Scritto, in versioni diverse, per AffarInternazionali, EurActiv.it e il blog de Il Fatto il 26/05/2014
E’ una Torre di Babele l’Europa
del voto. E le lingue non c’entrano. Perdono molti governi, ma non in Germania
e in Italia; vincono gli euro-scettici e gli euro-critici, ma in Gran Bretagna
e in Francia sono di destra, anti-Ue o anti-euro, e non vanno d’accordo fra di
loro; e in Grecia sono di sinistra, vogliono cambiare l’Unione dal di dentro.
Se la Merkel sorride e Renzi ride,
altrove popolari e socialisti hanno preso sonore bastonate. Ma sono ancora
tentati di riproporre in Europa le ricette delle larghe intese con un mix tra
rigore e crescita. A meno che i risultati non diano una scossa ai leader che
hanno preso le scoppole maggiori e li spingano a cambiare strada: il socialista
Hollande, il popolare Rajoy, il conservatore Cameron si leccano le ferite.
Anche per euro-scettici ed
euro-critici non è una marcia trionfale. Sono il primo partito in Francia, in
Gran Bretagna e, con valenze diverse, in Grecia e in Danimarca, ma arretrano in
Italia e pure nell’Europa centro-orientale. E restano una galassia composita,
senza la massa critica d’un gruppo grande e coeso.
C’è il rischio che queste
elezioni europee siano come le ciliegie: una tira l’altra. Ne potrebbero
conseguire elezioni politiche in Grecia, Bulgaria, Portogallo. In Italia,
invece, la prospettiva pare allontanarsi.
Per cercare di capirci qualcosa, e
soprattutto di trovare una parata, i leader dei 28 si vedranno domani sera a
Bruxelles: una cena di lavoro, per valutare i risultati e cominciare a
impostare, almeno, il valzer delle poltrone, partendo dal nuovo presidente
della Commissione europea.
L’erosione della partecipazione arrestata
Probabilmente, non ne usciranno
subito decisioni. Ma l’esito del voto colloca in pole position, come successore
di Manuel Barroso, il popolare Juncker, ex premier lussemburghese ed ex
presidente dell’Eurogruppo, non esattamente il nuovo che avanza. Il Ppe perde
una sessantina di seggi, ma resta il gruppo più numeroso dell’Assemblea di
Strasburgo, con una ventina di seggi di vantaggio sul Pse, che pure ne perde a
manciata. Verdi a parte, stabili, tutte le forze tradizionali, anche liberali e
conservatori, arretrano. Né consola la lievissima risalita della partecipazione
popolare: questione di decimali, rispetto al 2009, ma è la prima volta dal 1979
che non si va giù –e ciò nonostante il tracollo italiano, circa 10 punti in
meno-.
In Italia, il Pd domina il voto
europeo ad di là di ogni previsione e sfiora il 41%, meglio di sempre (e meglio
di tutti nell’Unione, ad eccezione del partito al potere in Ungheria). Il Pd fa
il doppio, quasi, del M5S, che supera appena il 21%. Forza Italia s’attesta sul
16,7%. Più indietro, però sopra la soglia del 4% la Lega al 6,3% e Ncd / Udc al
4,4%. ‘L’Altra Europa’, costola italiana del conglomerato Tsipras, il leader
greco della sinistra radicale, ce la fa d’un soffio.
In attesa di vedere quali saranno le ripercussioni
nazionali, emerge l’impegno di Renzi a lavorare “per un’Italia che cambi
l’Europa”, a partire dalla presidenza di turno del Consiglio dell’Ue, che
proprio l’Italia assumerà il 1° luglio. Oltre che gestire gli avvicendamenti ai
vertici delle Istituzioni –e l’essere ora il maggiore partito socialista
europeo autorizza il Pd ad ambire alla presidenza dell’Assemblea di Strasburgo,
magari puntando su Gianni Pittella-, bisogna provare a mettere la barra su
occupazione e solidarietà.
Non sarà facile. Il voto tedesco non incoraggia la Merkel ad
allentare il rigore. I moltissimi suffragi raccolti da xenofobi e anti-islam
non sono un viatico per promuovere l’accoglienza, sul fronte dell’immigrazione.
Ancora prima che i risultati fossero noti, il presidente della Bce Draghi
diceva che “gli elettori si sono chiaramente allontanati … e attendono delle
risposte”. Che non possono venire, sempre e solo, dalla Banca centrale europea,
sulle cui decisioni, ai primi di giugno, s’accentrano già le attenzioni
dell’economia e della politica.\
Nessun commento:
Posta un commento