Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 08/05/2015
E’ un voto che può essere lo snodo decisivo per la loro permanenza nell’Unione europea. Eppure, ci sono giunti dopo una campagna elettorale in cui d’Europa s’è parlato poco. Come se il Brexit, cioè l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, non fosse un problema loro: al massimo, degli europei. E’ l’attualizzazione del vecchio riflesso ‘Nebbia sul Canale, il Continente è isolato’: indubitabilmente, l’ottica con cui i britannici guardano all’Europa non è la stessa con cui gli europei guardano a loro.
Che hanno a cuore il mercato comune, meglio ancora se transatlantico, ma non certo tutti gli altri ammenicoli istituzionali dell’integrazione, che sentono come pastoie e che a loro costano –sono, com’è giusto, contribuenti netti, nonostante gli sconti negoziati trent’anni or sono dalla Thatcher e
tuttora mantenuti-.
Molti di loro manco s’accorgerebbero d’essere fuori dall’Unione e di essere finiti nello Spazio economico europeo, con Norvegia, Svizzera e Liechtenstein: tutti i vantaggi del mercato integrato, senza i fastidi delle prediche di Bruxelles e dei diktat dei partner . Al massimo, una fina da fare e un passaporto da mostrare ai varchi di frontiera… Ed è più facile uscire dall’Ue che dall’euro: più facile, cioè, a termini di Trattati, un Brexit che un Grexit. Anche se complicati entrambi.
Eppure, proprio il voto che può avviare un percorso d’uscita dall’Unione avvicina la Gran Bretagna ai riti politici europei: s’appanna il bipartitismo tipicamente anglosassone e si delinea una stagione di negoziati fra partiti per formare coalizioni, come accade a Berlino e come accadeva a Roma.
L’attuale governo britannico lo è già, una coalizione: un’alleanza tra i conservatori di Cameron, euro-critici, e i liberaldemocratici di Clegg, decisamente più europeisti. Questa volta i protagonisti del dopo voto saranno, però, almeno quattro, con l’arrivo sulla scena dei nazionalisti scozzesi, capaci di azzerare o quasi i laburisti nella loro tradizionale roccaforte elettorale, oltre il Vallo d’Adriano. Mentre gli euro-scettici dell’Ukip, forti alle Europee dell’anno scorso, sono penalizzati dal sistema uninominale e, a conti fatti, conteranno poco.
Le affinità, o meno, europee saranno un fattore nei negoziati per la formazione del nuovo Esecutivo. Cameron promette un referendum sulla permanenza nell’Ue nel 2017, dopo avere però rinegoziato le condizioni d’appartenenza della Gran Bretagna all’Unione. Per governare ancora con lui, se avranno la forza di essere determinanti, i liberaldemocratici potrebbero pretendere un’attenuazione delle posizioni euro-critiche, smorzando l’impatto della consultazione.
Invece, una coalizione fra laburisti, euro-tiepidi, e nazionalisti scozzesi sarebbe molto più coesa sull'appartenenza all'Unione, anche se gli scozzesi possono leggere nel referendum un’occasione per rilanciare la causa dell’indipendenza: se gli inglesi decidessero di andarsene dall’Ue, loro, che vogliono restarci, potrebbero vederci una causa di secessione.
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