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martedì 5 maggio 2015

GB/Ue: l’Europa in sordina nella campagna elettorale più 'europea'

Scritto per La Presse lo 05/05/2015 

“L’Europa, posta in palio cruciale delle elezioni britanniche”, è il titolo che campeggiava sui servizi di Le Monde nell'imminenza del voto politico nel Regno Unito, questo giovedi 7 maggio. C’è chi, a Bruxelles, e nelle capitali dei 28, parla di ‘Brexit’, l’uscita della Gran Bretagna dall’Ue, con la stessa disinvoltura con sui si parla di ‘Grexit’, l’uscita della Grecia dall'euro. Una disinvoltura accresciuta dalla certezza - data per scontata - che né l’una né l’altra avverranno mai.

Per la Grecia, dopo cento giorni tondi tondi di governo Tsipras, la sicurezza s’è un po’ appannata, ma la prospettiva non terrorizza nessuno dei Paesi dell'eurozona –mentre mette i brividi ad Atene-. Per la Gran Bretagna, l’ipotesi è legata a una cascata di sé: se il premier uscente, il conservatore David Cameron, vince le elezioni –e non è detto-, intende organizzare nel 2017 – e non è domani - un referendum sulla permanenza nel Regno Unito nell'Unione europea, solo dopo avere, però, rinegoziato le condizioni d’appartenenza del Regno all'Unione.

Siamo nella serie ‘Chi vivrà vedrà’. Tanto più che la campagna elettorale che sta per concludersi, osserva Antonio Armellini, ex ambasciatore d’Italia a Londra, ha prodotto un paradosso europeo: “proprio nel momento in cui discute concretamente della possibilità di uscire dall'Ue, il paese si appresta a vivere le elezioni più ‘comunitarie’ della sua storia recente”, le meno anglosassoni.

Non solo non si sa chi vincerà –l’incertezza ha spesso caratterizzato in passato la vigilia del voto in Gran Bretagna-, ma quasi sicuramente il tradizionale bi-partitismo uscirà scosso dai risultati. Il premier Cameron non è riuscito -rileva l’ambasciatore Armellini, su AffarInternazionali.it- “a tradurre gli indubbi risultati ottenuti sul piano economico in un messaggio elettoralmente vincente”. E il capofila laburista Ed Miliband non ce l’ha fatta “a scrollarsi di dosso l’immagine di leader un po’ arrogante”, che non ha la capacità di trasmettere sicurezza nella rivincita al proprio elettorato storico ‘di sinistra’ e tanto meno di galvanizzare gli orfani di Tony Blair, attento a conquistare consensi al centro.

Cosi, leader del passato come John Major, fra i conservatori, e Gordon Brown, fra i laburisti, hanno saputo piazzare in questa campagna zampate più convincenti di quelle dei loro successori. Brown, un ‘leone di Scozia’, già protagonista decisivo della vittoria dei no nel referendum sulla secessione della Scozia dal Regno Unito, e Major presidiano ciascuno il proprio, atteggiandosi a padri nobili di quella patria da preservare dai pericolo di collasso ad opera del revanchismo indipendentista o delle tentazioni isolazioniste.

Cresce dunque il peso dei partiti minori, che, molto spesso, in Gran Bretagna quasi non ne avevano: a decidere la composizione del prossimo governo, potrebbero essere le scelte dei liberal-democratici di Nick Clegg, attualmente alleati dei conservatori, o dei nazionalisti scozzesi dell’Snp, che possono praticamente azzerare i laboristi in Scozia, un loro feudo, salvo poi diventarne alleati.

Invece, il meccanismo elettorale dei collegi uninominali rende irrilevante il peso degli anti-europei dell’Ukip, che avevano avuto una buona affermazioni nelle europee 2014, dove c’è il proporzionale. Nazionalisti gallesi, unionisti nord-irlandesi e Verdi potranno al più fare da stampelle a coalizioni già definite.

E il tema dell’Europa, rimasto in sordina nella campagna elettorale, sarebbe centrale nei negoziati  per la formazione di una coalizione. Per i liberali, è difficile immaginare l’ingresso in un governo Cameron che non si impegni ad annacquare la portata di un referendum sull'Europa nel 2017. 

Agli scozzesi dell’Snp, per contro, un referendum sull’Ue potrebbe risultare in un assist fortissimo al loro obiettivo di una Scozia indipendente dentro l’Ue. L’economista anglo-indiano Lord Meghnad Desai evoca la possibilità di un’inedita “grande coalizione” come via d’uscita dall’instabilità: la Gran Bretagna sulla via già battuta dalla Germania e dall’Italia, una via europea.

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