Contributo al Dizionario della nuova Ue de Il Fatto Quotidiano dello 03/07/2016
Chi prende
le decisioni a Bruxelles, che poi ci tocca applicare?, sono gli eurocrati?,
oppure gli eurodeputati? Questa è facile, la so: né gli uni, né gli altri, sono
i governi dei 28, anzi, sempre più spesso i capi di Stato e di governo dei 28.
O dei 27, quando la Gran Bretagna, dopo avere votato sì alla Brexit, si
deciderà a togliere il disturbo, anche se Londra sembra intenzionata a tirarla
in lungo per continuare a cercare d’incidere sulle decisioni dei partner pur
avendo già deciso di andarsene.
L’ingegneria
decisionale dell’Unione europea è estremamente complicata, ma una cosa è
chiara: nell'Ue, non si muove foglia che il Consiglio europeo non voglia. E gli
eurocrati?, quelli con cui spesso i governi dei 28 se la prendono quando le
cose non girano a dovere? Eseguono le decisioni dei Governi e, sovente, portano
il peso, più che la responsabilità, della mancanza di decisioni.
Non siete
convinti? Vi spiego. E, se non vi fidate, il documento di riferimento è il ‘Trattato
di Lisbona’, entrato in vigore il 1° dicembre 2009, che sistema in un unico
testo tutti i trattati precedenti, quelli firmati a Roma il 25 marzo 1957 e
quelli di Maastricht e di Nizza. Giuridicamente, un pasticciaccio brutto, nato
dalla bocciatura della Costituzione europea: cancella i simboli dell’Unione,
bandiera e inno; eleva il Consiglio europeo, cioè il Vertice dei capi di Stato
o di governo, a Istituzione; e crea i presupposti per esaltare le procedure
inter-governative a scapito di quelle cosiddette comunitarie.
Chi fa le leggi – Nell'Unione europea, il
Consiglio dei Ministri dell’Ue è il vero depositario del potere legislativo:
discute ed approva le leggi dell’Ue, cioè le direttive, riunendosi volta a
volta in formazioni diverse – Affari generali, Esteri, Ecofin, Agricoltura,
Produttività, Ambiente, etc. -. Le decisioni sono prese all'unanimità o a
maggioranza ponderata, tenendo cioè conto sia del numero dei Paesi che della
loro popolazione.
Il
Parlamento europeo è sostanzialmente limitato a un ruolo di co-decisore: deve
formulare il suo parere su tutte le direttive, ma non sempre il Consiglio deve
tenerne conto. Tranne che sul bilancio, e in pochi altri casi, gli eurodeputati
non hanno l’ultima parola. Sono però previste procedure di ‘dialogo’ o di
‘trilogo’ tra le Istituzioni – Consiglio, Parlamento e Commissione europea -,
alla ricerca di un punto d’intesa.
Altre
assemblee europee, come il Comitato economico e sociale (Cese), sorta di Camera
delle Corporazioni, e l’Assemblea delle Regioni hanno ruolo esclusivamente
consultivo.
Chi propone le leggi – Il potere d’iniziativa è
un’esclusiva della Commissione europea, che, però, spesso di muove su input del
Consiglio europeo o del Consiglio dei Ministri dell'Ue. Il Parlamento non può
esprimere una proposta di direttiva. Possono invece farlo, raccogliendo almeno
un milione di firme, i cittadini. Ma finora nessuna direttiva così sollecitata
è andata in porto: il meccanismo è recente.
Chi esercita il potere esecutivo – Se il Consiglio dei Ministri
dell’Ue ha il potere legislativo, il potere esecutivo è della Commissione
europea, che, infatti, si può anche chiamare Commissione esecutiva: le spetta
applicare e fare rispettare le norme emanate dai Governi dei 28.
In alcune
materie – come la concorrenza, o gli accordi commerciali internazionali -, i
poteri della Commissione prefigurano effettivamente una sorta di governo
europeo. Ma di per sé la Commissione è la guardiana dei Trattati sanciti dagli
Stati membri: applica le norme e ne propone di nuove, ma non le fa.
Le Corti del potere giudiziario – Qui, non ci sono sorprese: il
potere giudiziario europeo è nelle mani dei giudici del Tribunale e della Corte
di Giustizia, e pure della Corte dei Conti. Le loro sentenze hanno forza in
tutta l’Unione e fanno giurisprudenza nei singoli Stati.
L’Unione a geometria variabile – A complicare un’ingegneria
istituzionale già complessa, ci sono le iniziativa cui aderiscono solo alcuni
degli Stati dell’Ue, come l’euro e Schengen, e le Agenzie create per gestire
questioni specifiche. Inoltre, buona parte dei meccanismi anti-crisi decisi con
metodo inter-governativo negli ultimi anni sono fuori dagli schemi dell’Unione
e rispondono a governance loro proprie – e, per di più, hanno nomi in codice
come fiscal compact, six packs, two packs -.
Quanto ci costa tutto ciò – I funzionari delle Istituzioni
europee sono circa 45mila, di cui 33mila alla Commissione europea, 6mila al
Parlamento e 3.500 al Consiglio dei Ministri. Per essi e per le loro sedi di
lavoro, l’Unione europea spende circa 10 miliardi di euro l’anno, cioè il 6%
del proprio bilancio annuale, circa 140 miliardi di euro, l’1% del Pil dell’Ue
– quello federale degli Stati Uniti è quasi un quarto del Pil nazionale -. Tanta
gente e tanti soldi? Il Comune di Roma e le sue partecipate di dipendenti ne
hanno oltre 50 mila, uno ogni 60 abitanti (contro uno ogni mille dell’Ue).I nomi ufficiali sono così lunghi e complicati che si
dimenticano prima di avere finito di leggerli.
Parlamento europeo, gruppi e coalizioni - Nell’attuale legislatura, i
Gruppi politici del Parlamento europeo sono otto, oltre a quello dei non
iscritti. Ma a fare maggioranza, quasi stabilmente, sono i due maggiori: quello
del Partito popolare europeo (Ppe) - 214 seggi - e quello del Partito
socialista europeo (Pse), cui partecipa il Pd - 189 -: insieme superano di poco
i 400 seggi sui 751 totali.
Nell’Assemblea comunitaria, i giochi politici si riducono
alla ricerca di un accordo fra Ppe e Pse, cui saltuariamente partecipano i
liberali. E’ rarissimo che gli schieramenti si dividano lungo crinali politici
netti, destra contro sinistra. Più facile, invece, che la contrapposizione sia
‘europeisti’ contro ‘euro-scettici’ di varia tendenza.
Dopo popolari e socialisti, ci sono l’Alleanza dei
democratici e dei liberali per l’Europa, l’Alde, che è la formazione più
europeista, con 66 deputati; i Verdi europei, con 52; il Gruppo dei
Conservatori e dei rifornisti europei (Ecr), con 46; le Sinistre europee (Gue),
con 42; l’Europa della libertà e della democrazia diretta (Efd), soprattutto
Ukip e M5S, con 42; l’Europa delle Nazioni e della libertà, soprattutto lepenisti
e leghisti, con 38.
Per essere formato, un gruppo ha bisogno di un minimo
di 25 deputati in rappresentanza di almeno sette Stati membri. Talora, i gruppi
sono solo tecnici, mettendo insieme partiti d’ispirazione diversa – è un po’ il
caso di ‘faragiani’ e ‘grillini’ -, perché, se si è fuori da un gruppo, le
possibilità di farsi ascoltare sono molto ridotte.
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