Scritto per il blog de Il Fatto Quotidiano lo 01/01/2014
“E’ del poeta il fin la meraviglia”. Il verso, imparato sui
banchi del liceo, esprime la poetica barocca di Giambattista Marino, che così continuava: “Parlo dell'eccellente
e non del goffo. Chi non sa far stupir, vada alla striglia!”. Concetti
che, quattro secoli più tardi, spiegano la politica post-moderna ed efficientista
di Matteo Renzi: con le sue scelte, il premier mira a stupire, a spiazzare, a
prendere in contropiede gli esperti e la stampa. Quelli che, magari, poveri
‘ferri vecchi’, continuano a credere che competenza ed esperienza siano criteri
validi per una responsabilità di governo.
La designazione del
nuovo ministro degli Esteri è sintomatica, a prescindere dalle qualità
personali di Paolo Gentiloni, che ho incontrato in varie capacità e di cui ho apprezzato
la misura dei giudizi e la precisione del linguaggio.
Giornalista,
esperto in comunicazioni, assessore al Turismo nella Roma di Rutelli, poi
presidente della Commissione di Vigilanza, ministro delle Telecomunicazioni nel
secondo Prodi, ‘ulivista’, ‘margheritino’, pd della prima ora, renziano
acquisito, Gentiloni ha esperienza politica e, di recente, nella Commissione
Esteri della Camera e come presidente della sezione Italia – Stati Uniti
dell’Unione interparlamentare, avrà acquisito competenze specifiche per
cavarsela, anche se gioca fuori ruolo.
Ma ricostruiamo
la vicenda in un istante. Si trattava di sostituire Federica Mogherini, una
ministra giovane, preparata, coscienziosa, ma forzatamente inesperta, di cui è
riuscito -per disinteresse altrui più che per meriti nostri- il trapianto, a
priori improbabile, ad Alto Rappresentante della politica estera e di sicurezza
europea.
Fra le tante
opzioni, Renzi ha anche pensato al colpo di una Mogherini al quadrato: Lia
Quartapelle, ancora più giovane –e di molto- della Mogherini, ancora più
inesperta, indubbiamente assai brava, ma sconosciuta ai più (e a quasi tutti i
suoi interlocutori). Roba da lasciare a bocca aperta, forse pure il presidente
Napolitano.
Poi, ha bruscamente ripiegato su una di quelle figure della cui
rottamazione s’è a più riprese vantato: Gentiloni, appunto. Avendo, però, cura
di scegliere, fra i ‘ferri vecchi’, uno la cui competenza ed esperienza
internazionali sono quanto meno relative.
E la Quartapelle, mostrando d’avere l’animo del politico,
oltre che la stoffa della ricercatrice, ha subito postato, a rischio d’apparire
ipocrita e opportunista: “Gentiloni saprà
rappresentare gli interessi dell’Italia e dell’Unione europea, rafforzando la
nostra proiezione nel mondo … Con lui, l’Italia avrà una voce autorevole per
affrontare i dossier più scottanti”.
Insomma, che
siano esordienti o ‘ferri vecchi’ l’importante è che siano inesperti,
imprevedibili e, soprattutto, ‘miracolati’, fedeli al cubo al capo per
riconoscenza. Non importa se hai sotto mano persone competenti, preparate,
autorevoli: se ne scegliessi una di quelle, non meraviglieresti nessuno.
Non parliamo –solo-
di Emma Bonino, che Renzi aveva già accantonato a febbraio in malo modo,
rinunciando a un capitale di conoscenze e credibilità internazionali che pochi
altri italiani hanno, temendone forse l’indipendenza di giudizio e la capacità
tenere testa agli interlocutori. Pensiamo anche a Marta Dassù, qualità di
ricercatrice ed esperienza di Farnesina, o a Lapo Pistelli, attuale
vice-ministro, scavalcato per la seconda volta.
Uno potrebbe
dire: ma Marta è, o fu, dalemiana; ma Lapo ha trascorsi fiorentini divisivi con
Matteo. Un altro potrebbe obiettare: e che c’entra con la capacità di fare bene
un mestiere –gli Esteri- che loro conoscono e dove molti li
apprezzano? Nulla. Ma né l’una né l’altro ci avrebbero lasciati di stucco,
meravigliati.
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