Scritto per Il Fatto Quotidiano del 22/05/2015
La Casa Bianca è
“profondamente preoccupata”. E Barack Obama assicura all’America e al Mondo che
“non stiamo perdendo” la guerra contro il Califfato. Eppure, le notizie che
vengono dai fronti del conflitto fanno pensare esattamente il contrario: dopo Ramadi
in Iraq, le milizie jihadiste prendono Palmira in Siria. E avanzano suscitando il
consenso delle popolazioni sunnite locali, nonostante gli orrori esecrabili di
cui si rendono responsabili, decapitazioni e vandalismi.
Questo è un
conflitto che va a folate: gli integralisti, che parevano inarrestabili, hanno poi
incassato alcune sconfitte, hanno perso città e territori che parevano loro
acquisiti; da qualche settimana, sono di nuovo all'offensiva, nonostante i
droni di Obama abbiano colpito e ucciso alcuni loro capi.
Il Pentagono
ammette “lo stallo”, che con la caduta di Palmira può divenire una disfatta:
bisogna rivedere la strategia e, alla Casa Bianca, si riunisce un ‘consiglio di
guerra’. Mentre gli europei, riuniti a Riga con i partner dell’Est, fra cui
l’Ucraina, cercano di evitare d’approfondire il solco delle tensioni con la
Russia: di Mosca, c’è diplomaticamente bisogno nel Grande Medio Oriente; e c’è
pure bisogno all’Onu, perché non metta i bastoni tra le ruote all’azione nel
Mediterraneo contro gli scafisti schiavisti.
Di fatto, il sedicente Stato islamico
controlla ormai più della metà del territorio siriano, una vasta area desertica
su cui insistono nove province, 95mila kmq –quasi un terzo dell’Italia-,
comprese zone petrolifere con una sessantina di pozzi. Palmira, la 'perla del
deserto’, un gioiello archeologico ma anche un centro strategico, è ormai
caduta interamente nelle mani degli jihadisti.
La città dista appena 210 chilometri da
Damasco e sorge sull'autostrada che taglia il Paese da ovest a est: decine di
soldati di al Assad sarebbero stati uccisi e su twitter circolano foto di cadaveri
senza testa, militari e civili decapitati.
Come nel centro e nel nord dell’Iraq,
anche qui gli jihadisti hanno la complicità delle popolazioni e delle tribù
sunnite. I miliziani, dopo una violenta battaglia andata avanti per ore e che
avrebbe fatto decine di vittime, hanno imposto il coprifuoco e hanno preso il
controllo del carcere, lasciandone fuggire i detenuti, dell'ospedale,
dell'aeroporto e del quartier generale dell'intelligence. Tutte queste
informazioni non sono verificate: ta tv del regime, al Ekhbariya, che trasmette
da Damasco, assicura che la maggior parte degli abitanti s’è allontanata prima
dell'arrivo degli integralisti.
L'area monumentale dell’antica Palmira,
con rovine romane con oltre mille colonne e torri funerarie incluse nella lista
del Patrimonio dell'Umanità dell'Unesco, è a rischio: con barbarie iconoclasta,
i miliziani hanno già provocato danni ai siti archeologici, secondo fonti
ufficiali. E la città attuale, Tadmur, è
stata colpita a più riprese dai raid del regime.
Il controllo di Ramadi in Iraq e di Palmira
in Siria avvicina il Califfato alle capitali dei due Stati che sta
ingurgitando. Nel timore di distruzioni e danneggiamenti nel sito archeologico,
l'Unesco avverte che sarebbe "un'enorme perdita per l'umanità”. E, a nome
dell’Ue, Federica Mogherini denuncia "un crimine contro l'umanità".
In un’intervista
a ‘The Atlantic’, Obama parla di “un arretramento
tattico" della forze lealiste, una delle formule dietro cui, da sempre, i
bollettini di guerra mascherano le ritirate o le disfatte. Ramadi, spiega, era
da tempo “vulnerabile”, perché le forze di sicurezza irachene non erano adeguatamente
“addestrate o rafforzate" -come dire che, lasciati da soli, gli iracheni
si squagliano-. Palmira non poteva più essere tenuta: i lealisti si
riorganizzano su una linea di difesa migliore. Ma il Califfo sogna di riaprire
i suoi palazzi, un millennio dopo, a Baghdad e a Damasco.
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