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mercoledì 28 maggio 2014

Ue: Le Pen lancia referendum anti-Ue, medicina indigesta

Scritto per Il Fatto Quotidiano del 28/05/2014

L’Unione europea, che s’è presa un febbrone da cavallo da euro-scetticismo, è ora scossa da brividi da referendum: una parola che evoca incubi del passato e suona foriera di disastri futuri; una specie di tabù che, oggi, dopo le elezioni europee di domenica scorsa, infrangono in tanti. Marine Le Pen, leader del  Front National, uscito dal voto in Francia come primo partito, dice che, se diventerà presidente, organizzerà “un referendum per chiedere ai francesi se vogliono uscire dall'Ue".

La Le Pen, che finora ce l’aveva essenzialmente con l’euro, alza la posta. L’eventualità (che Marine diventi presidente e convochi il referendum) è remota, perché i francesi, di fronte a un’eventualità del genere, farebbero appello a quello che loro chiamano “lo spirito repubblicano” e voterebbero tutti compatti –moderati e progressisti- contro. E’ già accaduto nel 2002, quando il socialista Jospin si suicidò politicamente al primo turno delle elezioni presidenziali e regalò il ballottaggio al padre di Marine, Jean-Marie Le Pen: nel testa a testa, Chirac ebbe l’82% dei voti, Le Pen meno di quelli che aveva avuto al primo turno.

Oggi però è un po’ diverso: Marine è quasi sola sulla scena politica francese; il presidente Hollande ha portato i socialisti al loro minimo storico; e i gollisti sono lacerati dalle dimissioni del loro leader Copé, per una vicenda di false fatture. Da Juppé a Chirac, da Sarkozy a Copé, il partito della destra non è nuovo a scandali giudiziari. Ma, questa volta, s’intrecciano disorientamento politico, regolamenti di conti personali e contestazioni giudiziarie.

I referendum, in questa Unione che cerca di raccapezzarsi, dopo l’uragano elettorale, appaiono come la medicina di tutti i mali. In Austria, gli euro-scettici ne chiedono uno sull’euro.

In Gran Bretagna, il premier conservatore Cameron lo prevedeva per il 2017 –dopo le politiche-, ma potrebbe anticiparlo, per rispondere alla bufera Ukip, il movimento anti-Ue vincitore delle europee, che, intanto, lancia l’operazione ‘Brexit’ per l’uscita dall’Unione. I laburisti, invece, vedono “il futuro della Gran Bretagna dentro l’Ue, non fuori” e giudicano il referendum “non una priorità”.

In Italia, ci sono le iniziative della Lega. E l’obiezione che i trattati internazionali non sono materia di referendum ha un valore più giuridico che politico: difficile ignorare un no popolare, quale che sia la Costituzione.

Poi, ci sono, i referendum indipendentisti in Scozia –già fissato per il 18 settembre- e in Catalogna: sono problemi nazionali, per Gran Bretagna e Spagna, ma possono diventare un rompicapo europeo perché Scozia e Catalogna, se divenissero indipendenti, dovrebbero poi rinegoziare l’adesione all’Unione.
I referendum fanno spesso male all'Europa. Per due volte, la Norvegia negoziò la propria adesione e, per due volte, un referendum rese quei negoziati carta straccia, nel ‘72 e nel ‘94; e un referendum, nel 1985, decise l’uscita della Groenlandia dall'allora Cee –caso finora unico di ‘recessione’-.

Il Trattato di Maastricht, che, agli inizi degli Anni 90, segnò la nascita dell’Unione e il rilancio dell’integrazione, fu bocciato da un referendum in Danimarca nel 1992 –modificato, venne poi approvato-; allo stesso modo, vennero superati i no popolari irlandesi ai Trattati di Nizza nel 2001 e di Lisbona nel 2008. Sempre, l’intoppo del referendum ritardò l’entrata in vigore degli accordi.

Letali al progetto di Costituzione europea furono, invece, il 29 maggio e il 1° giugno 2005, i no popolari di Francia e Olanda: il documento finì in un cassetto senza più uscirne. Di quello shock, è frutto il Trattato di Lisbona, in vigore dal 1° novembre 2009.

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