Pubblicato da AffarInternazionali l'11/05/2014
L’euro divide l’Italia in tre: quasi un terzo gli è contro, non ne vuole sapere; un terzo lo accetta, ma lo subisce; un po’ più d’un terzo gli riconosce dei meriti, è favorevole. Lo dice un sondaggio, uno dei tanti, a due settimane da elezioni europee che - spiega un altro studio dell’opinione pubblica - interessano, poco o tanto, il 53% degli italiani, appena più della metà.
E la campagna, che sembrava doversi giocare tutta sull’Unione e sull’euro, sul futuro dell’integrazione e sulle tentazioni dell’arretramento, s’é rapidamente arroccata nel gioco delle parti consueto della politica italiana.
Ernesto Galli della Loggia, sul Corriere della Sera, trova “strano” che d’Europa si parli poco e sempre meno più passa il tempo e più s’avvicina il voto. Ma, sul che cosa fare nell’Unione e dell’Unione, una volta esaurito il formulario generico e passe-partout d'un’Europa "diversa", "democratica", "dei cittadini", "meno tedesca" e/o "anti-tedesca", pochi candidati e quasi nessun leader sanno davvero che cosa dire.
Esame per gli euroscettici
C’entra pure, suggerisce Galli della Loggia, la fiacchezza di un progetto europeo in cui la visione dell’integrazione e il progetto federalista sono arretrati, mentre s'è fatta più forte l’identificazione dei cittadini con le loro piccole patrie regionali, donde separatismi e localismi.
Così, il vero punto politico delle prossime elezioni europee sarà il risultato dei partiti euro-scettici, nelle loro varie componenti, di estrema destra (Alba Dorata e i suoi accoliti britannici, ungheresi ed altri), di destra con coloriture xenofobe (l’Alleanza intorno al Front National con la Lega, belgi, olandesi, austriaci e altri), di sinistra (l’Altra Europa di Alexis Tsipras, con la sinistra radicale e alternativa), autonomista o separatista, senza apparentamenti - per ora, ad esempio il Movimento 5 Stelle.
Romano Prodi, ex premier ed ex presidente della Commissione europea, auspica che l’avanzata degli euro-scettici e "la lezione del populismo” insegnino “agli altri a fare le cose giuste". Purtroppo, però, dalla campagna elettorale arrivano segnali che il populismo viene più cavalcato che combattuto - almeno in Italia - e che "le cose giuste" pochi abbiamo le idee chiare su quali siano.
Solo due candidati alla presidenza della Commissione europea, il candidato del Partito popolare europeo, Ppe, Jean-Claude Juncker e l’uomo del Partito socialista europeo, Pse, Martin Schulz, appaiono sicuri di ottenere dei seggi, qui da noi.
Le liste e le formazioni che sostengono gli altri candidati, il liberale (e federalista) Guy Verhofstadt, l’euro-critico di sinistra Alexis Tsipras, la coppia verde José Bové e Ska Keller, puntano a superare la soglia del 4%, ma non sono affatto sicuri di farcela. Anzi, per liberali e verdi l’impresa appare quasi disperata. A meno che la messa in discussione dello sbarramento di fronte alla Corte costituzionale non cambi le carte in tavola.
Oltre la soglia del 4%
Al momento, oltre la soglia del 4% ci sono il Partito democratico, che sostiene Schulz, Forza Italia, Fi, e Nuovo centro destra, Ncd, che appoggiano Juncker, il Movimento 5 stelle e la Lega, che non hanno candidati per la presidenza dell’Esecutivo comunitario. Nel Ppe, le sortite anti-tedesche di Silvio Berlusconi hanno creato imbarazzo e malumore, ma nessuno pensa sul serio di espellere Fi dal Ppe.
A livello europeo, la corsa tra socialisti e popolari al gruppo più numeroso nel nuovo Parlamento resta aperta: vantaggio (lieve) al Ppe, ma distanze minime intorno ai 210 deputati (su 751) per gli uni e per gli altri. Nella campagna e nei dibattiti, Schulz e Juncker, invece di esaltare le differenze e darsi battaglia, tendono a sovrapporre le posizioni: una melassa che preconizza l’inciucio prossimo venturo delle nuove grandi intese europee.
Sostituti di Barroso, Ashton e Van Rompuy
E infatti a Bruxelles e a Strasburgo c’è chi dà i giochi per (quasi) fatti, quali che siano i risultati delle elezioni europee del 25 maggio, salvo sorprese assolute. Secondo fonti parlamentari, Juncker sarà il prossimo presidente della Commissione europea, al posto di Manuel Barroso, e Schulz sarà l’alto commissario per la politica estera e di sicurezza, al posto di Lady Ashton.
A questo punto, alla presidenza del Consiglio europeo, al posto di Herman Van Rompuy, ci vorrebbe una donna. Fonti informate danno in prima fila la presidente lituana Dalia Grybauskaite, una ex commissaria, e la premier danese Helle Thorning-Schmidt.
Può darsi che le cose vadano davvero così. Ma le incognite restano molte: i risultati elettorali e l’arrivo dell’attesa e composita ondata euro-scettica potrebbero spingere il Consiglio europeo verso scelte diverse.
Subito dopo il voto, il 26 maggio, si riunirà a Bruxelles l’ufficio di presidenza del Parlamento - quello uscente -; ed il 27 maggio i leader dei 28 si vedranno a cena su invito di Van Rompuy e valuteranno la situazione alla luce dei risultati. Non è detto che dal consulto esca già un’indicazione sul presidente della Commissione.
A metà giugno, avverrà la formazione dei gruppi della nuova Assemblea, tappa cruciale per valutare i rapporti di forza. La seconda plenaria della nuova Assemblea, dal 14 al 17 luglio, sarà l’occasione per votare l’investitura del presidente della Commissione.
Italiani a Bruxelles
Per la composizione dell’Esecutivo, il candidato italiano favorito è Massimo D’Alema. L’attuale vice-presidente dell’Esecutivo, e responsabile per l’Industria, Antonio Tajani, capolista di Fi nell’Italia centrale, può ambire a un ruolo di rilievo nel nuovo Parlamento, anche alla presidenza.
Magari in un testa a testa con l’altro potenziale candidato italiano, Gianni Pittella, vice-presidente uscente, cui il Pd ha concesso una candidatura in deroga, proprio per lanciarlo in pista nella corsa alla presidenza dell’Assemblea. Un posto che l’Italia non ha mai avuto: l’ultimo, e unico, presidente italiano del Parlamento europeo fu, dal 1976 al ’79, Emilio Colombo. Ma, allora, l’Assemblea non era elettiva.
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