Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 05/11/2014 e sul mio blog GpNewsUsa2016
Deposta nelle urne l’ultima scheda –certamente
nelle Hawaii- e conteggiata l’ultima scheda –probabilmente in Alaska, il più ad
Ovest degli Stati in bilico-, le elezioni di Mid-term saranno archiviate. E
comincerà Usa2016: inizierà, cioè, la lunghissima campagna per le presidenziali
2016, quando Barack Obama non sarà più candidato e democratici e repubblicani
dovranno produrre nuovi campioni.
Che potrebbero avere nomi antichi, se
dovessero essere, com’è possibile, Hillary Rodham Clinton, ex first lady, ex
senatrice dello Stato di New York, ex segretario di Stato, ma, in questo
contesto, soprattutto ex candidata alla nomination democratica battuta nel 2008
da Obama; e Jeb Bush, figlio di presidente e fratello di presidente, ex governatore
della Florida, il ‘cocco di famiglia’ destinato alla Casa Bianca, ma che nel
2000 si fece bruciare dal fratellone un po’ tonto.
L’esito del voto di Mid-term condizionerà,
in varia misura, la corsa presidenziale. I democratici, se l’Amministrazione
Obama uscirà sconfitta, prenderanno sempre più le distanze dalla Casa Bianca:
Hillary lo sta già facendo; per Joe Biden, il vice di Obama, è più complicato.
Mentre i repubblicani, se avranno il controllo di tutto il Congresso, Camera e
Senato, dovranno non cadere nella trappola di quelli che paralizzano il Paese
bloccando ogni decisione.
Il voto, poi, potrebbe proporre nomi
nuovi, mentre l’usato –più o meno- sicuro repubblicano se ne sta ora al
coperto: Chris Christie, Ted Cruz, Mike Huckabee, Sarah Palin, Rick Perry, Mitt
Romney, Marco Rubio, Paul Ryan, Rick Santorum giocano a nascondino. Chi si
espone di più, confermando che negli Usa la politica è anche un affare di
famiglia, è Randal ‘Rand’ Paul, senatore del Kentucky, un ‘conservatore
costituzionale’, figlio del deputato repubblicano del Texas Ron Paul, un
libertario che nel 2012 fu l’ultimo ad arrendersi alla nomination di Romney.
Di fronte a un’opinione pubblica sensibile
alla propaganda anti-politica, i due maggiori partiti dovranno anche smarcarsi
dalle spese sostenute per la campagna di Mid-term costata la cifra record di 4
miliardi di dollari, 50 dollari per ogni cittadino che andrà alle urne. E ciò
lascia presupporre cifre superiori per le prossime presidenziali.
Nelle elezioni di Mid-term, gli americani
rinnovano la Camera -435 seggi-, un terzo del Senato -36 seggi su 100,
quest’anno- e 36 governatori, oltre che una miriade di assemblee statali e
locali e numerosi sindaci –fra cui quello di Washington DC-. Ci sono poi
svariati referendum.
Sono potenzialmente chiamati al voto 206
milioni di statunitensi, di cui, però, solo 145 milioni iscritti alle liste
elettorali. Si prevede una partecipazione intorno al 40%, inferiore a quella
delle presidenziali. Secondo i sondaggi, i repubblicani consolideranno la
maggioranza alla Camera, mentre, per conquistare il Senato, devono strappare ai
democratici sei seggi: possono riuscirci, ma non è sicuro che ci riescano. Gli
Stati in bilico sono Alaska, Arkansas, Colorado, Iowa, Kansas, Kentucky,
Louisiana e North Carolina.
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