All’ultimo giro,
compare, per la prima volta, Alexis Tsipras. E il leader greco di Syriza e de
‘L’Altra Europa’ spariglia (un po’) le carte ai rivali. Ma il terzo dibattito
in diretta televisiva fra i candidati alla presidenza della Commissione europea
è il meno pungente, forse perché Guy Verhofstadt, il liberale, e Ska Keller, la
verde, stavolta proprio tutta di verde vestita, hanno già esaurito la loro carica
e si ripetono, mentre Martin Schulz, il socialista, e Jean Claude Juncker, il
popolare, girano sempre a basso regime, più attenti a non dire una parola fuori
posto che a conquistare consensi.
Tsipras, l’unico
senza cravatta, sceglie di esserci quando i candidati possono esprimersi
ciascuno nella lingua che preferisce (e non devono farlo in inglese). Ma il
confronto, tradotto, manca d’efficacia: la voce che arriva è quella
dell’interprete, le frasi perdono fluidità. E se, all’inizio, il greco e la tedeschina,
che sono gli outsiders, paiono andare forte, anche perché sono più
spregiudicati, non avendo nulla da perdere, a conti fatti la melassa delle
banalità e delle affermazioni scontate prevale.
Nello Spazio
Europa del palazzo delle Istituzioni comunitarie a Roma, centinaia di persone
seguono il dibattito. Domanda dopo domanda, il pubblico vota chi se l’è cavata
meglio: Tsipras piace di più sul Patto di Bilancio (cioè contro); Schulz
sull’occupazione dei giovani; Verhofstadt sull’Unione bancaria ed anche sulla
speranza che l’Unione deve trasmettere; la Keller sull’Ucraina –l’Europa è
ipocrita: critica Putin e vende armi alla Russia-; e ancora la Keller e Tsipras
sugli indipendentismi; sempre la Keller sulla politica dell’immigrazione –l’Europa
del Nobel per la Pace deve mostrare solidarietà-; Schulz e Tsipras sul ‘no’
fermo ai simboli religiosi nei luoghi pubblici; ancora Schulz e Tsipras sulla riluttanza
dei cittadini ad andare alle urne, di nuovo Schulz sulla lotta alla corruzione
e alle lobbies.
Su un punto sono
tutti d’accordo: la scelta del presidente della Commissione deve avvenire
nell’ambito dei candidati, dal cappello a cilindro dei capi di Stato o di
governo dell’Ue non può uscire il nome a sorpresa. Persino Juncker sbotta: “Se
non sarà uno di noi, nel 2019 non andrà più a votare nessuno, perché gli
elettori si sentiranno presi in giro”.
Tsipras strizza l’occhio
al voto italiano: attacca Juncker, che c’era, per il vertice di Cannes dove, dice,
dietro le quinte vennero rovesciati due governi democraticamente eletti, cioè
quello greco e l’italiano –un’eco delle polemiche sul complotto di questi
giorni-; e poi cita l’impegno dei giudici contro la mafia. Verhofstadt si
rigioca la carta della denuncia della carenza di leadership della Commissione, con
il presidente Barroso che telefona sempre a Berlino e a Parigi, prima di
prendere qualsiasi decisione; ma è la terza volta che lo fa e suona stantio.
Il dibattito
corre veloce. Fin troppo: un minuto a intervento è davvero poco, nessuno sta
mai nei tempi. Fioccano i tweets con l’hashtag #telleurope, dillo all’Europa:
ne arrivano 63 mila, 700 al minuto, dieci ogni secondo. Alla fine, il pubblico
dello Spazio Europa ‘vota’ Tsipras e Schulz, dietro Verhofstadt e Keller, ultimo
Juncker. Un test che vale quel che vale: Schulz e Juncker restano i favoriti. E
il coniglio che potrebbe mangiare la carota resta, per ora, nascosto nel
cilindro dei leader.
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