Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 06/11/2014
“L’Ebola infuria, l’Iraq ci manca, sul palco sventola
camicia bianca”. Un Arnaldo Fusinato d’America così celebrerebbe, oggi, la
disfatta di Obama nel voto di Mid-term: la camicia che sventola in segno di
resa è quella che, nella vulgata italica, apparenta – o, forse, apparentava -
Obama a Renzi. Che magari, adesso, l’abbandonerà, per non rischiare d’essere
contaminato dall’alone di sconfitta che avvolge il presidente dello ‘Yes, we
can’, il primo nero alla Casa Bianca.
A parte il fatto che, nel giorno della disfatta, Obama
indossava, come gli capita spesso, una camicia non bianca, ma azzurra, Renzi e
i vari cloni del presidente americano sparsi in tutto il Mondo rischiano di
subire contraccolpi dalla sconfitta democratica: politici, economici, nelle
grandi crisi. E su piano personale per prima cosa saranno meno tentati di
sbandierare affinità più o meno presunte.
Qualcuno, magari, potrebbe avere la tentazione di
sostituire la propria leadership a quella declinante del presidente americano.
Ma l’ambizione ha limiti che confinano con il ridicolo.
Sul terreno politico, il voto di Mid-term segna una
battuta d’arresto dei progressisti e un’avanzata dei conservatori: una galassia
in America meno identificabile che in Europa. Là, il mito economico del libero
mercato s’intreccia coi culti orfici del fondamentalismo religioso; e la
ricorrente chimera del ‘piccolo governo’ si confonde con populismi e
qualunquismi. Qui da noi, il risultato elettorale può togliere un po’ di
slancio ai dem e darne alla destra, che festeggia come se avesse vinto lei.
Sul terreno economico, la crescita americana potrebbe
non rallentare, perché né Obama né l’opposizione divenuta maggioranza nel
Congresso hanno interesse a gettare sabbia negli ingranaggi della ripresa. Ma è
difficile che progetti d’interesse comune, come i negoziati per l’area di
libero scambio transatlantico, avanzino in una situazione di conflittualità.
Sul fronte delle crisi, infine, l’Europa -e l’Italia
in essa-, dopo avere lamentato la guida incerta dell’America obamiana nelle
Primavere arabe e nei loro risvolti, in Libia, in Siria e in Iran, tra
israeliani e palestinesi, rischiano di doversi di nuovo confrontare con un
eccesso di decisionismo e d’interventismo degli Stati Uniti: non penso nei
prossimi due anni, ma dopo il cambio della guardia alla Casa Bianca. E
un’America che battesse un pugno sul tavolo tra Ucraina e Russia potrebbe
letteralmente ‘gelare’ l’Europa.
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