Scritto per Il Fatto Quotidiano e, in versione diversa, per Metro dello 04/11/2014
A Barack Obama, non ne gira proprio una giusta di questi tempi. L’altra
sera, è stato persino ‘tradito’ dal suo AirForceOne, un B747, che, per un
guasto ai flap, non ha potuto riportarlo a Washington da Filadelfia. Il
presidente ha così dovuto ripiegare su un più piccolo C-32.
A conti fatti, un modesto disagio. Nulla, rispetto a quanto gli succederà
se, dal voto di Midterm, dovesse uscire un Congresso totalmente controllato dai
repubblicani: due anni alla Casa Bianca da ‘anitra zoppa’, come gli americani
chiamano un presidente senza maggioranza, in balia dell’opposizione e
impossibilitato a condurre in porto qualsiasi riforma.
Per Obama, oggi è il giorno più lungo del suo secondo mandato; e potrebbe
pure essere il più nero. Nell’America che si sente addosso i brividi
dell’anti-politica, la popolarità del presidente è sui minimi storici e zavorra
le speranze dei democratici di conservare il controllo del Senato. Ma il suo
vice Joe Biden sfoggia un ottimismo adamantino alla Cnn: “I democratici - dice - manterranno la
maggioranza al Senato”.
Le elezioni di Mid-ter servono a rinnovare tutta la Camera - 435 seggi, 233
repubblicani, 199 democratici, tre vacanti – e circa un terzo del Senato – 36
dei 100 seggi, 53 democratici, 45 repubblicani, due indipendenti che stanno con
Obama-. Si vota pure per 18 governatori e decine d’assemblee statali e locali,
per molti sindaci – fra cui quello di Washington - e per una miriade di
referendum.
I repubblicani sono favoriti, ma il loro margine di vantaggio sui democratici
s’è assottigliato negli ultimi giorni, secondo alcuni sondaggi. La sfida è
incerta al Senato, dove i conservatori devono strappare sei seggi ai
progressisti: di quelli in palio,
21 erano democratici e 15 repubblicani. Gli Stati in bilico sono Alaska, Arkansas,
Colorado, Iowa, Kansas, Kentucky, Louisiana e North Carolina. Michigan e New
Hampshire sembrano propendere per i democratici, mentre Georgia e West Virginia
per i repubblicani. L’esito del voto potrebbe restare appeso fino all’alba, se
l’Alaska risultasse decisiva.
Un sondaggio Wall Street Journal / Nbc indica che repubblicani e
democratici sono divisi da un solo punto, a livello nazionale. A volere un
Congresso controllato dai repubblicani sarebbe il 46% degli elettori, mentre il
45% lo vorrebbe in mano ai democratici. Un punto di distacco anche negli Stati
in bilico, che decidono la corsa, dove i repubblicani hanno il 47% delle
intenzioni di voto contro il 46% dei democratici. Distacchi tutti inferiori ai
margini di errore dei rilevamenti.
"E' la gara elettorale più aperta da dieci anni a
questa parte", scriveva nei giorni scorsi, un po’ contro corrente, il blog
Politico.com. E forse ci azzeccava.
Nelle finale di campagna, il presidente Obama ha corteggiato il voto
femminile e ha promesso politiche a sostegno del lavoro, e del reddito,
femminile: basta alla disuguaglianza retributiva uomini / donne, parità di
trattamento a parità di mansioni, perché “le donne non sono lavoratori di Serie
B”. Per quanto possa apparire smaccatamente opportunista, il messaggio del
presidente avrebbe fatto qualche breccia, contribuendo al sussulto dei
democratici nei sondaggi.
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