Scritto per il blog di Media Duemila lo 07/05/2014
Ieri, martedì 6
maggio, la posta m’ha consegnato una lettera –sì, proprio una lettera, evento
ormai rarissimo-, che, “sperando di farmi cosa gradita”, mi informava che il 24
aprile –cioè due settimane or sono- sarebbe scaduto il termine per la
presentazione della domanda alla prova di selezione di 100 giornalisti Rai.
Sento già tutti voi tentati dal ‘cliccare via’: “Il solito
pezzo sui ritardi della posta”, un classico che solo la progressiva scomparsa
–appunto- di lettere e cartoline sta rapidamente sopprimendo. No!, non è così:
state lì, ché sarò breve.
Dunque: la lettera, datata 7 aprile, segnala la scadenza di
un bando –per altro, il 'concorsone' è stranoto ai giornalisti- il 24 aprile e viene recapitata
il 6 maggio… Curioso… Ma il problema non è questo…
Quel che mi colpisce è che la lettera viene recapitata a me
e –ho naturalmente fatto varie verifiche- ad altri colleghi in una situazione
analogia alla mia –pensionati o, comunque, con il proprio futuro professionale
ormai alle spalle-, che, oggettivamente, non c’entrano nulla con il bando e il
concorso, destinato, si spera, ad immettere nella Rai professionalità
giornalistiche fresche e giovani, a dare uno sbocco alle attese di precari, a
premiare il merito sui criteri d’assunzione più triti del passato. E che suscita enormi attese: 4981, gli iscritti, uno su 50 lo vincerà.
A scrivermi la lettera, è una società che -ovviamente previa
congrua retta- s’impegna a prepararmi ad affrontare il concorso. Ora, il fatto
che la missiva sia stata mandata a me ed a tanti miei colleghi ‘fuori gioco’
non è uno scandalo, perché non comporta spreco di denaro pubblico –al massimo,
è stata la società in questione ad avere sprecato un po’ del suo denaro-. E non
è neppure un’offesa, perché forse, anzi certo, trarrei anch’io beneficio da
quel corso: l’esperienza non elimina l’esigenza dell’aggiornamento; e
frequentandolo imparerei di sicuro un sacco di cose.
L’arrivo della lettera solleva, piuttosto, qualche
interrogativo sulla formazione professionale, tanto più acuto perché, da
quest’anno, e a mio avviso giustamente, tutti i giornalisti professionisti,
pure i pensionati, sono tenuti alla formazione continua. Nascono, dunque,
iniziative per soddisfare l’esigenza: molte serie –spero tutte quelle con
l’autorevole avallo dell’Ordine dei Giornalisti-, che puntano ad arricchire,
magari sotto angolature specifiche, i colleghi che le frequentano.
Ma c’è pure chi considera l’aggiornamento e la formazione un
vero e proprio affare. E, magari, propone bufale (che -ahimè- sono attinenti alle scuole di giornalismo). Con il rischio che chi frequenta i corsi concepiti con
questo presupposto si ritrovi, alla fine, più povero, avendo dovuto pagare una
quota non simbolica, senza uscirne davvero arricchito professionalmente, ma,
magari, solo nutrito dall'illusione di avere investito sul proprio futuro.
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