Scritto per EurActiv.it e, in altra versione, il blog de Il Fatto Quotidiano il 31/05/2014
Dalla cena di Bruxelles, si è usciti con due
plenipotenziari, Junker come uomo di fiducia del Parlamento e Herman Van Rompuy
come voce dei leader, incaricati di sondare il terreno in vista di una
decisione al Vertice europeo del 26 e 27 giugno.
Nella sua intervista euro-buonista di questa mattina a La Stampa e al altri
prestigiosi quotidiani, Renzi dichiara la Germania un modello e ostenta stima per la Merkel , che “non è un
nemico”. Ma, almeno teoricamente, sul pacchetto delle nomine, Italia e Germania
possono ora trovarsi in campi diversi.
In realtà, le scuole di pensiero sulla presidenza della
Commissione sono almeno tre, dopo che le elezioni hanno prodotto un Parlamento
europeo in cui i popolari sono i più numerosi, davanti ai socialisti, ma dove
né gli uni, che hanno perso quasi 60 seggi, né gli altri, che ne hanno perso
una decina, possono davvero affermare di avere vinto.
Sia i popolari che i socialisti avevano espresso un candidato
alla presidenza della Commissione, il lussemburghese Juncker, ex premier ed ex
presidente dell’Eurogruppo, e il tedesco Martin Schulz, presidente uscente del
Parlamento. Anche liberali, verdi e sinistra radicale avevano loro candidati,
ma hanno preso un quinto dei seggi di popolari e socialisti.
C’è il partito del ‘rispetto del voto’ di cui s’è fatto
recentemente interprete, fra gli altri, Lorenzo Bini Smaghi su La Stampa : gli elettori sono
stati interpellati, anche se magari molti di essi non erano consci che votavano
anche per esprimere una preferenza per il presidente dell’Esecutivo e del loro
parere bisogna tenere conto.
C’è il partito del “si scelga il meglio”, e né Juncker né
Schulz lo sono, perché al più rappresentano l’usato sicuro di questa Unione.
Tesi suggestiva, anche se, poi, alla prova dei fatti, il meglio è relativo
all’interesse di ciascuno: così, per i britannici, che s’iscrivono in questo
partito, il meglio è un presidente quanto più scolorito e quanto meno europeista
possibile. Il premier svedese Fredrik Reinfeldt vuole riunire il 9 giugno un
‘mini-vertice’ con la Merkel ,
Cameron e l’olandese Mark Rutte, per portare avanti questa tesi. E, secondo der Spiegel, Cameron avrebbe avvertito la Merkel che Londra sarebbe
pronta a uscire dall’Ue, in caso di nomina di Juncker.
Infine, c’è il partito che scarta Juncker e Schulz, perché né
l’uno né l’altro hanno vinto le elezioni, e punta a legare tutte le scelte in
un unico pacchetto, sul quale Renzi possa mediare, essendo l’Italia dal 1.o
luglio alla presidenza di turno del Consiglio dell’Ue.
Perché, di qui alla fine dell’anno, di posti da riempire
l’Unione europea ne ha un sacco: il presidente della Commissione, e tutti i
membri dell’Esecutivo, ovviamente anche l’italiano; il presidente del Consiglio
europeo, dove il belga Herman Van Rompuy va esaurendo il mandato; l’alto
commissario per le politiche estera e di sicurezza comuni, con la britannica
Catherine Ashton a fine corsa; il presidente dell’Eurogruppo, dove il ministro
olandese Jeroen Dijsselbloem pare avere il fiato corso.
Un discorso a parte è quello del presidente dell’Assemblea
di Strasburgo, che gli eurodeputati eleggeranno alla loro prima plenaria,
all’inizio di luglio, quando Renzi presenterà al Parlamento il programma della
presidenza italiana.
Per mediare, l’Italia sarebbe in posizione privilegiata:
presidente di turno e senza ambizioni in proprio, perché la presenza di Mario
Draghi alla presidenza della Banca centrale europea esclude, in linea di
massima, che ci tocchino fette della torta.
In attesa dei giochi che contano, l’Italia è, però, per il momento,
senza commissario nell’Esecutivo di Bruxelles: Antonio Tajani, eletto a
Strasburgo, è ormai fuori e va sostituito. Con chi? La parola, qui, spetta solo
a Renzi: può tappare il buco subito; o aspettare tenendosi la mossa in serbo sulla
scacchiera delle nomine.