittoria. In attesa del via libera Ue, forse domani, alla
Legge di Stabilità.
“Serviva uno choc per
la crescita”, dice Padoan, prima di rientrare in Italia: c’era “un rischio
serio di movimento verso la stagnazione”.
Per Palazzo Chigi, l’iniziativa
è “solo l’inizio d’una nuova politica d’investimenti
europea”.
Ma fioccano i dubbi
sull’efficacia del programma. A BankItalia, c’è scetticismo sulla disponibilità
delle risorse e, soprattutto, sulle capacità dell’Italia di produrre progetti
adeguati in tempi brevi. E c’è chi ricorda, a Bruxelles, che l’Italia ha saputo
finora spendere solo il 60% dei fondi di coesione riservatile nel periodo
2007-’13: come riuscirà, nel giro di tre anni, utilizzare il 40% rimanente e pure
i fondi del ‘piano Juncker’?
L’ingegneria
finanziaria dell’ex premier lussemburghese prevede la creazione di un nuovo Fondo europeo per gli investimenti strategici (Feis), garantito con
fondi pubblici, frutto di collaborazione con la Banca europea per gli investimenti (Bei): il Feis sarà
dotato di 16 miliardi di euro provenienti dal bilancio Ue (Connecting Europe Facility e Horizon 2020) e di 5 miliardi Bei.
Per arrivare ai
vagheggiati 300 miliardi, bisogna
contare su un prodigioso effetto moltiplicatore: ogni euro garantito
dalla Commissione ne
produrrà almeno 15 in investimenti pubblici e privati. Addirittura, in base
alle stime fatte dall’Esecutivo Ue, le misure potrebbero fare crescere il Pil
dell’Unione di una somma oscillante tra i 330 e i 410 miliardi di euro e creare
fino a 1,3 milioni di posti di lavoro nuovi in tre anni. Il fatto che i
contributi statali siano “fuori dal deficit e dal debito” dovrebbe consentire il
coinvolgimento anche dei Paesi con i conti meno in ordine.
Juncker la vede così: “Il piano rappresenta un modo nuovo e ambizioso di
stimolare gli investimenti senza creare nuovo debito. È ora d’investire nel
futuro, in settori strategici
chiave”. Il suo vice Katainen ammette che “non è una bacchetta magica, ma
aiuta”.
Le perplessità però
sono grandi. Molti giudicano irrealistico l’ ‘effetto volano’ previsto e parlano d’un esercizio di ingegneria
finanziaria più che di un piano di investimenti; altri, come i Verdi, temono
che si guardi più alla quantità che alla qualità –e alla sostenibilità- dei
progetti lanciati. C’è la sensazione è che potrebbe ripetersi l’esperienza
negativa della Garanzia Giovani. O del Patto per la Crescita
varato al Vertice europeo del giugno 2013 e rimasto lettera morta. Le borse
reagiscono senza entusiasmo, chiudono miste, Milano debole.
I prossimi passaggi avranno ritmo serrato. A dicembre, Parlamento e Consiglio europei devono approvare il programma, mentre una task force congiunta Commissione-Bei stilerà un primo elenco di progetti praticabili, “per costituire una riserva europea trasparente”. Un “polo di consulenza” fungerà da sportello unico per promotori di progetti, investitori e autorità di gestione pubbliche. Grazie alla Bei, il piano sarà operativo entro la primavera del 2015.
I prossimi passaggi avranno ritmo serrato. A dicembre, Parlamento e Consiglio europei devono approvare il programma, mentre una task force congiunta Commissione-Bei stilerà un primo elenco di progetti praticabili, “per costituire una riserva europea trasparente”. Un “polo di consulenza” fungerà da sportello unico per promotori di progetti, investitori e autorità di gestione pubbliche. Grazie alla Bei, il piano sarà operativo entro la primavera del 2015.
mercoledì 26 novembre 2014
Usa: Ferguson, 50 anni dopo è sempre Mississippi Burning
Scritto per Il Fatto Quotidiano del 26/11/2014
Cinquant’anni
dopo, negli Stati Uniti è ancora e sempre ‘Mississippi Burning’: ‘Le radici
dell’odio’ è un film del 1988 di Alan Parker, con Gene Hackman e Willem Dafoe, che ricostruisce l’assassinio di tre
attivisti per i diritti civili avvenuto nel 1964 nel Mississippi, la notte del
solstizio d’estate. C’era un vice-sceriffo tra i colpevoli.
Quella era
l’America di Lyndon B. Johnson: il presidente Kennedy era stato ammazzato pochi
mesi prima. Nel 1962, a quasi un secolo dalla fine della Guerra Civile, che
aveva sancito l’abolizione della schiavitù, c’era voluta la Guardia Nazionale, mandata
proprio da Kennedy, per consentire a James Meredith, primo studente nero
iscritto all’Università del Mississippi, di entrare nell’Ateneo.
Le leggi
federali smantellavano la segregazione, che resisteva non solo negli Stati del
Sud. Kennedy aveva ancora fatto in tempo a vedere la marcia su Washington per i
diritti civili, il 28 agosto 1963, che Martin Luther King concluse con il discorso
simbolo di quella lotta, “I have a dream”.
Morto
Kennedy, Johnson, un uomo del Sud, un democratico del Texas, firmò il Civil
Rights Act, che bandiva ufficialmente la discriminazione razziale. E’ una fase di
forte avanzata dei diritti civili, ma anche di battute d’arresto e di venature
violente: 1965, Malcom X viene assassinato ad Harlem, a New York; 1966, nasce il movimento delle Pantere Nere;
1968, il 4 aprile l’apostolo dei neri, MLK, viene ucciso a Memphis, nel
Tennessee; pochi mesi più tardi, Tommie Smith e John Carlos, sul podio olimpico
dei 200 metri a Città del Messico, salutano la bandiera a stelle e strisce levando
il pugno chiuso in un guanto nero.
L’estate è
la stagione delle ‘rivolte razziali’, spesso innescate da fatti di cronaca che
vedono polizia e giovani di colore contrapporsi: fra le più drammatiche, le sommosse
di Detroit e Newark del 1967. Le fiammate estive delle tensioni bianchi/neri sono
una tragica costante delle cronache americane, un po’ come i roghi nelle
banlieues parigine: Ferguson è il caso del giorno, ma non sarà l’ultimo.
Il video del
pestaggio di Rodney King, un mezzo balordo, ad opera di quattro poliziotti, il 2
marzo 1991, scatena in California proteste come oggi nel Missouri. Quando gli
agenti vengono tutti assolti, interi quartieri di Los Angeles vivono giorni
tesissimi, vittime, violenze, incendi, saccheggi.
Nel 2001,
l’estate fu calda a Cincinnati, nell’Ohio, dove le tensioni razziali erano
andate covando e crescendo per anni con episodi di pestaggio di neri da parte
di agenti di polizia. Poi, toccò di nuovo a Los Angeles e, più di recente, alla
Florida: nel febbraio 2012, a Orlando, la città di DisneyWorld, un vigilante
ispanico uccide Trayvon Martin, 17 anni, il ragazzo col cappuccio di cui Obama
disse “poteva essere mio figlio”.
Il copione è
(quasi) sempre lo stesso: un nero ‘sospetto’, un agente prevenuto –e
impaurito-, oppure una gang di poliziotti violenti e determinati a ‘impartire
una lezione’. Certo, capita pure che l’essere afro-americano ti tiri
d’impaccio: succede nel 1994 a O.J.Simpson, campione di football. Giocando sul
sospetto di pregiudizio razziale nei suoi confronti, l’avvocato riesce a farlo
assolvere dall’accusa di duplice omicidio, la ex moglie e il suo nuovo
fidanzato. Non s’era mai visto assolvere un nero così palesemente colpevole.
Gli afro-americani guadagnano spazi: 1983, Guion Bluford Jr. è il primo astronauta nero; 1989, Colin Powell è il primo capo di Stato Maggiore nero (e nel 2001 è il primo segretario di Stato). Fino al 2008, quando Barack Obama è il primo nero eletto presidente degli Stati Uniti. Alla Casa Bianca, fa avanzare un’altra frontiera dei diritti civili, quella dell’uguaglianza per gay e lesbiche. Ma, come ‘avvocato’ degli afro-americani, sembra quasi frenato dal timore di apparire di parte.
Gli afro-americani guadagnano spazi: 1983, Guion Bluford Jr. è il primo astronauta nero; 1989, Colin Powell è il primo capo di Stato Maggiore nero (e nel 2001 è il primo segretario di Stato). Fino al 2008, quando Barack Obama è il primo nero eletto presidente degli Stati Uniti. Alla Casa Bianca, fa avanzare un’altra frontiera dei diritti civili, quella dell’uguaglianza per gay e lesbiche. Ma, come ‘avvocato’ degli afro-americani, sembra quasi frenato dal timore di apparire di parte.
martedì 25 novembre 2014
Usa: Ferguson, poliziotto non incriminato, incidenti, feriti, incendi
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 25/11/2014
E' di un agente ferito, numerosi contusi, una decina di edifici in fiamme,
diversi altri saccheggiati e almeno 150 colpi d'arma da fuoco sparati (alcuni
contro una troupe della Nbc) il primo bilancio della notte di violenze a
Ferguson in Missouri dopo la mancata incriminazione del poliziotto bianco
Darren Wilson che il 9 agosto scorso uccise Michael Brown, 18 anni, nero e
disarmato. Il poliziotto ferito è stato
colpito alla testa con una bottiglia. I dati sono stati forniti dal capo
della polizia della contea di St. Louis John Belmar, secondo il quale gli
agenti hanno "lanciato lacrimogeni, ma non hanno sparato neanche un
colpo". "Di sicuro", ha aggiunto Belmar, "stanotte non abbiamo
assistito a una protesta pacifica". Una trentina gli arresti compiuti.
Anche due auto della polizia sono state distrutte dalle fiamme mentre un’auto è
stata rapinata al proprietario, costretto con la forza a scendere dal veicolo.
Le proteste sono state forti in tutta l’Unione: a New York, sono stati chiusi
tre ponti; a Los Angeles, è stata bloccata un’autostrada; a Seattle, si
lamentano disordini. Il presidente Barack Obama ha detto: “Non ci sono scuse
per la violenza", rinnovando l’invito alla calma dopo la decisione del
Gran Giurì di non incriminare l'agente Wilson. "Negli ultimi decenni
abbiamo fatto enormi progressi nelle relazioni razziali ma è sicuramente vero
che ci sono ancora problemi e che le comunità di colore questi problemi non li
inventano", ha rilevato il presidente dalla briefing room della Casa
Bianca, esortando le forze dell’ordine a intervenire "con
moderazione". (AGI-gp)
Iran: accordo su nucleare slitta, tempo fino a 30/06
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 25/11/2014
C’è un nuovo termine, il 30 giugno 2015, per raggiungere un accordo sul programma
nucleare iraniano, inclusi tutti gli aspetti tecnici ed operativi, così da avere
la garanzia che esso si limiti al settore energetico e non abbia risvolti militari.
Entro marzo, s’ipotizza un’intesa politica. I negoziati di Vienna di sono
conclusi lunedì con un nulla di fatto, nonostante un’accelerazione diplomatica
negli ultimi giorni: i "5+1" hanno concordato con Teheran, di
spostare ancora una volta il termine per l'accordo definitivo (che scadeva alla
mezzanotte del 24/11). Il ministro degli Esteri britannico Philip Hammond ha
spiegato che, nel frattempo, a Teheran, non solo non saranno inflitte ulteriori
sanzioni, ma sarà concesso il prelievo, dai fondi congelati all'estero, di 700
milioni di dollari al mese fino al raggiungimento dell'intesa. Le trattative, che vanno avanti
tra alti e basi da 12 anni, proseguiranno a livello non ministeriale: 'paletti'
al programma atomico iraniano in cambio di alleggerimenti delle sanzioni al regime
degli ayatollah. A Vienna c’erano tutti, per quello che molti speravano fosse
il rush finale, anche il ministro degli Esteri cinese Wang Yi, con i colleghi
di Stati Uniti, Russia, Francia Regno Unito e Germania, per trattare con l'iraniano,
Mohammed Javad Zarif. Le parti sembrano ancora distanti su due questioni
cruciali e parallele: l'arricchimento dell'uranio –il processo che, oltre un
certo livello, lo rende utilizzabile a scopi militari- e l'alleggerimento delle
sanzioni. A gioire per il rinvio, è il premier israeliano Benjamin Netanyahu,
che considera il regime degli ayatollah il principale nemico dello Stato ebraico:
"Questo è il risultato di gran lunga migliore -ha detto alla Bbc-. L'accordo
che Teheran voleva raggiungere era terribile: lasciava all'Iran la capacità di
arricchire uranio per arrivare all’atomica mentre sarebbero state annullate le
sanzioni”. Preoccupato, invece,
il presidente Usa Barack Obama: i repubblicani, che, dopo le elezioni di
Mid-term, controlleranno il Congresso da gennaio, prospettano un inasprimento
delle sanzioni che sconfesserebbe gli impegni appena assunti. (AGI-gp)
lunedì 24 novembre 2014
Usa: ministro difesa Hagel lascia, Obama accetta dimissioni
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 24/11/2014
2014/11/24 – Il segretario alla Difesa Usa
Chuck Hagel ha rassegnato le dimissioni e il presidente Barack Obama le ha
accettate. La notizia è divenuta ufficiale poche ore dopo essere stata
anticipata dal New York Times (parlando di dimissioni “imposte”). Hagel resterà
al Pentagono fino all'insediamento del suo successore, la cui nomina deve
essere ratificata dal Senato. L’accantonamento del capo del Pentagono
viene attribuito a divergenze sulle modalità di lotta contro il sedicente Stato
islamico: i militari ritengono che la guerra contro il Califfato non possa
essere vinta solo con il ricorso a raid aerei e droni. Ciò non ha però distolto
il presidente dal rendere omaggio ad Hagel, un ‘repubblicano anomalo’: "Chuck
Hagel non è stato un segretario alla Difesa comune, ma piuttosto un esemplare"
capo del Pentagono. Secondo Obama, Hagel aveva già deciso "lo scorso mese
che era tempo per lui di porre fine al suo incarico". Obama, che aveva
accanto a se oltre ad Hagel anche il suo vice Joe Biden, ha detto che grazie al
segretario alla difesa dimissionario "i nostri soldati sono più forti"
e ha ricordato come Hagel si sia dedicato "alla sicurezza nazionale per
oltre 60 anni", a partire dalla decisione di andare "volontario in
Vietnam". L’ormai ex segretario alla difesa venne nominato da Obama, che allora
lo definì "il leader che le nostre truppe meritano", il 7 gennaio 2013,
al posto del democratico Leon Panetta (che recentemente è uscito allo scoperto,
criticando la strategia di Obama in Iraq). Eroe del Vietnam pluridecorato, 68
anni, è stato senatore repubblicano per il Nebraska dal 1997 al 2009. Proprio al
Congresso conobbe il giovane senatore dell'Illinois Obama. Hagel votò nel 2003 a favore
dell’invasione dell’Iraq, di cui poi divenne strenuo critico. Obama lo scelse per
gestire il ritiro dall'Afghanistan, la cui portata viene ora messa in
discussione. All’inizio del suo mandato venne considerato un nemico di Israele
perché contrario alle sanzioni contro l'Iran. Hagel
è il secondo ministro a lasciare dopo la sconfitta dei democratici nelle
elezioni di Mid-term il 4 novembre: il primo fu il ministro della giustizia Eric
Holder, la cui uscita di scena era però già prevista. (AGI-gp)
domenica 23 novembre 2014
Afghanistan: Obama estende missione soldati Usa nel 2015
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 23/11/2014
Ue: Università per l'Europa a Gozi, una roadmap per l'Unione
Scritto per EurActiv.it il 23/11/2014
L’Università per l’Europa incontra il sottosegretario
agli Affari Europei Sandro Gozi: l’iniziativa ‘verso l’Unione politica’,
lanciata e animata dal professor Francesco Gui, docente alla Sapienza e
segretario regionale del Movimento federalista del Lazio, sollecita il Governo
a promuovere iniziative per rilanciare il percorso dell’integrazione,
nell’ultimo scorcio del semestre di presidenza di turno italiana del Consiglio
dell’Ue.
All’incontro con Gozi erano presenti docenti universitari,
con il pro-rettore della Sapienza Antonello Biagini, e presidi
e professori delle scuole medie superiori, diplomatici, esperti e specialisti
d’affari europei e internazionali, esponenti federalisti.
Nel suo intervento, l’onorevole Gozi ha rivendicato alla presidenza italiana l’attenzione ottenuta sulle priorità
della crescita e dell’occupazione, ha sottolineato le difficoltà e i disaccordi
cui va oggi incontro –nella stessa Ue- un progetto d’Unione politica europea e
ha messo in dubbio la visione di quanti considerano la Commissione europea un
primo nucleo di governo europeo.
Se l’euro da solo non basta a tenere desto il
sogno europeo, e se le riforme, avvertite come vincolo esterno, cioè europeo,
non vanno in porto, bisogna porre con forza il tema delle istituzioni, senza,
però, avere ambizioni di revisione
dei Trattati, su cui c’è la disponibilità solo di due Paesi, il Belgio
in senso europeista, la Gran Bretagna in direzione opposta.
Nel dibattito, è emerso che la presidenza italiana può cercare di lasciare in eredità ai suoi successori una ‘roadmap’, che tenga conto di quanto rimasto inattuato del ‘rapporto dei quattro presidenti’ d’un anno fa –tutto, di fatto, tranne l’Unione bancaria, in fase di completamento- e punti a ridefinire, migliorare e rendere più efficace la governance dell’Ue, tenendo anche presente il potenziale d’integrazione rappresentato dalle cooperazioni rafforzate.
Nel dibattito, è emerso che la presidenza italiana può cercare di lasciare in eredità ai suoi successori una ‘roadmap’, che tenga conto di quanto rimasto inattuato del ‘rapporto dei quattro presidenti’ d’un anno fa –tutto, di fatto, tranne l’Unione bancaria, in fase di completamento- e punti a ridefinire, migliorare e rendere più efficace la governance dell’Ue, tenendo anche presente il potenziale d’integrazione rappresentato dalle cooperazioni rafforzate.
venerdì 21 novembre 2014
Usa: immigrazione, Obama legalizza 5 mln clandestini
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu' il 21/11/2014
2014/11/21 - Cambierà la vita di cinque
milioni di clandestini negli Stati Uniti, grazie al piano sull'immigrazione di
Barack Obama. La loro regolarizzazione è stata annunciata in diretta tv,
giovedì sera, dalla East Room della Casa Bianca. "Non è un amnistia",
ha precisato il presidente, che agirà con ordini esecutivi. "Un'amnistia
di massa non sarebbe giusta - ha spiegato Obama -, ma una deportazione di massa
sarebbe impossibile e contraria al nostro spirito: siamo una nazione di
immigrati". Ci sono state scene di giubilo in molte città statunitensi: davanti
alla Casa Bianca, immigrati esibivano cartelli con la scritta 'Gracias,
Presidente’. Il provvedimento offre la possibilità "di uscire dall'ombra"
a circa 4,1 milioni di clandestini con figli nati negli Usa, che potranno
ottenere una legalizzazione temporanea e il permesso di lavoro. Sarà inoltre
velocizzata e facilitata la concessione dei permessi di soggiorno ai cittadini
altamente qualificati e ai cosiddetti "dreamers", immigrati arrivati
negli Usa da bambini piccoli. Al momento sono circa 1,1 milioni i clandestini
che presentano questi ultimi requisiti. "Dovranno dimostrare di essere
negli Stati Uniti da almeno cinque anni - ha sottolineato Obama -: il piano non
riguarda né chi è arrivato di recente né chi arriverà in futuro". I
controlli alle frontiere saranno rafforzati: "Dora in avanti per chi
cercherà di entrare clandestinamente i rischi di essere catturato
aumenteranno". I repubblicani non hanno però accettato la mossa di Obama:
lo speaker della Camera, John Boehner, afferma che le misure incoraggiano l'immigrazione
illegale e sabotano il varo di una riforma bipartisan. Il Senato ha già approvato una riforma
delle leggi sull'immigrazione nel giugno 2013, ma la Camera non ha finora dato
seguito a’iniziatiba. (AGI-gp)
Usa: Obamacare, repubblicani denunciano
Obama per abuso potere
2014/11/21 - Il Partito repubblicano ha deciso di denunciare l’Amministrazione
Obama: l’accusa d’abuso di potere su alcuni aspetti della riforma sanitaria, la
cosiddetta Obamacare. Due azioni legali sono state formalmente avviate nei
confronti dei ministeri della Sanità e del Tesoro. La mossa era stata minacciata da tempo dai
leader repubblicani in Congresso, ma l'annuncio arriva poche ore dopo la presentazione
da parte del presidente del decreto di riforma del sistema dell'immigrazione e
suona, quindi, come una sorta di ritorsione. Nel dettaglio, il ricorso dei
repubblicani sostiene che l'Amministrazione Obama ha " illegalmente
regalato" alle compagnie di assicurazione circa 175 miliardi di dollari. Secondo
i dati del Congressional Budget Office, il governo federale pagherà questa cifra
nei prossimi dieci anni, nonostante tali risorse non siano state stanziate dal
Congresso. La questione riguarda il contributo che l'amministrazione paga per
conto delle famiglie più disagiate. Una seconda accusa è quella di avere
posticipato la clausola per cui le grandi imprese (quelle con più di 50
dipendenti) devono offrire una copertura sanitaria ai lavoratori a tempo pieno,
pena sanzioni. Questa norma è prima slittata dal 2013 al 2015, poi al 2016 per
le aziende che hanno tra 50 e 99 dipendenti. (gp)
giovedì 20 novembre 2014
Usa: Nsagate; intercettazioni, bocciata riforma, smacco per Obama
Scritto per www.GpNewsUsa2016 il 20/11/2014
2014-11-20 - Dopo il voto di Mid-term, cattive e buone
notizie si susseguono per il presidente Barack Obama. E la bocciatura al Senato
della riforma della National Security Agency (Nsa), l'agenzia di intelligence preposta
alle intercettazioni, è senz’altro una cattiva notizia: all'inizio dell'anno,
il presidente aveva infatti annunciato l'intenzione di riformare la Nsa e di
accrescerne la trasparenza, per riconquistare la fiducia degli americani e dei
partner internazionali sulle pratiche delle agenzie di intelligence. L’USA
Freedom Act, volta a porre fine allo spionaggio indiscriminato delle telefonate
di americani e alleati, non è passata per due soli voti, in un Senato ancora a
maggioranza democratica: ha avuto 58 consensi contro i 60 necessari. Decisivo è
stato il no del senatore della Florida, democratico, Bill Nelson. La riforma è
stata decisa dall'Amministrazione Obama dopo lo scandalo internazionale sulle
rivelazioni dell'ex tecnico informatico Edward Snowden. A favore dello USA
Freedom Act si sono invece schierati quattro
repubblicani, compreso l'ultra-conservatore texano Ted Cruz. Sul voto ha pesato
la preoccupazione di non ostacolare l’intelligence mentre gli Usa combattono
l'Isis in Iraq e in Siria. Se la riforma fosse passata, società come Verizon o
At&A non sarebbero più state tenute a consegnare i dati delle telefonate
alla Nsa, a meno di un ordine speciale da parte della Foreign Intelligence
Survelliance Curt. La questione tornerà a porsi il prossimo anno, dopo
l’insediamento del nuovo Congresso a maggioranza repubblicana in entrambe le
Camere: a giugno 2015 decadranno gli speciali poteri fissati dal Patriot Act,
la legge anti-terrorismo approvata dopo l’11/09/1993. (gp)
Immigrazione: Barack annuncia azioni esecutive
2014/11/20 - Barack Obama s’appresta ad annunciare azioni
esecutive sull'immigrazione, in un intervento tv dalla Casa Bianca in prima
serata. E' stato lo stesso presidente ad anticiparlo su Facebook: "Annuncerò
azioni per migliorare il sistema dell'immigrazione - ha affermato -. Tutti
condividono il fatto che non funzioni, ma sfortunatamente Washington ha
lasciato il problema irrisolto troppo a lungo". "Quelle che annuncerò
sono azioni che rientrano nei miei poteri di presidente", ha ancora
affermato Obama, anticipando le critiche dei repubblicani che lo accusano di
abuso di potere. "Contemporaneamente - ha aggiunto - continuo a incoraggiare
il Congresso affinché delinei un provvedimento bipartisan e comprensivo"
sull'immigrazione "per risolvere il problema". Obama punterebbe, in
particolare, a legalizzare gli immigrati clandestini, ma con figli nati negli
Stati Uniti e dunque con passaporto americano. Dovranno aspettare cinque anni
per avere anche loro la cittadinanza, esattamente come avviene per chi ottiene
la carta verde. L'intervento di Obama potrebbe riguardare fino a 5 milioni di
immigrati su un totale di 11 milioni. Secondo il portavoce della Casa Bianca,
Josh Earnest, di fronte all'inattività del Congresso, Obama ha deciso di fare
valere la sua autorità “per risolvere i problemi che ritiene prioritari".
Earnest ha gettato acqua sui timori di un possibile shutdown
dell'amministrazione a causa dell'ostruzionismo repubblicano. Il repubblicani
"lo hanno escluso - ha detto - e prendo per buone le loro affermazioni.
Anche per i repubblicani gli interessi della nazione - ha concluso - dovrebbero
venire prima di quelli politici". (AGI-gp)
mercoledì 19 novembre 2014
Usa: una grana in meno per Obama, oleodotto Keystone non passa in Senato
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 19/11/2014
2014/11/19 – Una buona notizia dal Senato
per il presidente Usa Barack Obama: per un solo voto, non passa il via libera all’oleodotto
Keystone XL, il controverso impianto che dovrebbe collegare le sabbie
bituminose del Canada con il Texas. Obama, che vi si oppone, vede così
scongiurato l'imbarazzo di dovere porre il veto su una legge approvata da un
Senato controllato dal suo partito, prima che si insedi il nuovo Congresso a
maggioranza repubblicana in entrambe le Camere. Per il via libera al
provvedimento, già approvato dalla Camera venerdì scorso, occorrevano 60 sì: ce
ne sono stati 59, tutti e 45 i senatori repubblicani, ma anche 14 della
maggioranza democratica. La senatrice della Louisiana Mary Landrieu sperava che
il sì all’oleodotto le avrebbe consentito di conservare il suo seggio nel
ballottaggio con lo sfidante repubblicano Bill Cassidy. I repubblicani,
tuttavia, considerano solo il match rinviato:
“Ne riparleremo l’anno prossimo”, avverte il senatore del Texas John Cornyn.
TransCanada aveva chiesto l’autorizzazione a costruire Keystone nel settembre
2008, dopo che l’uragano Ike aveva devastato gli imiani petroliferi nel Golfo
del Messico e agli albori della crisi finanziaria che avrebbe sconvolto l’economia
mondiale. Da allora, l’industria energetica americana è profondamente cambiata,
con l’avvento dello ‘shale gas’. Ma gli Stati Uniti restano importatori d’energia:
milioni di barili al giorno, secondo fonti dell’Amministrazione. Il Canada è il
loro principale fornitore. (AGI-gp)
Usa: rosso record da 62 mld
per fondo pensioni federale
2014/11/19 – Si fa un po’ più complicata
la scelta del nuovo direttore della Pbgc, che rimpiazzi Joshua Gotbaum dimessosi
l’estate scorsa: il presidente Barack Obama lo deve nominare quanto prima. La Pension
Benefit Guaranty Corp è l'agenzia federale degli Stati Uniti che eroga pensioni
a 41 milioni di americani: nell’anno fiscale chiusosi il 30 settembre, ha registrato
un deficit record di 62 miliardi di dollari, il rosso di bilancio più profondo
degli ultimi 40 anni. La Pbgc è la società assicurativa pubblica creata nel
1974 che entra in gioco quando i datori di lavoro non sono in grado di
sostenere i loro piani pensionistici. Con la crisi economica, il numero delle
società capaci di offrire piani pensionistici è crollato, facendo lievitare il ricorso
ai fondi pubblici, cioè al cosiddetto 401 (k). La Pension Benefit Guaranty Corp
ha chiuso il bilancio in rosso per 33 volte su 40, con qualche attivo solo tra
la fine degli Anni Novanta e i primi Anni Duemila. La Pbgc assicura tuttavia di
avere ancora fondi sufficienti per erogare le pensioni negli anni a venire. (AGI-gp)
Il Tiranno e la libertà di stampa: in principio fu Napoleone; e poi siamo rimasti lì
Scritto per Media Duemila online il 19/11/2014
San Miniato, Toscana, anzi, il centro della Toscana:
dalla terrazza che s’affaccia sulla piana, si vedono Vinci, il paese di
Leonardo, e Fucecchio, il paese di Montanelli. Boccate d’aria buona, italiana e
professionale. Si parla di Napoleone alla Fiera del Tartufo. Che c’entra? Sono
due glorie locali, Napoleone e il tartufo. La famiglia dei Bonaparte è
originaria di qui e lui giovanotto ci venne a fare visita a uno zio canonico,
per avere le patenti di nobiltà che servivano per la carriera militare. Il
tartufo non c’è bisogno che ve lo spieghi: venite voi da queste parti un
week-end d’autunno avanzato e ve ne renderete conto da soli.
E che c’entro io, con Napoleone e con il tartufo?
Quasi nulla con il primo, poco con il secondo, ché lo mangio una volta
all'anno. Ma l’amico e collega Luciano Scarzello m’ha coinvolto in un dibattito
– leggero- su Napoleone, l’Europa, la libertà di stampa, insieme al professor Sergio
Soave, docente di storia, che ne sa mille volte più di me (e si sente). Il
tutto nel 200° anniversario dell’esilio all’Isola d’Elba.
Al dibattito, ci sono pure emissari dell’Elba, oltre
al giovane Napoleone e allo zio canonico. Arrivo avendo come breviari due libri
recenti di due bravi colleghi, che hanno entrambi trattato un aspetto di
Napoleone particolare: Roberto Race ha scritto ‘Napoleone il comunicatore –
Passare alla storia non solo con le armi’, edizioni Egea; e Rocco Tancredi ha
scritto ‘Napoleone giornalista, lungimirante, ma interessato’, Fausto Lupetti
editore.
Leggendo Roberto e Rocco, ho realizzato, preparandomi
al dibattito, che Napoleone Bonaparte è stato il primo potente a doversi
confrontare con una stampa libera, perché il fiorire di testate d’orientamento
diverso durante la Rivoluzione francese non ha confronto con nessun altro
periodo storico precedente - e neppure con la coeva stampa anglosassone, meno
vivace e meno tumultuosa di quella francese dell’ultimo squarcio del XVIII
Secolo -.
E, al di là delle sue doti di comunicatore e della sua
vocazione a fare l’inviato di guerra, come reagì Napoleone alla libertà di
stampa? Come, dopo di lui, hanno reagito tutti i dittatori degli ultimi due
secoli: sopprimendola in patria; e cercando, invece, di fomentarla altrove,
tanto per creare grattacapi ai suoi avversari. Qualche cifra e due citazioni
–fonte, il Tancredi-: dopo il 1789, c’erano a Parigi 74 giornali d’ogni
tendenza; all’instaurazione dell’Impero, ne rimasero 14, poi ridotti a 4 nel
1811 per decreto napoleonico.
Napoleone stesso diceva di temere “tre giornali più di
100 mila baionette”. Mentre i suoi nemici gli riconoscevano l’abilità nel
manipolare l’informazione: per il cancelliere austriaco Metternich, quello
dell’Italia “espressione geografica”, “le gazzette valgono a Napoleone
un’armata di 300 mila uomini”.
E come reagirono i giornalisti agli attacchi alla
libertà di stampa? Molti, purtroppo, non reagirono: piegarono la schiena e si
misero al servizio del potente. La parabola del Moniteur, organo ufficiale
dell’Impero, è umiliante, per la categoria: esiliato, Napoleone diventa
l’antropofago, l’orco, la tigre, il mostro, il tiranno, l’usurpatore; ma il
giorno che, fuggito dall’Elba, giunge a Parigi torna a essere l’Imperatore e “sua
Maestà imperiale”. Il tutto a firma dello stesso direttore, tale Panckoucke.
martedì 18 novembre 2014
Usa 2016: democratici, ipotesi De Blasio in funzione anti-Hillary
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu il 18/11/2014
18/11/2014 - Ipotesi liberal, probabilmente troppo, in funzione anti-Hillary, in vista della corsa alla nomination democratica per Usa2016: chiacchiere, per il momento. Bill de Blasio, il sindaco di New York, italo-americano, moglie nera, potrebbe scendere in campo: la sua vittoria elettorale nella Grande Mela fu larghissima, ma le sue performances come primo cittadino non fanno l’unanimità. Il presidente del partito repubblicano di New York, Ed Cox, quindi un avversario, pensa che de Blasio abbia le carte in regola per mettere fuori gioco Hillary Clinton: "E' come Barack Obama – spiega sul New York Post Cox, genero dell'ex presidente Richard Nixon - Lui era un giovane senatore, fresco di politica, ha corso e ha vinto. Credo che de Blasio lo farà". In realtà, quello di Cox è forse un auspicio: alle presidenziali, De Blasio sarebbe un candidato più facile da battere di Hillary, che occupa di più il centro dello schieramento politico. Secondo l'International Business Times, de Blasio riscuote ampi consensi tra le minoranze: il 65% dei neri e il 55% degli ispanici approva il suo operato, mentre solo il 36% dei bianchi lo sostiene.
18/11/2014 - Ipotesi liberal, probabilmente troppo, in funzione anti-Hillary, in vista della corsa alla nomination democratica per Usa2016: chiacchiere, per il momento. Bill de Blasio, il sindaco di New York, italo-americano, moglie nera, potrebbe scendere in campo: la sua vittoria elettorale nella Grande Mela fu larghissima, ma le sue performances come primo cittadino non fanno l’unanimità. Il presidente del partito repubblicano di New York, Ed Cox, quindi un avversario, pensa che de Blasio abbia le carte in regola per mettere fuori gioco Hillary Clinton: "E' come Barack Obama – spiega sul New York Post Cox, genero dell'ex presidente Richard Nixon - Lui era un giovane senatore, fresco di politica, ha corso e ha vinto. Credo che de Blasio lo farà". In realtà, quello di Cox è forse un auspicio: alle presidenziali, De Blasio sarebbe un candidato più facile da battere di Hillary, che occupa di più il centro dello schieramento politico. Secondo l'International Business Times, de Blasio riscuote ampi consensi tra le minoranze: il 65% dei neri e il 55% degli ispanici approva il suo operato, mentre solo il 36% dei bianchi lo sostiene.
Papa Francesco farà irruzione nella campagna elettorale
18/11/2014 - Papa Francesco farà un’irruzione
nella campagna elettorale per le presidenziali 2016 negli Stati Uniti, quando -nel
settembre del 2015- parteciperà all'Incontro Mondiale delle Famiglie, in
programma a Filadelfia dal 22 a 27. A quell'epoca, le corse alla nomination
democratica e repubblicana saranno alle battute d’avvio: si staranno definendo
gli schieramenti di partenza, anche se mancheranno ancora quattro mesi alle
prime primarie di inizio gennaio nello Iowa. La missione negli Usa è stata confermata
dallo stesso Pontefice, aprendo oggi il convegno sulla famiglia organizzato in
Vaticano dall'associazione Humanum. Papa Francesco non ha precisato le altre
tappe del suo viaggio, ma sembra probabile che il partecipi all'Assemblea
generale delle Nazioni Unite, che sarà in corso proprio in quei giorni, al
Palazzo di Vetro di New York. Il Pontefice potrebbe pure compiere un
pellegrinaggio al Santuario di Nostra Signora di Guadalupe, a Città del
Messico. I temi della famiglia potrebbero essere focali nelle primarie, specie
in campo repubblicano, dove aspiranti alla nomination più tradizionalisti
potranno contrapporsi ad altri più attenti ai diritti civili.
G20: Obama,
non ci prendiamo sulle spalle l’economia mondiale
2014/11/17 - Il G20 di Brisbane si chiude fissando l’obiettivo di una crescita del 2,1% media nel 2018; e ci sono pure passi avanti dichiarati sulla lotta all’evasione fiscale e alla corruzione e impegni contro l’ebola e il riscaldamento globale. Tutti d’accordo, su questi punti, i Venti Grandi; e ci mancherebbe altro, perché le conclusioni del Vertice sanno di acqua fresca. Per concordare le quali non c'era forse bisogno di fare un viaggio in Australia e di passare due giorni a chiamarsi per nome, ad ostentare amicizia.Il Vertice è movimentato, ma più dalle tensioni sull’Ucraina che dalle preoccupazioni per l’economia. E il presidente americano Barack Obama torna a casa, dopo una settimana ‘all’estero’, tra Cina, Birmania e Australia, con un sapore ucraino di Guerra Fredda e dopo avere avvertito i partner che gli Stati Uniti non possono portare “l’economia globale sulle proprie spalle”. La riunione in Australia, sabato e domenica, è l’occasione di un intreccio di bilaterali. Il premier italiano Matteo Renzi riscontra grande sintonia col presidente americano: superare la logica del rigore e dell’austerità, mettere l’accento sulla crescita e sugli investimenti per rilanciarla, fare pressing sulla cancelliera tedesca AngelaMerkel perché l’Unione europea cambi rotta. Renzi è fra i fautori più vocali di una politica dicrescita, lui che rappresenta l’unico Paese fra i Venti Grandi inrecessione-13 trimestri, oltre 4 anni, di pil negativo, con un ritorno del potere d’acquisto degli italiani sui livelli 2000-. Il presidente russo Vladimir Putin ha scontri frontali sull’Ucrainacon molti leader occidentali e se ne va senza partecipare al pranzo finale.
2014/11/17 - Il G20 di Brisbane si chiude fissando l’obiettivo di una crescita del 2,1% media nel 2018; e ci sono pure passi avanti dichiarati sulla lotta all’evasione fiscale e alla corruzione e impegni contro l’ebola e il riscaldamento globale. Tutti d’accordo, su questi punti, i Venti Grandi; e ci mancherebbe altro, perché le conclusioni del Vertice sanno di acqua fresca. Per concordare le quali non c'era forse bisogno di fare un viaggio in Australia e di passare due giorni a chiamarsi per nome, ad ostentare amicizia.Il Vertice è movimentato, ma più dalle tensioni sull’Ucraina che dalle preoccupazioni per l’economia. E il presidente americano Barack Obama torna a casa, dopo una settimana ‘all’estero’, tra Cina, Birmania e Australia, con un sapore ucraino di Guerra Fredda e dopo avere avvertito i partner che gli Stati Uniti non possono portare “l’economia globale sulle proprie spalle”. La riunione in Australia, sabato e domenica, è l’occasione di un intreccio di bilaterali. Il premier italiano Matteo Renzi riscontra grande sintonia col presidente americano: superare la logica del rigore e dell’austerità, mettere l’accento sulla crescita e sugli investimenti per rilanciarla, fare pressing sulla cancelliera tedesca AngelaMerkel perché l’Unione europea cambi rotta. Renzi è fra i fautori più vocali di una politica dicrescita, lui che rappresenta l’unico Paese fra i Venti Grandi inrecessione-13 trimestri, oltre 4 anni, di pil negativo, con un ritorno del potere d’acquisto degli italiani sui livelli 2000-. Il presidente russo Vladimir Putin ha scontri frontali sull’Ucrainacon molti leader occidentali e se ne va senza partecipare al pranzo finale.
domenica 16 novembre 2014
G20: obiettivo crescita 2,1% 2018, Renzi vede asse con Obama
Scritto per EurActiv.it il 16/11/2014
L’obiettivo è una crescita del 2,1% media nel 2018: tutti d’accordo, i Venti Grandi; e ci mancherebbe altro, che ci fossero contrasti su un’affermazione del genere. Per concordare la quale, non c'era forse bisogno di fare un viaggio in Australia e di passare due giorni a chiamarsi per nome, ad ostentare amicizia.
Il G20 di Brisbane si chiude anche con progressi dichiarati sulla lotta all’evasione fiscale e alla corruzione e impegni contro ebola e riscaldamento globale. Il Vertice è movimentato, ma più dalle tensioni sull’Ucraina che dalle preoccupazioni per l’economia.
L’obiettivo è una crescita del 2,1% media nel 2018: tutti d’accordo, i Venti Grandi; e ci mancherebbe altro, che ci fossero contrasti su un’affermazione del genere. Per concordare la quale, non c'era forse bisogno di fare un viaggio in Australia e di passare due giorni a chiamarsi per nome, ad ostentare amicizia.
Il G20 di Brisbane si chiude anche con progressi dichiarati sulla lotta all’evasione fiscale e alla corruzione e impegni contro ebola e riscaldamento globale. Il Vertice è movimentato, ma più dalle tensioni sull’Ucraina che dalle preoccupazioni per l’economia.
Il premier italiano Matteo Renzi è fra i fautori più vocali
di una politica di crescita, lui che rappresenta l’unico Paese fra i Venti
Grandi in recessione -13 trimestri, oltre 4 anni, di pil negativo, con un
ritorno del potere d’acquisto degli italiani sui livelli 2000-.
La riunione in Australia, sabato e domenica, è l’occasione
di un intreccio di bilaterali. Renzi vede, fra gli altri, i presidenti Usa
Barack Obama e russo Vladimir Putin –è fra i pochi che non ci litiga- e il
premier indiano Narendra Modi –sui marò, nulla di concreto-. Questa mattina,
Renzi fa colazione con il presidente della Commissione europea Jean-Claude
Juncker, in vista del Vertice europeo di metà dicembre.
Secondo fonti di stampa, Juncker ha scritto a Renzi (“Ora,
lavoro e crescita”, il senso della missiva) e al presidente del Parlamento
europeo Martin Schulz (“definiamo l’agenda degli investimenti insieme”).
Il
premier italiano riscontra grande sintonia col presidente americano: superare
la logica del rigore e dell’austerità, mettere l’accento sulla crescita e sugli
investimenti per rilanciarla, fare pressing sulla cancelliera tedesca Angela
Merkel perché l’Unione europea cambi rotta.
Obama avverte che gli Stati Uniti non possono portare
“l’economia globale sulle proprie spalle”. Renzi ammette che l’Italia deve fare
la sua parte con le riforme.
Prima di lasciare il G20 senza partecipare al pranzo finale,
Putin, che ha avuto scontri frontali sull’Ucraina con molti leader occidentali,
ha spiegato di andarsene per “potere dormire alcune ore prima di tornare al
lavoro lunedì”. Teoricamente, l’urgenza dovrebbe essere condivisa da tutti i
Grandi.
G20: tutti contro Putin ...
Scritto per Il Fatto Quotidiano del 16/11/2014
Prima, prende
cappello per le critiche che i leader occidentali, specie gli anglosassoni, gli
rivolgono sull’Ucraina e minaccia di andarsene. Poi, fa sapere che resterà fino
alla fine. Vladimir Putin offre, al G20, un remake del ‘caso Giscard d’Estaing’:
nel 1980, a un Vertice europeo in Lussemburgo, l’allora presidente francese,
irritato dalla premier britannica Margaret Thatcher, che non la smetteva di
ripetere ‘Voglio indietro i miei soldi’, ordinò teatralmente di fargli
preparare l’auto perché intendeva andarsene. La vettura del presidente restò
ferma, con il motore acceso, davanti all’ingresso del palazzo, finché i lavori
non si conclusero senza che la Thatcher la spuntasse: Giscard vinse quel set,
anche se, quattro anni dopo, il match fu della ‘Lady di Ferro’.
A Brisbane, dove il
G20 si chiude oggi, non è chiaro chi sia il vincitore, in sostanza, E la
partita dell’Ucraina è ancora aperta a tutti i risultati. Ma il presidente
russo ha certamente avuto il massimo dell’attenzione mediatica, complice la precipitosità
di alcune agenzie di stampa a darlo per partito. Irritato da Obama e dal
canadese Harper, messo alle strette pure da altri, Putin ipotizza di piantare
tutti in asso. Ma il portavoce del Cremlino, Peskov, mette uno stop alle
illazioni: "Il presidente partirà quando tutti i lavori saranno
terminati" (potrebbe saltare il pranzo di chiusura). Per Peskov, "di
sanzioni si discute in tutti gli incontri bilaterali, ma nessuno mette
pressioni". I russi, però, ripetono che le sanzioni rischiano di fare più
male all’Ucraina e all’Ue che a loro stessi.
L’episodio, però, conferma
che il G20 è stato precipitato in un clima di guerra fredda, nonostante la
manfrina del chiamarsi per nome per sembrare amici: americani e britannici,
australiani e canadesi moltiplicano le accuse alla Russia per la crisi ucraina.
E l’atteggiamento di Putin la vigilia, sprezzante e aggressivo, non
contribuisce certo a ridurre la tensione. “Minaccia per il mondo”, ricerca
“della gloria dello zarismo perduta”, “aggressore di Paesi più piccoli”, gli
interlocutori non ci vanno giù leggeri. Harper, incontrando Putin, lo apostrofa
di brutto: “Le do la mano, ma ho una sola cosa da dirle, andatevene dall’Ucraina”.
Da giorni, la Nato conferma che, come sostiene Kiev, la Russia avrebbe
schierato uomini e mezzi nei territori controllati dai ribelli separatisti; Mosca
lo nega aspramente.
Nella prima giornata
del G20, conclusa da una cena di gala, Putin ha avuto diversi incontri, anche
con leader europei, la Merkel, Hollande –non s’è parlato della consegna delle
due navi da guerra della classe Mistral-, Cameron –obiettivo, mancato,
migliorare i rapporti bilaterali-. La percezione dei colloqui cambia, a seconda
che le fonti siano russe –più inclini a sdrammatizzare- o occidentali –più
inclini a sottolineare la fermezza verso il Cremlino-.
Pure Renzi vede
Putin, che lo invita a Mosca. Il premier ha scambi di battute con l’indiano
Modi - sui marò, nulla di concreto – e con Obama. Ne esce la solita leggenda
dell’asse su crescita e investimenti: Renzi fa l’avvocato del cambio di passo
dell’Ue, lui che rappresenta l’unico Paese in recessione fra i 20 Grandi.
Il numero di Putin ha
di fatto eclissato gli altri aspetti della prima giornata del Vertice, sul
rilancio dell’economia, la lotta contro il riscaldamento globale e
“l’eradicazione” di Ebola. Numerose, ma assolutamente pacifiche, le manifestazioni
di protesta. E’ stato Obama a mettere il clima al centro del dibattito, ignorando
le reticenze del presidente di turno, l’australiano Abbott: forte dell’accordo
per la riduzione delle emissioni raggiunto in settimana con la Cina, ha sfidato
a un analogo impegno gli altri leader. Europei e australiani vogliono parlare
di crescita, mandare una ventata d’ottimismo che Obama mitiga: “Non aspettatevi
che gli Usa si carichino sulle spalle l’economia mondiale”.
sabato 15 novembre 2014
G20: Obama il buono snobbato, Putin il cattivo corteggiato
Post per www.GpNewsUsa2016.eu
Il mondo ha di nuovo due gendarmi. Uno buono, che da sei anni s’arrovella per fare le cose giuste – spesso, senza riuscirci - e non se lo fila più nessuno. E uno cattivo, che azzecca le cose sbagliate e, dopo cinque anni di castigo, fa paura a tutti. Il primo è Obama: si presenta al G20 con un assegno da tre miliardi di dollari al fondo dell’Onu per i Paesi più esposti ai cambiamenti climatici e manco ci s’accorge che ci sia. Il secondo è Putin: arriva a Brisbane con il biglietto da visita di aerei da guerra che sorvolano Ucraina e Paesi della Nato e che potrebbero tornare a volare sul Golfo del Messico –come al tempo della crisi dei missili a Cuba-; e con la scorta di quattro navi da guerra nel Golfo del Queensland. Snobba pure la richiesta di chiarimenti dei padroni di casa, e presidenti di turno dell’incontro, sull’aereo di linea malese abbattuto sull’Ucraina dai ribelli filo-russi –a bordo, molti gli australiani-. Che il personaggio del G20 sia Putin, e non Obama, lo conferma il fatto che tutti vogliono fare sapere che lo incontreranno: il premier Renzi lo vede in una pausa dei lavori, alle 13 locali; ed anche la cancelliera Merkel ha un bilaterale. Vladi e Barack si sono già visti al Vertice dell’Apec, a Pechino, all’inizio della settimana: una pacca sulle spalle a 0 per il russo, l’americano ammaccato. Il mondo alla rovescia!
Clima: dopo patto con Cina, Obama sborsa tre miliardi
A margine del G20 di Brisbane, in un incontro con sostenitori o donatori coinvolti nel Green Climate Fund dell'Onu, che si riunirà a Berlino il 20 novembre, il presidente Usa Barack Obama ufficializza l’annuncio dello stanziamento di tre miliardi di dollari a favore del Fondo. Obama è arrivato in Australia dal Myanmar dopo avere partecipato a Pechino al Vertice dell’Apec, l’Associazione fra i Paesi del Pacifico per la cooperazione economica: una settimana ‘in trasferta’, lontano dalle ammaccature delle elezioni di Mid-term. A Pechino, Obama aveva firmato un accordo con il presidente cinese Xi Jinping, per frenare le emissioni di gas ad effetto serra. Il rinnovato impegno Usa sulla lotta al cambiamento climatico minaccia di sconvolgere l'agenda del G20 dichiarata dalla presidenza australiana e di lasciare isolato il premier Tony Abbott, che è scettico sulle cause umane del surriscaldamento. Ma anche Obama deve ancora ottenere dal Congresso l’ok al contributo straordinario, che non è affatto scontato adesso che i repubblicani controllano Camera e Senato.
Immigrazione: Obama, vado avanti; e destra minaccia shutdown
Il mondo ha di nuovo due gendarmi. Uno buono, che da sei anni s’arrovella per fare le cose giuste – spesso, senza riuscirci - e non se lo fila più nessuno. E uno cattivo, che azzecca le cose sbagliate e, dopo cinque anni di castigo, fa paura a tutti. Il primo è Obama: si presenta al G20 con un assegno da tre miliardi di dollari al fondo dell’Onu per i Paesi più esposti ai cambiamenti climatici e manco ci s’accorge che ci sia. Il secondo è Putin: arriva a Brisbane con il biglietto da visita di aerei da guerra che sorvolano Ucraina e Paesi della Nato e che potrebbero tornare a volare sul Golfo del Messico –come al tempo della crisi dei missili a Cuba-; e con la scorta di quattro navi da guerra nel Golfo del Queensland. Snobba pure la richiesta di chiarimenti dei padroni di casa, e presidenti di turno dell’incontro, sull’aereo di linea malese abbattuto sull’Ucraina dai ribelli filo-russi –a bordo, molti gli australiani-. Che il personaggio del G20 sia Putin, e non Obama, lo conferma il fatto che tutti vogliono fare sapere che lo incontreranno: il premier Renzi lo vede in una pausa dei lavori, alle 13 locali; ed anche la cancelliera Merkel ha un bilaterale. Vladi e Barack si sono già visti al Vertice dell’Apec, a Pechino, all’inizio della settimana: una pacca sulle spalle a 0 per il russo, l’americano ammaccato. Il mondo alla rovescia!
Clima: dopo patto con Cina, Obama sborsa tre miliardi
A margine del G20 di Brisbane, in un incontro con sostenitori o donatori coinvolti nel Green Climate Fund dell'Onu, che si riunirà a Berlino il 20 novembre, il presidente Usa Barack Obama ufficializza l’annuncio dello stanziamento di tre miliardi di dollari a favore del Fondo. Obama è arrivato in Australia dal Myanmar dopo avere partecipato a Pechino al Vertice dell’Apec, l’Associazione fra i Paesi del Pacifico per la cooperazione economica: una settimana ‘in trasferta’, lontano dalle ammaccature delle elezioni di Mid-term. A Pechino, Obama aveva firmato un accordo con il presidente cinese Xi Jinping, per frenare le emissioni di gas ad effetto serra. Il rinnovato impegno Usa sulla lotta al cambiamento climatico minaccia di sconvolgere l'agenda del G20 dichiarata dalla presidenza australiana e di lasciare isolato il premier Tony Abbott, che è scettico sulle cause umane del surriscaldamento. Ma anche Obama deve ancora ottenere dal Congresso l’ok al contributo straordinario, che non è affatto scontato adesso che i repubblicani controllano Camera e Senato.
Immigrazione: Obama, vado avanti; e destra minaccia shutdown
(ANSA) Il presidente
Usa Barack Obama conferma che sulla riforma dell'immigrazione andrà avanti da
solo, senza il Congresso e bypassando i repubblicani. Lo fa dalla Birmania,
commentando le voci sul suo piano che dovrebbe essere varato al ritorno dal G20
in Australia. "I repubblicani –dice- hanno ora la maggioranza e, dunque,
la capacità di riformare il sistema dell’immigrazione. Non hanno, invece, la
capacità di tenermi fermo all'infinito di fronte a un sistema che non funziona
più”. Per il presidente, la riforma dell'immigrazione "è una cosa che va
fatta subito, che non può più aspettare. E' un dovere. Ne abbiamo parlato per
dieci anni, ora basta". La bozza di decreto è già pronta, e prevede la regolarizzazione
di milioni di irregolari a cui verrebbe dato un permesso di soggiorno e di
lavoro, ponendo fine ai rimpatri forzati. E nonostante le parole di fuoco dei
leader repubblicani del Congresso, la destra sarebbe divisa su che tipo di
risposta dare alla mossa della Casa Bianca. Per alcuni - scrive il Washington
Post - la strada giusta è quella di combattere il piano di Obama in Congresso,
e di sfruttare la maggioranza che i repubblicani hanno ottenuto sia alla Camera
che al Senato per apportare significativi cambiamenti alla nuova legislazione.
Per altri, l'ala più conservatrice del partito (il Tea Party), si dovrà contrastare
il decreto Obama bloccando il governo con un nuovo shutdown. Una nuova paralisi
delle istituzioni federali fino a che il presidente non ceda. (ANSA).
G20: i due gendarmi, Obama snobbato, Putin corteggiato
Scritto per Il Fatto Quotidiano del 15/11/2014
Il mondo ha di nuovo due gendarmi. Uno buono, che da sei anni s’arrovella per fare le cose giuste – spesso, senza riuscirci - e non se lo fila più nessuno. E uno cattivo, che azzecca le cose sbagliate e, dopo cinque anni di castigo, fa paura a tutti. Il primo è Obama: si presenta al G20 con un assegno da tre miliardi di dollari per il fondo dell’Onu per i Paesi più esposti ai cambiamenti climatici e manco ci s’accorge che ci sia.
Il mondo ha di nuovo due gendarmi. Uno buono, che da sei anni s’arrovella per fare le cose giuste – spesso, senza riuscirci - e non se lo fila più nessuno. E uno cattivo, che azzecca le cose sbagliate e, dopo cinque anni di castigo, fa paura a tutti. Il primo è Obama: si presenta al G20 con un assegno da tre miliardi di dollari per il fondo dell’Onu per i Paesi più esposti ai cambiamenti climatici e manco ci s’accorge che ci sia.
Il secondo, Putin, arriva a Brisbane con il biglietto da visita di aerei da
guerra che sorvolano Ucraina e Paesi della Nato e che potrebbero tornare a
volare sul Golfo del Messico –come al
tempo della crisi dei missili a Cuba-; e con la scorta di quattro navi da guerra
nel Golfo del Queensland. Snobba pure la richiesta di chiarimenti dei padroni
di casa, e presidenti di turno dell’incontro, sull’aereo di linea malese
abbattuto sull’Ucraina dai ribelli filo-russi –a bordo, molti gli australiani-.
Che il personaggio del G20 sia Putin, e non Obama, lo conferma il fatto
che tutti vogliono fare sapere che lo incontreranno: il premier Renzi lo vedrà
in una pausa dei lavori, alle 13 locali; ed anche la cancelliera Merkel avrà un
bilaterale. Vladi e Barack si sono già visti al Vertice dell’Apec, a Pechino,
all’inizio della settimana: una pacca sulle spalle a 0 per il russo,
l’americano ammaccato. Il mondo alla rovescia!
Putin non intende abbassare i toni e allentare la tensione con i partner.
La Nato denuncia decine d’intercettamenti in poco tempo; Mosca annuncia che i suoi bombardieri
strategici a lungo raggio effettueranno missioni di pattugliamento in prossimità
dello spazio aereo statunitense. Washington la prenderà male: una provocazione,
un atto ostile. Il ministro della Difesa russo, Sergei Shoigu, dice che
"alla luce della situazione attuale abbiamo bisogno di garantire la nostra
presenza militare nell'Atlantico occidentale, nel Pacifico orientale, nelle
acque caraibiche e del Golfo del Messico". Ai quattro angoli del Pianeta.
Nel 1991, dopo il
crollo dell'Urss, Mosca sospese i voli dei bombardieri a lungo raggio, i vecchi
ma affidabili Tu-95 Bear (con un'autonomia di 15.000 km) e i supersonici Tu-160
Blackjack (capaci di coprire 12.300 km), salvo riprenderli per ordine di Putin
nel 2007. Ogni velivolo può trasportare ordigni atomici.
L’annuncio di Shoigu
pare uno sberleffo al segretario generale della Nato Jens Stoltenberg, che rilascia
interviste a raffica per dire che Putin “ha chiaramente violato gli accordi
sulla tregua e ha nuovamente leso
l'integrità dell'Ucraina": "Abbiamo osservato che la Russia ha
portato in Ucraina armi, materiale bellico, artiglierie, carri e missili".
E i caccia russi intercettati nei cieli europei, già un centinaio quest’anno,
tre volte di più che l’anno scorso, costituiscono un rischio “per il traffico
aereo civile”, perché "volano senza transponder e non comunicano con la
sicurezza aerea”.
Che fai?, con uno
così: gli applichi delle sanzioni? Lunedì, a Bruxelles, i ministri degli esteri
dei 28 discuteranno se ampliare le misure contro Mosca. Con qualche tracotanza,
Putin li anticipa: calcola che costeranno fino a 1000 miliardi di euro, non
alla Russia, ma all’Ue, per via delle contromisure di Mosca, che già colpiscono
l’export agro-alimentare europeo –e in particolare italiano-.
A Brisbane ci sono pure cinesi ed europei. Ma i primi si nascondono, come
sempre; e i secondi stanno a leccarsi le ferite della crisi e vorrebbero
parlare d’economia: in agenda c’è un piano d’azione per la crescita, ma pare
una minestra riscaldata. Putin salva il formato del G20 –“utile”-, ma punta il
dito contro gli americani, “inadempienti”. Le sanzioni? “Sono illegali, ma non
intendo porre il problema”.
Il Vertice diverte e irrita. 'Benvenuti
in Paradiso' è il titolo a tutta pagina di un quotidiano locale, che monta in
prima foto di Obama in costume da bagno e della Merkel che abbraccia un koala.
Immagini che però stridono con quelle di una città ‘blindata’, sorvolata dagli
elicotteri e traversata da manifestazioni d’ogni sorta, per i diritti umani,
anche degli aborigeni, per l’ambiente e il clima, contro la povertà. Se la
prendono con il gendarme buono; e (quasi) nessuno contesta quello cattivo.
venerdì 14 novembre 2014
Siria: il ritorno del Califfo, i tentennamenti del Presidente
Scritto per Il Fatto Quotidiano del 14/11/2014 e pubblicato pure su www.GpNewsUsa2016.eu
Il Califfo al-Baghdadi –o sarà il suo fantasma?- torna a fare sentire la sua voce, mentre il presidente Obama –o sarà il suo ectoplasma?- rivede per l’ennesima volta la strategia contro il sedicente Stato islamico, per tornare a mettere l’accento sulla rimozione dal potere in Siria del presidente al-Assad. Che, da quando i raid alleati indeboliscono le milizie jihadiste, se la ride: i suoi nemici più temibili hanno trovato chi li castiga, mentre l’opposizione moderata continua a prenderle sia dai lealisti che dagli integralisti.
Il Califfato diffonde un messaggio audio di 17 minuti attribuito ad al-Baghdadi, che, giorni fa, era stato dato per ferito o addirittura per morto, in un intreccio di voci e smentite mai davvero chiarito (né il documento sonoro vi fa cenno).
Il messaggio mira a rincuorare gli jihadisti ed a confutare le notizie secondo cui l’offensiva aerea della coalizione anti-Is starebbe fiaccando le milizie. Al-Baghdadi –se è proprio lui- afferma che la campagna della coalizione guidata dagli Stati Uniti "sta fallendo" e che il Califfato si estende ormai ad Arabia Saudita, Yemen, Egitto, Libia e Algeria": la marcia dei combattenti continuerà “finché non arriveremo a Roma” –un frase icona del capo sunnita-.
Nella registrazione, si dice che "il vulcano della jihad è esploso ovunque": "Presto, ebrei e crociati saranno costretti a scendere sul terreno, a inviare sul campo le loro forze, per trovarvi morte e distruzione". Al-Baghdadi pare prevedere, quasi innescare, la prossima mossa del presidente Obama che, invece, per il momento, di mandare uomini in arme a combattere in Iraq, o in Siria, non ne vuole sapere.
Ma, se accadesse, non sarebbe la prima volta che Obama cambia idea. Per la Cnn, la Casa Bianca si sarebbe resa conto d’avere trascurato il siriano al-Assad. Il presidente ha chiesto ai suoi consiglieri un nuovo piano, dopo aver riconosciuto un errore di calcolo nella strategia militare anti-Is, che s’è inizialmente concentrata sull'Iraq (l'8 agosto sono iniziati i raid aerei) e successivamente s’è estesa alla Siria (il 23 settembre), tralasciando, però, gli sforzi per rovesciare il regime di Damasco.
Nel racconto della Cnn, Obama ha convocato in rapida successione quattro riunioni del Consiglio della sicurezza nazionale, presiedendone una. Tra le ipotesi sul tavolo, la creazione di una ‘no-fly zone’ al confine con la Turchia – la chiede Ankara, per impegnarsi militarmente sul terreno - e un'ulteriore accelerazione al programma di reclutamento e addestramento dell’opposizione siriana moderata, le cui capacità militari si sono finora rivelate molto deludenti.
La notizie da Washington suonano sconfessione delle impressioni manifestate dall’inviato dell’Onu per la Siria Staffan De Mistura, dopo colloqui a Baghdad. L’ex ‘uomo dei marò’ del governo Letta è ottimista sull’esito d’un piano dell'Onu per porre un termine i combattimenti tra lealisti e ribelli ad Aleppo. Per de Mistura, il governo siriano "è interessato” e la minaccia comune rappresentata dal Califfato potrebbe portare a una tregua in una guerra che da oltre tre anni fa vittime ma non esprime vincitori.
I dati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani parlano di 865 morti causati solo dai raid aerei -una ventina al giorno-: miliziani, ma pure almeno 50 civili, sette bambini martedì per un razzo su una scuola. Agli attacchi alleati si sommano quelli dell’aviazione siriana, talora su obiettivi vicini –ieri, nei pressi di Aleppo-.
Il Califfo al-Baghdadi –o sarà il suo fantasma?- torna a fare sentire la sua voce, mentre il presidente Obama –o sarà il suo ectoplasma?- rivede per l’ennesima volta la strategia contro il sedicente Stato islamico, per tornare a mettere l’accento sulla rimozione dal potere in Siria del presidente al-Assad. Che, da quando i raid alleati indeboliscono le milizie jihadiste, se la ride: i suoi nemici più temibili hanno trovato chi li castiga, mentre l’opposizione moderata continua a prenderle sia dai lealisti che dagli integralisti.
Il Califfato diffonde un messaggio audio di 17 minuti attribuito ad al-Baghdadi, che, giorni fa, era stato dato per ferito o addirittura per morto, in un intreccio di voci e smentite mai davvero chiarito (né il documento sonoro vi fa cenno).
Il messaggio mira a rincuorare gli jihadisti ed a confutare le notizie secondo cui l’offensiva aerea della coalizione anti-Is starebbe fiaccando le milizie. Al-Baghdadi –se è proprio lui- afferma che la campagna della coalizione guidata dagli Stati Uniti "sta fallendo" e che il Califfato si estende ormai ad Arabia Saudita, Yemen, Egitto, Libia e Algeria": la marcia dei combattenti continuerà “finché non arriveremo a Roma” –un frase icona del capo sunnita-.
Nella registrazione, si dice che "il vulcano della jihad è esploso ovunque": "Presto, ebrei e crociati saranno costretti a scendere sul terreno, a inviare sul campo le loro forze, per trovarvi morte e distruzione". Al-Baghdadi pare prevedere, quasi innescare, la prossima mossa del presidente Obama che, invece, per il momento, di mandare uomini in arme a combattere in Iraq, o in Siria, non ne vuole sapere.
Ma, se accadesse, non sarebbe la prima volta che Obama cambia idea. Per la Cnn, la Casa Bianca si sarebbe resa conto d’avere trascurato il siriano al-Assad. Il presidente ha chiesto ai suoi consiglieri un nuovo piano, dopo aver riconosciuto un errore di calcolo nella strategia militare anti-Is, che s’è inizialmente concentrata sull'Iraq (l'8 agosto sono iniziati i raid aerei) e successivamente s’è estesa alla Siria (il 23 settembre), tralasciando, però, gli sforzi per rovesciare il regime di Damasco.
Nel racconto della Cnn, Obama ha convocato in rapida successione quattro riunioni del Consiglio della sicurezza nazionale, presiedendone una. Tra le ipotesi sul tavolo, la creazione di una ‘no-fly zone’ al confine con la Turchia – la chiede Ankara, per impegnarsi militarmente sul terreno - e un'ulteriore accelerazione al programma di reclutamento e addestramento dell’opposizione siriana moderata, le cui capacità militari si sono finora rivelate molto deludenti.
La notizie da Washington suonano sconfessione delle impressioni manifestate dall’inviato dell’Onu per la Siria Staffan De Mistura, dopo colloqui a Baghdad. L’ex ‘uomo dei marò’ del governo Letta è ottimista sull’esito d’un piano dell'Onu per porre un termine i combattimenti tra lealisti e ribelli ad Aleppo. Per de Mistura, il governo siriano "è interessato” e la minaccia comune rappresentata dal Califfato potrebbe portare a una tregua in una guerra che da oltre tre anni fa vittime ma non esprime vincitori.
I dati dell’Osservatorio siriano per i diritti umani parlano di 865 morti causati solo dai raid aerei -una ventina al giorno-: miliziani, ma pure almeno 50 civili, sette bambini martedì per un razzo su una scuola. Agli attacchi alleati si sommano quelli dell’aviazione siriana, talora su obiettivi vicini –ieri, nei pressi di Aleppo-.
Sul
terreno, Kobane, al confine con la Turchia, resta l’epicentro degli
scontri più cruenti: l’esito della battaglia rimane incerto, anche se i
curdi costringono i jihadisti sulla difensiva.
.
Iscriviti a:
Post (Atom)