Che cosa accadrà, dopo le elezioni di Mid-term, nella politica americana? L’Ebola li mette tutti (più o meno) d’accordo. Per il resto,
che vincano i democratici o i repubblicani i prossimi due anni avranno segni
diversi: nella guerra al terrorismo e nelle relazioni con l’Europa, la Russia,
la Cina; nei negoziati per la zona di libero scambio transatlantica; nella
gestione dell’economia e, soprattutto, delle finanze dell’Unione; nella riforma
dell’immigrazione e nell’estensione dei diritti civili –sono appena saliti a 32
gli Stati dove si applicano le leggi federali ai matrimoni fra persone dello
stesso sesso-.
Ebola, il fattore paura - Il 54% degli americani ritiene che Obama stia
facendo bene nella gestione dell'emergenza Ebola e sette su 10 hanno fiducia che
le autorità federali riusciranno a fermare l'epidemia (o, almeno, ad evitare
che si propaghi nell’Unione). Per un sondaggio Cnn/Orc, il fattore Ebola,
dunque, potrebbe giovare più che nuocere ai democratici.
I repubblicani, però, chiedono uno ‘zar’ per la lotta al virus: non un tecnico, ma un politico. Fra i nomi, quelli di Robert Gates, ex segretario alla Difesa, Mike Leavitt, ex segretario alla Sanità, e, soprattutto, Colin Powell, ex segretario di Stato, già candidato a essere il primo nero alla Casa Bianca, poi rovinato dall’essere stato all’Onu l’avvocato dell’Amministrazione Bush sull’invasione dell’Iraq.
Per l'Amministrazione democratica, lo ‘zar’ non serve: la persona di punta ci sarebbe già, Lisa Monaco, del Consiglio per la Sicurezza nazionale, che coordina le reazioni dei vari ministeri e Stati.
Economia, bene non basta – Il lavoro c’è, con la disoccupazione su valori fisiologici, e la crescita è robusta, ma la fiducia nelle capacità di Obama di gestire l'economia è ai minimi dal 2009. Un sondaggio della Cnbc indica che solo il 24% degli intervistati è "soddisfatto" dai risultati ottenuti in economia dell’Amministrazione democratica. Meno del 33% del gennaio 2013, all’inizio del secondo mandato, quando la situazione economica era oggettivamente più incerta.
Un dato che preoccupa la Casa Bianca e il partito democratico. Il presidente ha fatto un tour elettorale per rivendicare i successi dell’Amministrazione in campo economico. Ma gli americani non gliene danno credito, forse perché la crescita dei redditi delle famiglie non rispecchia (ancora?) la ripresa.
I repubblicani, però, chiedono uno ‘zar’ per la lotta al virus: non un tecnico, ma un politico. Fra i nomi, quelli di Robert Gates, ex segretario alla Difesa, Mike Leavitt, ex segretario alla Sanità, e, soprattutto, Colin Powell, ex segretario di Stato, già candidato a essere il primo nero alla Casa Bianca, poi rovinato dall’essere stato all’Onu l’avvocato dell’Amministrazione Bush sull’invasione dell’Iraq.
Per l'Amministrazione democratica, lo ‘zar’ non serve: la persona di punta ci sarebbe già, Lisa Monaco, del Consiglio per la Sicurezza nazionale, che coordina le reazioni dei vari ministeri e Stati.
Economia, bene non basta – Il lavoro c’è, con la disoccupazione su valori fisiologici, e la crescita è robusta, ma la fiducia nelle capacità di Obama di gestire l'economia è ai minimi dal 2009. Un sondaggio della Cnbc indica che solo il 24% degli intervistati è "soddisfatto" dai risultati ottenuti in economia dell’Amministrazione democratica. Meno del 33% del gennaio 2013, all’inizio del secondo mandato, quando la situazione economica era oggettivamente più incerta.
Un dato che preoccupa la Casa Bianca e il partito democratico. Il presidente ha fatto un tour elettorale per rivendicare i successi dell’Amministrazione in campo economico. Ma gli americani non gliene danno credito, forse perché la crescita dei redditi delle famiglie non rispecchia (ancora?) la ripresa.
Difficilmente i repubblicani in
controllo del Congresso potranno fare meglio, ma sapranno forse riuscire a
prendersi i meriti.
Finanza, tagli o debito - A un certo punto del percorso mediatico di avvicinamento a qualsiasi elezione Usa, c’è sempre un pezzo che dice che “Wall Street punta sui repubblicani”, così come c’è n’è un altro che assicura che “Hollywood sta con i democratici”. Che la finanza stia con i cultori della libera impresa è abbastanza scontato, mentre le imprese, specie le grandi, hanno ormai imparato, a distribuire un po’ a destra e un po’ a manca i loro contributi elettorali. Il fatto nuovo è che, negli ultimi tempi, l’appoggio ai candidati repubblicani è stato marcato, soprattutto negli Stati in bilico nella corsa al Senato.
Gli ultimi dati della Federal Election Commission indicano che, lì, fino a giugno i democratici facevano la parte del leone nei cosiddetti 'business Pac', comitati per l'azione politica finanziati dai grandi gruppi, raccogliendo oltre il 6o% delle donazioni. Da luglio a settembre, la loro percentuale è scesa al 42%, mentre le risorse versate ai candidati repubblicani sono salite al 58%.
C'è poi la convinzione – spiegano sulla K Street, la via dei lobbisti - che in questa fase un Congresso totalmente in mano ai repubblicani sia "meno rischioso". Anche se c’è il pericolo di bracci di ferro elettorali tra il Congresso e l’Amministrazione sui bilanci federali dei prossimi due anni: tagli contro debito, il solito contrasto sulla spesa pubblica.
Politica estera, ‘tentenna’ e ‘pugno sul tavolo’ – Questa volta, la politica estera ha più peso del solito sul voto di Mid-term: il presidente ‘tentenna’ non convince nel rapporto con la Russia e la Cina, ma soprattutto nella guerra al terrorismo e nello scontro con il sedicente Stato islamico. Un Congresso tutto repubblicano solleciterebbe maggiore impegno, forse persino una presenza militare sul terreno tra Iraq e Siria, nonostante i tragici ricordi del recente passato. Sul fronte europeo, una maggioranza repubblicana potrebbe, invece, favorire il rilancio dei negoziati Usa-Ue per la zona di libero scambio transatlantica, che i democratici, tendenzialmente protezionisti, non vedono di buon’occhio. Sempre che l’Ue, dubbiosa del suo, ci stia.
Immigrazione e sanità, bocce ferme – Senza maggioranza al Congresso, l’Amministrazione Obama non potrà andare lontano sulle sue due riforme faro: quella sanitaria, varata nel primo mandato, e poi impantanatasi in fase d’attuazione, e quella dell’immigrazione, che doveva segnare il secondo mandato, ma che non è mai realmente partita.
Diritti civili, due passi avanti e uno indietro – Dopo i passi avanti di questi anni, la ‘nuova frontiera’ dei diritti civili potrebbe conoscere una battuta d’arresto, se non fare un passo indietro, se il Congresso sarà repubblicano. Tanto più che la comunità omosessuale è un serbatoio di voti democratico: scontentandola, i conservatori non ci perdono nulla e soddisfano la loro base.
Finanza, tagli o debito - A un certo punto del percorso mediatico di avvicinamento a qualsiasi elezione Usa, c’è sempre un pezzo che dice che “Wall Street punta sui repubblicani”, così come c’è n’è un altro che assicura che “Hollywood sta con i democratici”. Che la finanza stia con i cultori della libera impresa è abbastanza scontato, mentre le imprese, specie le grandi, hanno ormai imparato, a distribuire un po’ a destra e un po’ a manca i loro contributi elettorali. Il fatto nuovo è che, negli ultimi tempi, l’appoggio ai candidati repubblicani è stato marcato, soprattutto negli Stati in bilico nella corsa al Senato.
Gli ultimi dati della Federal Election Commission indicano che, lì, fino a giugno i democratici facevano la parte del leone nei cosiddetti 'business Pac', comitati per l'azione politica finanziati dai grandi gruppi, raccogliendo oltre il 6o% delle donazioni. Da luglio a settembre, la loro percentuale è scesa al 42%, mentre le risorse versate ai candidati repubblicani sono salite al 58%.
C'è poi la convinzione – spiegano sulla K Street, la via dei lobbisti - che in questa fase un Congresso totalmente in mano ai repubblicani sia "meno rischioso". Anche se c’è il pericolo di bracci di ferro elettorali tra il Congresso e l’Amministrazione sui bilanci federali dei prossimi due anni: tagli contro debito, il solito contrasto sulla spesa pubblica.
Politica estera, ‘tentenna’ e ‘pugno sul tavolo’ – Questa volta, la politica estera ha più peso del solito sul voto di Mid-term: il presidente ‘tentenna’ non convince nel rapporto con la Russia e la Cina, ma soprattutto nella guerra al terrorismo e nello scontro con il sedicente Stato islamico. Un Congresso tutto repubblicano solleciterebbe maggiore impegno, forse persino una presenza militare sul terreno tra Iraq e Siria, nonostante i tragici ricordi del recente passato. Sul fronte europeo, una maggioranza repubblicana potrebbe, invece, favorire il rilancio dei negoziati Usa-Ue per la zona di libero scambio transatlantica, che i democratici, tendenzialmente protezionisti, non vedono di buon’occhio. Sempre che l’Ue, dubbiosa del suo, ci stia.
Immigrazione e sanità, bocce ferme – Senza maggioranza al Congresso, l’Amministrazione Obama non potrà andare lontano sulle sue due riforme faro: quella sanitaria, varata nel primo mandato, e poi impantanatasi in fase d’attuazione, e quella dell’immigrazione, che doveva segnare il secondo mandato, ma che non è mai realmente partita.
Diritti civili, due passi avanti e uno indietro – Dopo i passi avanti di questi anni, la ‘nuova frontiera’ dei diritti civili potrebbe conoscere una battuta d’arresto, se non fare un passo indietro, se il Congresso sarà repubblicano. Tanto più che la comunità omosessuale è un serbatoio di voti democratico: scontentandola, i conservatori non ci perdono nulla e soddisfano la loro base.
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