Le due convention sono ormai storia, anzi cronaca scaduta: di qui all’Election Day, l’8 Novembre, restano cento giorni esatti. Agosto se ne andrà sotto traccia, con i candidati a caccia di finanziatori più che di elettori. Poi, dal Labour Day, il Primo Maggio Usa, quest’anno il 5 Settembre, si entrerà negli ultimi due mesi decisivi di questa campagna maratona, che, per i due protagonisti, Hillary Rodham Clinton e Donald Trump, sarà durata, a conti fatti, quasi 18 mesi.
Gli appuntamenti di Cleveland - i repubblicani, dal 18 al 21
luglio - e di Filadelfia - i democratici, dal 25 al 28 luglio - e i discorsi
finali sono stati specchio fedele dei due partiti e dei due candidati. Hillary
non dice una parola fuori posto, ma non scalda i cuori; simula un’empatia, che
non prova, con il suo pubblico; e dissimula, senza magari mentire in modo
esplicito. Trump è un fiume in piena che le spara grosse a ogni capoverso e che
nasconde dietro la contestazione del politically correct e, quindi, dietro il
paravento della franchezza, la banalità delle idee e la genericità delle
affermazioni, quando non sono pure e semplici balle.
I sondaggi ci diranno se l’effetto convention ha rilanciato la Clinton in testa alla corsa, dopo che Trump aveva goduto dello slancio della kermesse repubblicana. Ma Filadelfia ha mediaticamente avuto meno impatto di Cleveland, dove si temevano incidenti che non ci sono sostanzialmente stati.
Un discorso senza errori e senza acuti
Quello di accettazione della nomination di Hillary è stato un discorso senza errori, ma senza acuti. C’è quasi da dare ragione a Trump, che chiosa: "Una collezione di cliché e di retorica riciclata". L’ex first lady chiude la convention democratica, impegnandosi ad agire, se sarà eletta, per unire l’America e non per dividerla, come – è esplicito - fa il suo rivale. E parla di sicurezza, armi, terrorismo, razzismo, diritti civili; tranquillizza gli alleati sul rispetto degli impegni.
Introdotta sul palco del Wells Fargo Center, dopo un’esibizione di Kate Perry, dalla figlia Chelsea, che l’ha presentata come “una lottatrice che non s’arrende”, la Clinton sforna frasi fatte, come “Siamo alla resa dei conti" e "Siamo più forti se uniti". L’ex first lady, mamma e nonna, era vestita di bianco, Chelsea di rosso: lo sfondo blu completava i colori della bandiera americana, ripetuti dalle migliaia di palloncini piovuti sul palco nel tripudio finale.
Se Trump è corrosivo, il presidente Barack Obama, che mercoledì sera aveva dato il suo appoggio all’ex first lady, presentandola come suo successore, commenta: "Grande discorso. E’ esperta. E' pronta. Non si arrende mai. Ecco perché Hillary deve essere il nostro prossimo presidente".
Dalla fiera di paese al grande cinema
Il copione delle convention è sostanzialmente identico, per i repubblicani e per i democratici: sussulti di contestazione all’inizio, perché questa è una democrazia; il voto che zittisce – o almeno acqueta – le polemiche; il crescendo degli interventi – quello dei democratici è incomparabile, Michelle, Bill, Barack, Hillary -.
I sondaggi ci diranno se l’effetto convention ha rilanciato la Clinton in testa alla corsa, dopo che Trump aveva goduto dello slancio della kermesse repubblicana. Ma Filadelfia ha mediaticamente avuto meno impatto di Cleveland, dove si temevano incidenti che non ci sono sostanzialmente stati.
Un discorso senza errori e senza acuti
Quello di accettazione della nomination di Hillary è stato un discorso senza errori, ma senza acuti. C’è quasi da dare ragione a Trump, che chiosa: "Una collezione di cliché e di retorica riciclata". L’ex first lady chiude la convention democratica, impegnandosi ad agire, se sarà eletta, per unire l’America e non per dividerla, come – è esplicito - fa il suo rivale. E parla di sicurezza, armi, terrorismo, razzismo, diritti civili; tranquillizza gli alleati sul rispetto degli impegni.
Introdotta sul palco del Wells Fargo Center, dopo un’esibizione di Kate Perry, dalla figlia Chelsea, che l’ha presentata come “una lottatrice che non s’arrende”, la Clinton sforna frasi fatte, come “Siamo alla resa dei conti" e "Siamo più forti se uniti". L’ex first lady, mamma e nonna, era vestita di bianco, Chelsea di rosso: lo sfondo blu completava i colori della bandiera americana, ripetuti dalle migliaia di palloncini piovuti sul palco nel tripudio finale.
Se Trump è corrosivo, il presidente Barack Obama, che mercoledì sera aveva dato il suo appoggio all’ex first lady, presentandola come suo successore, commenta: "Grande discorso. E’ esperta. E' pronta. Non si arrende mai. Ecco perché Hillary deve essere il nostro prossimo presidente".
Dalla fiera di paese al grande cinema
Il copione delle convention è sostanzialmente identico, per i repubblicani e per i democratici: sussulti di contestazione all’inizio, perché questa è una democrazia; il voto che zittisce – o almeno acqueta – le polemiche; il crescendo degli interventi – quello dei democratici è incomparabile, Michelle, Bill, Barack, Hillary -.
Ci sono
sfumature di differenze: i repubblicani hanno un contesto più da kermesse, un
po’ scaciato, noi diremmo coatto; i democratici sono perfettini,
ingessati, pure nella rabbia, o
nell’entusiasmo.
Così, mentre
a Cleveland i repubblicani
avevano organizzato una fiera di paese, al Wells Fargo Center di Filadelfia è
stato grande cinema: tutti da Oscar: gli
attori protagonisti, mogli e mariti, presidenti e aspiranti, ciascuno recita la
sua parte da consumato professionista.
I meno
bravi sono stati i vice. Mike Pence, il repubblicano, e Tim Kaine, il
democratico, non valgono i loro boss e si vede: non hanno carisma e non fanno
il peso, l’uno troppo rozzo, l’altro troppo prete. Chiunque eleggano, gli
americani passeranno i quattro anni del prossimo mandato incrociando le dita
che il titolare non debba essere sostituito in corsa.
Alle
convention, e non solo, tutto è finto, ma tutto pare terribilmente vero; e
tutti ci credono, o fingono di farlo: l’unità repubblicana dietro Trump; la
complicità tra Obama e Hillary che giusto otto anni or sono stavano a
sbranarsi; persino la ‘love story’ di Bill e l’ incontro “con una ragazza” –
lui che ne ha sicuramente incontrato decine, anche se ne ha sposato una sola -.
Il lato debole e il soffitto di cristallo
Il
discorso di Bill è troppo mieloso: questo è il lato debole del copione del kolossal
democratico. La condiscendenza, in nome del potere, presente e futuro, di
Hillary moglie tradita nei confronti di Bill marito fedifrago, ma governatore o
presidente, aliena molte simpatie specie femminili alla candidata democratica.
Anche se la letteratura è fitta e variegata, su come Hillary reagì al Sexgate,
i giochini erotici del marito nello Studio Ovale con la stagista Monica Lewinski:
solidale in pubblico, furibonda in privato fino a scagliargli contro un libro,
secondo i racconti di biografi ‘gossippari’.
Filadelfia
celebra, tuttavia, lo storico evento della prima donna candidata alla
Casa Bianca da uno dei due maggiori partiti statunitensi: in un video di
neppure due minuti, la Clinton rompe non solo metaforicamente il 'soffitto di
cristallo', come viene metaforicamente chiamata la barriera invisibile che
ostacola da sempre l’ascesa delle donne al vertice.
Nel montaggio sfilano i 44 uomini
che l'hanno preceduta alla Casa Bianca: una carrellata di volti che alla fine
compongono un tetto di vetro vero e proprio. E, in un crescendo, il volto di
Hillary viene in primo piano tra i vetri infranti: vestita con un fiammante
abito rosso, circondata da donne. Folgorante anche la chiusa del video,
indirizzata alle bambine "forse all'ascolto": "Può essere che io
diventi la prossima presidente degli Stati Uniti. Ma una di voi sarà sicuramente
la successiva".
Il passaggio di testimone
In questo
clima, la convention ha assistito, mercoledì sera, a un passaggio del testimone
simbolico tra il presidente Obama e la Clinton: fra i due, sul palco, un
abbraccio quasi intenso, romantico. “Sono orgoglioso di te”, dice lui. L’unità
del partito dietro la sua candidata è suggellata dalla lealtà di Sanders, che
placa la rivolta degli irriducibili ‘sanderistas’, dalla sfilata di ispanici,
neri, donne, personaggi dello showbiz, dall’endorsement del magnate
dell’editoria ed ex sindaco di New York Mike Bloomberg.
Tutti
sono con Hillary, che “è la scelta giusta”. E tutti sono contro Trump, che “è
un demagogo” e “un incompetente”, ma che “è pericoloso”. Come a Cleveland,
anche a Filadelfia l’unità è più forte contro che per.
L'informazione omogeneizzata
Per due settimane, gli Stati Uniti hanno vissuto al ritmo delle convention: l’informazione politica è stata monopolizzata dai due eventi. Lo scrittore Percival Everett è molto critico su come i media hanno raccontato i due appuntamenti, specie il repubblicano, e li accusa di “mancanza di profondità e rigore intellettuale”.
Per due settimane, gli Stati Uniti hanno vissuto al ritmo delle convention: l’informazione politica è stata monopolizzata dai due eventi. Lo scrittore Percival Everett è molto critico su come i media hanno raccontato i due appuntamenti, specie il repubblicano, e li accusa di “mancanza di profondità e rigore intellettuale”.
Everett denuncia la passività dei
giornalisti davanti alla pratica sistematica “della collaudata tecnica fascista
che consiste nel reiterare menzogne fino a quando non vengano considerate
verità”, mentre i dibattiti si riducono “a un rabbioso scandire di slogan”.
La critica di Everett, condivisa da
intellettuali e liberal, innesca una discussione sul basso livello della
campagna 2016. Sul cui esito, però, più degli interrogativi sul rispetto – o
meno – dei valori, rischiano di incidere le paure del terrorismo e
dell’immigrazione. Proprio quelle su cui gioca Trump (e su cui la stampa
indulge). (AffarInternazionali - gp)
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