Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 07/07/2016 e poi ripreso da www.GpNewsUsa2016.eu
E’ disseminata di trappole, la strada di qui all’Election
Day di Hillary Clinton e Donald Trump: ostacoli a loro noti, perché
appartengono al loro passato. Da un momento all'altro, imbarazzi o scandali
potrebbero riemergere e sbarrare loro la strada della Casa Bianca, a
prescindere dagli errori che l’una e l’altro potranno fare in campagna.
Con due personaggi dalle storie così lunghe e così
ingombranti, la stampa americana è già scatenata alla ricerca di scheletri
nell'armadio che, dopo le convention, sarebbero devastanti per i candidati, ma
anche per i loro partiti, perché ci sarebbe ben poco tempo per allestire una
strategia di controllo dei danni o per approntare delle alternative.
Le voci a rischio per Hillary sono l’emailgate, la
strage di Bengasi, i fondi alla Fondazione Clinton, le retribuzioni dei suoi
discorsi a Wall Street, le storie di Bill. Quelle per Trump sono le inchieste
sulla sua Università, le bancherotte del passato, le dichiarazioni dei redditi,
i rapporti con le donne.
Due ostacoli, Hillary parrebbe esserseli tolti di
dosso: l’emailgate e Bengasi. L’Fbi ha appena concluso l’indagine sull’uso di
server di posta elettronica privati quando era segretario di Stato,
biasimandola per l’“estrema negligenza”, ma non chiedendone l’incriminazione. E
la commissione d’inchiesta della Camera sulla strage in Libia nel settembre del
2012, quando furono uccisi l’ambasciatore degli Usa Chris Stevens e altri tre
cittadini americani, ha speso sette milioni di dollari e due anni di tempo per
concludere che l’allora segretario di Stato non fu responsabile di quelle
morti.
La tempistica e le modalità del ‘proscioglimento’ di
Hillary nell’emailgate e la mancanza a Bengasi di adeguata protezione militare
americana lasciano, tuttavia, spiragli alle critiche repubblicane: c’è da
scommettersi che i due argomenti saranno sfruttati per tutta la campagna, anche
se, come trappole, appaiono relativamente disinnescate.
Resta, invece, aperta un’altra noiosa inchiesta dell’Fbi
sulle donazioni fatte da Paesi od enti esteri alla Fondazione Clinton, mentre
Hillary era segretario di Stato – pagamenti di favori ricevuti?, o caparre per
favori da ricevere? -. Ed è sempre dolente il tasto, su cui molto batteva
Bernie Sanders, il rivale democratico, dell’entità dei compensi, mai svelata,
per i discorsi fatti a Wall Street. Ma l’insidia forse maggiore viene da Bill,
il marito: vecchie fiamme alla ricerca di nuova pubblicità; o nuove gaffes,
come l’inopportuno incontro in un aeroporto dell’Arizona – una roba quasi da
tresca – con il segretario alla Giustizia Loretta Lynch, a indagine dell’Fbi
sull’emailgate ancora aperta.
Trump non è messo meglio. Anzi, è probabilmente messo
peggio. Ma ha la faccia tosta d’un baro e la capacità d’incassare i colpi d’un
pugile. Il guaio più grosso sono le inchieste avviate a New York e a San Diego
sulla sua Università, che vendeva ad alto prezzo corsi scadenti per avere
successo nell’immobiliare: i procedimenti dovrebbero iniziare dopo l’Election
Day, ma la spada di Damocle incombe (tanto più che lo showman se l’è presa con
il giudice della California perché ispanico). Poi ci sono le vecchie storie di
alcune sue fallimentari attività imprenditoriali, i casino di Atlantic City e
la compagnia aerea, che intaccano il mito dell’uomo d’affari di successo.
La questione su cui i democratici potrebbero però
‘rosolare’ l’avversario è la dichiarazione fiscale che il magnate non tira
fuori – non ne ha l’obbligo, ma c’è la prassi di farlo -. E il candidato 2012,
Mitt Romney, va dicendo che lì dentro potrebbero esserci “notizie bomba”. La
stampa britannica, intanto, gli ha già scoperto magagne con il fisco.
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