Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 30/09/2016
Donald Trump induce i
media americani a rompere con le proprie tradizioni: USAToday, il terzo
quotidiano statunitense per diffusione, l’unico davvero nazionale – lo si trova
negli aeroporti di tutta l’Unione -, per la prima volta nella sua storia rompe
di 34 anni prende posizione nella corsa alla Casa Bianca e invita i suoi
lettori a non votare per il candidato repubblicano. "Non è adeguato a fare
il presidente", afferma perentorio un articolo di fondo, che, però, se
boccia Trump, non esprime un endorsement a Hillary Clinton.
La candidata
democratica, dal canto suo, accusa il rivale di avere messo i suoi interessi
personali ed i suoi affari “al di sopra delle leggi, dei valori e della politica
degli Stati Uniti". L’ex first lady si riferisce a una vicenda svelata da
Newsweek con la formula ‘Castro connection’: affari con Cuba fatti in
violazione dell’embargo.
L’editoriale di USAToday - L'editoriale del quotidiano è
durissimo verso il magnate, giudicato "senza il temperamento, la preparazione,
la fermezza e l'onestà necessarie per fare il presidente". E portatore,
invece, di "indifferenza e ignoranza", con le quali mette in
discussione tutti gli impegni fondamentali presi da tutti i presidenti Usa
dalla fine della Seconda Guerra Mondiale in poi.
Trump viene quindi
descritto come "inaffidabile, male attrezzato per essere
comandante-in-capo, portatore di pregiudizi, con alle spalle un'attività imprenditoriale
con luci e ombre”. E ancora: “parla in maniera sconsiderata, ha imbarbarito il
dialogo nazionale ed è un bugiardo seriale".
Quanto a Hillary, il
comitato editoriale di USAToday ammette di essere diviso sul suo conto: alcuni
vedono in lei tutte le qualità per essere un buon presidente, altri esprimono
forti riserve.
La ‘Castro connection’ – Le rivelazioni di Newsweek rischiano
di alienare a Trump le simpatie della comunità degli esuli cubani, influente
soprattutto in Florida, il più ‘pesante’ degli Stati in bilico. I fatti,
ricostruiti dal settimanale attraverso documenti e testimonianze, risalgono al
1988: allora alla guida della Trump Hotels and Casino Resorts, il magnate
investì, tramite una società di consulenza, in attività imprenditoriali a Cuba,
salvo voi ‘travestire’ da beneficienza le spese fatte, per farle apparire
legali.
Quell’iniziativa non
condusse a nulla di concreto, ma l’imbarazzo resta. Anche perché Trump, ricorda
Newsweek, allora si dichiarava favorevole all’embargo e oggi promette, se
eletto, di cancellare il disgelo con Cuba portato avanti da Barack Obama, se il
regime dell’Avana non garantirà la libertà religiosa e non libererà i detenuti
politici.
Fra i primi a
chiedergli di fornire chiarimenti su quella che sarebbe una violazione della
legge, l’ex aspirante alla nomination repubblicana e senatore della Florida di
origine cubana Marco Rubio.
-->
Trump l’ha
fatto a modo suo, negando di avere mai fatto affari con Cuba e di essere stato
nell’isola – Newsweek, però, non afferma né l’una cosa né l’altra – e attaccando
l’autore del servizio: "Non sono mai stato a Cuba – dice il magnate -, non
ho mai fatto affari a Cuba, non c'è altro da dire. Se lo avessi fatto, lo direi
apertamente". Trump ha poi messo in dubbio l'integrità dell’autore
dell'articolo, Kurt Eichenwald: "Ha una pessima reputazione come
giornalista". (fonti vv – gp)
venerdì 30 settembre 2016
giovedì 29 settembre 2016
Usa 2016: nude alle urne, Madonna e Katy Perry si mostrano per Hillary
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 29/09/2016
Nude alle urne. Metaforicamente, ma fino a un certo
punto: prima Katy Perry, cantante e cantautrice, poi Madonna, regina del pop,
si sono spogliate sul web per sostenere Hillary Clinton. Su Instagram, la
popstar ha espresso il proprio appoggio alla candidata democratica con un
selfie: chiaramente senza vestiti, con indosso solo gioielli, chiede ai suoi
fan di votare per l’ex first lady.
Le scelte un po’ eccentriche della Perry e di Madonna sono
le ultime testimonianze del sostegno molto ampio di cui Hillary gode nel mondo
della cultura e dello spettacolo.
"Voto nuda con Katy Perry - si legge nel post di
Madonna - Votate per Hillary. E' la migliore che abbiamo". Seguono alcune
bandierine americane e un altro post che sembra l'inizio di una serie,
"Nude Voting series #1" (voto nudo serie numero 1).
Oltre al selfie osé, Madonna ha pure postato una foto
in cui è con l'ex segretario di Stato a un evento del 2015. "Vivo per Hillary
- si legge nel post -. Sì, voto per l'intelligenza. Voto per l'uguaglianza dei
diritti delle donne e di tutte le minoranze. Le donne hanno in mano il mondo e
devono cominciare a sostenersi le une con le altre. Basta femministe misogine.
Basta con la misoginia. Andate a votare".
Anche il mondo della finanza e del ‘paperoni’ d’America
sta più con Hillary che con il suo rivale Donald Trump, che pure è – o dovrebbe
essere – uno di loro. Da George Soros a Ralph Lauren, dalla vedova di Steve
Jobs a Elon Musk, i miliardari americani preferiscono l’ex first lady o,
comunque, puntano su di lei.
Hillary ha ricevuto 21,7 milioni di dollari da 17 donatori presenti nella classifica dei miliardari stilata da Bloomberg. Trump ha ricevuto ‘solo’ 1,2 milioni di dollari da 12 miliardari. Soros è stato il più generoso, devolvendo alla campagna della Clinton 11,9 milioni di dollari. James Simons, cofondatore dell'hedge fund Renaissance Technologies, ha staccato all’ex first lady un assegno da 7 milioni. Fra i miliardari pro-Trump ci sono l’investitore Carl Icahn e il fondatore di Interactive Brokers Group Thomas Peterffy. (fonti vv - gp)
Hillary ha ricevuto 21,7 milioni di dollari da 17 donatori presenti nella classifica dei miliardari stilata da Bloomberg. Trump ha ricevuto ‘solo’ 1,2 milioni di dollari da 12 miliardari. Soros è stato il più generoso, devolvendo alla campagna della Clinton 11,9 milioni di dollari. James Simons, cofondatore dell'hedge fund Renaissance Technologies, ha staccato all’ex first lady un assegno da 7 milioni. Fra i miliardari pro-Trump ci sono l’investitore Carl Icahn e il fondatore di Interactive Brokers Group Thomas Peterffy. (fonti vv - gp)
Usa 2016: dibattito 1, Hillary vs Donald, la secchiona batte l'istrione
Pubblicati da AffarInternazionali.it il 29/09/2016 e da Media Duemila onlinea il 30/09/2016
http://www.affarinternazionali.it/articolo.asp?ID=3630
http://www.media2000.it/usa-2016/
Il Nostro Tempo: articolo su Usa 2016 dello 06/10
http://www.media2000.it/usa-2016/
Il Nostro Tempo: articolo su Usa 2016 dello 06/10
Usa 2016: dibattito 1, Hillary fa un balzo, Trump non arresta emorragia
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 29/09/2016
Il primo dibattito in diretta televisiva tra i
candidati alla Casa Bianca democratico e repubblicano fa fare un balzo a Hillary
Clinton, che, secondo il sondaggio Politico / Morning Consult, è ora avanti di
tre punti su Donald Trump (41% a 38%), mentre prima del faccia a faccia in tv
era sotto di uno. Gary Johnson, il libertario, è all’8%, Jill Stein, la verde,
al 4%.
Il 49% degli intervistati assegna la vittoria nel
dibattito a Hillary, solo il 26% a Donald. L’audience, inizialmente stimata
intorno ai cento milioni di telespettatori, è stata calcolata in 84 milioni: battuto,
comunque, il record dei faccia a faccia che risaliva al 1980 (Ronald Reagan e
Jimmy Carter).
Un altro indice che la Clinton nel confronto è stata
migliore di Trump è l’impennata sui mercati del peso messicano: il magnate ha
infatti affermato che, se sarà eletto, rinegozierà il Nafta, l’accordo di
libero scambio degli Usa con Messico e Canada, alzerà il muro lungo la
frontiera tra Usa e Messico e espellerà gli immigrati senza documenti in regola,
stimati a 11 milioni e in larga parte messicani. Per l’economia messicana, è un
sollievo che la vittoria dello showman appaia meno probabile.
Non s’arresta, intanto, l’emorragia di repubblicani
moderati che nn solo non appoggiano Trump, ma fanno sapere che voteranno Hillary:
l’ultimo di cui si ha notizia è John Warner, uno dei mariti di Elizabeth
Taylor, che è stato senatore della Virginia per trent’anni e presidente della
commissione per i Servizi Armati. Fra quanti si sono sfilati negli ultimi
giorni, ci sono pure un diplomatico d’alto profilo, John Negroponte, e l’ex
consigliere per la sicurezza nazionale Brent Scowcroft.
La
salute di Hillary non convince – Sul fronte della
salute, invece, Hillary Clinton non convince gli americani: secondo un
rilevamento Ap / GfK, la gente dà più credito alle illazioni di Trump che ai
certificati medici prodotti dall’ex first lady. Così, solo il 36% degli
intervistati ritiene la salute dell’ex first lady adeguata all’onere della presidenza,
mentre il 51% lo pensa per il magnate.
I dubbi su Hillary sono maggiori fra gli uomini. L’incertezza
è alimentata dalle voci che, secondo alcuni media americani, nessuno dei due
candidati avrebbe reso pubbliche le proprie cartelle cliniche complete, ma solo
sintesi fatte dai medici personali. Qualche informazione delicata potrebbe,
quindi, essere stata omessa. (fonti vv –
gp)
mercoledì 28 settembre 2016
Usa 2016: dibattito 1, Trump non darà quartiere nella rivincita
Scritto per www.GpNewsUsa2016 e Formiche.net il 28/09/2016, riprendendo elementi dell'articolo per Il Fatto Quotidiano del 28/09/2016
Sono stati cento milioni la prima volta, potrebbero essere persino di più
la prossima, l’8 ottobre, se Donald Trump manterrà il proposito di non dare più
quartiere: “Colpirò più duro”, annuncia alla Fox, già pentito di non avere
toccato, nel primo dibattito in diretta televisiva con Hillary Clinton,
questioni spinose per l’ex first lady, come le infedeltà del marito, ed ex
presidente, Bill. “Mi sono trattenuto perché c’era Chelsea in sala”, spiega,
come se la figlia dei Clinton, già madre due volte, fosse una fragile
adolescente.
Frustrato dall’esito del dibattito svoltosi alla Hofstra University, nello
Stato di New York, Trump, che a giudizio dei telespettatori ha nettamente perso
il confronto, si auto-elogia per l’auto-controllo – “Sono stato capace di
trattenere le indiscrezioni” -, ma lascia intendere che non si censurerà più al
secondo round, il 9 ottobre.
L’imbarbarimento è garantito e l’audience pure. Ma non è detto che il
risultato cambi. Anche perché la Clinton, che non nasconde la soddisfazione per
com’è andata, avverte: “Io non mollo … Il punto è la tempra, l’adeguatezza, la
preparazione a ricoprire il ruolo più importante al Mondo”.
Il presidente Obama, che ha seguito il dibattito nella Treaty Room della
Casa Bianca, le dà una mano: “Trump non può fare il presidente, non è preparato”,
ribadisce, appena spenta la tv; ''Non ha il carattere né i valori dell'inclusione
e delle opportunità per tutti che proiettano in avanti il nostro Paese''. Obama,
che giudica il dibattito ''energico'', poi tweetta: "Non potrei essere più
orgoglioso di Hillary. La sua visione e la sua padronanza durante il dibattito
mostrano che è pronta per essere il nostro prossimo presidente".
Come Trump, Hillary, che viene ringraziata da Alicia Machado, la ‘Miss
Piggy’ citata come testimonial di come Trump tratta – male - le donne, si
lascia storie aperte: quella della dichiarazione dei redditi che il magnate non
rende pubblica può trasformarsi in un tormentone. E la democratica può anche
giocare in contropiede, sfruttando gli errori e le falsità di cui il
repubblicano dissemina i suoi interventi: ben 13 gliene hanno contate le
agenzie che fanno ‘verifica dei fatti’ – negli Usa una cosa seria -.
Lo showman più presente sui social - Il magnate è oggetto
di più tweet (62% a 38%) e di più post su Facebook (79% a 21%), ma spesso sono
commenti critici. Mai un dibattito presidenziale è stato tanto ‘social’: su
Twitter il il duello di lunedì sera tra la Clinton e Trump è stato il faccia a
faccia più ‘cinguettato’ di sempre; su Facebook le interazioni sono state quasi
74 milioni fra "mi piace", post, commenti e condivisioni – 18,6
milioni gli americani coinvolti, mentre i video Live hanno avuto 55 milioni di
visualizzazioni -.
Nello scambio di battute, spicca un tweet dell'ex senatore democratico del
Vermont, ed ex candidato alla nomination Howard Dean: "Trump tira sempre su
con il naso. Userà coca?". Il cinguettio alimenta un coro che impazza sul
web con l’hashtag #TrumpSniffle. Il candidato repubblicano ha ripetutamente
tirato su con il naso durante il dibattito e ha poi attribuito il rumore
percepito dal pubblico al microfono difettoso.
Moderatore promosso, ma con strascichi - Donald Trump promuove
Lester Holt, l'anchor di Nbc News, moderatore del primo dibattito presidenziale.
"Credo – dice Trump alla Cnn - che Lester abbia fatto un ottimo lavoro. Lo
dico onestamente e penso che le domande siano state giuste".
Eppure, i sostenitori del magnate sostengono che Holt è stato più morbido
con Hillary e più duro con Donald. Brent Bozell, presidente di un organismo di
controllo sulla stampa di destra, afferma: "Lester Holt ha fallito nel suo
ruolo di moderatore. Punto e basta". (fonti
vv – gp)
martedì 27 settembre 2016
Usa 2016: quando i dibattiti decisero il voto
Scritto per Il Fatto Quotidiano del 27/09/2016
Il primo fu subito decisivo: era il 1960, il 26 settembre, proprio come quest’anno, e si votava l’8 novembre, proprio come quest’anno. Erano le prime elezioni con le Hawaii e l’Alaska, appena divenuti Stati con una stella sulla bandiera; le ultime senza gli abitanti della capitale, Washington.
Il primo dibattito televisivo fra i candidati dei due maggiori partiti nella storia delle presidenziali negli Usa fu visto da 66 milioni di telespettatori su una popolazione di 179 milioni e resta tuttora uno degli spettacoli percentualmente più visti nella storia della tv. John F. Kennedy, più giovane e più telegenico, scelse un abito scuro, che si stagliava sullo sfondo grigio; Richard Nixon, in grigio e con una cravatta chiara, sudatissimo e impacciato, si confondeva con la parete: Kennedy s’impose nel dibattito e vinse le elezioni con un margine di soli 112 mila voti popolari, lo 0,17% del totale. Nixon conquistò più Stati, ma perse – nettamente - il conteggio dei Grandi Elettori.
Da allora, i dibattiti televisivi sono entrati nella ritualità elettorale e sono spesso stati momenti spettacolari e determinanti. “State meglio oggi di quanto non stavate quattro anni or sono?”, chiese al pubblico nel 1980 Ronald Reagan, un attore a suo agio davanti alle telecamere, mandando ko Jimmy Carter che tra la crisi economica e gli ostaggi in Iran non sapeva che pesci pigliare.
Nel 1984, ancora Reagan bruciò sul tempo il suo rivale Walter Mondale, che voleva giocare la carta dell’età avanzata del presidente uscente, 73 anni: all’inizio del confronto, s’impegnò a non sollevare il tema della giovane età, e quindi, dell’inesperienza del suo rivale – rise anche Mondale e perse -.
Nel 1988, George Bush padre vinse invitando i telespettatori a “leggere le sue labbra”: scandì “No new taxes”, no nuove tasse. Un boomerang, quando Bill Clinton, nel 1992, ricordò agli americani quella promessa non mantenuta.
Con il passare degli anni, i candidati si sono fatti più smaliziati, più preparati. E i dibattiti, finiti spesso in pareggio, non hanno più toccato le audience record degli Anni Ottanta: in 80 milioni davanti agli schermi su una popolazione totale di 226 milioni. La media resta però elevata, oltre 50 milioni, e nel 2012 il pubblico s’impennò a 67 milioni: con il Super Bowl, la finale del campionato di football americano, i dibattiti presidenziali sono lo show più visto della televisione negli Usa. E quest’anno la curiosità per Donald Trump e l’incertezza del confronto con Hillary Clinton terranno forse davanti agli schermi un pubblico record.
Hillary Clinton e Donald Trump si presentano praticamente alla pari nei sondaggi al loro primo dibattito, alla Hofstra University, nello Stato di New York: RealClearPolitics, che fa la media dei rilevamenti, dà l’ex first lady al 47,5% e il magnate al 43,4. WP e Abc danno Hillary al 46% e Donald al 44%, la Bloomberg – suo il dato più fresco – li dà entrambi al 46%. Quel che è certo è che, tra polmonite, attacchi terroristici e tensioni razziali, il vantaggio d’agosto della Clinton è evaporato. ... di qui in avanti, pezzo riprende vv post www.GpNewsUsa2016.eu ...
Il primo fu subito decisivo: era il 1960, il 26 settembre, proprio come quest’anno, e si votava l’8 novembre, proprio come quest’anno. Erano le prime elezioni con le Hawaii e l’Alaska, appena divenuti Stati con una stella sulla bandiera; le ultime senza gli abitanti della capitale, Washington.
Il primo dibattito televisivo fra i candidati dei due maggiori partiti nella storia delle presidenziali negli Usa fu visto da 66 milioni di telespettatori su una popolazione di 179 milioni e resta tuttora uno degli spettacoli percentualmente più visti nella storia della tv. John F. Kennedy, più giovane e più telegenico, scelse un abito scuro, che si stagliava sullo sfondo grigio; Richard Nixon, in grigio e con una cravatta chiara, sudatissimo e impacciato, si confondeva con la parete: Kennedy s’impose nel dibattito e vinse le elezioni con un margine di soli 112 mila voti popolari, lo 0,17% del totale. Nixon conquistò più Stati, ma perse – nettamente - il conteggio dei Grandi Elettori.
Da allora, i dibattiti televisivi sono entrati nella ritualità elettorale e sono spesso stati momenti spettacolari e determinanti. “State meglio oggi di quanto non stavate quattro anni or sono?”, chiese al pubblico nel 1980 Ronald Reagan, un attore a suo agio davanti alle telecamere, mandando ko Jimmy Carter che tra la crisi economica e gli ostaggi in Iran non sapeva che pesci pigliare.
Nel 1984, ancora Reagan bruciò sul tempo il suo rivale Walter Mondale, che voleva giocare la carta dell’età avanzata del presidente uscente, 73 anni: all’inizio del confronto, s’impegnò a non sollevare il tema della giovane età, e quindi, dell’inesperienza del suo rivale – rise anche Mondale e perse -.
Nel 1988, George Bush padre vinse invitando i telespettatori a “leggere le sue labbra”: scandì “No new taxes”, no nuove tasse. Un boomerang, quando Bill Clinton, nel 1992, ricordò agli americani quella promessa non mantenuta.
Con il passare degli anni, i candidati si sono fatti più smaliziati, più preparati. E i dibattiti, finiti spesso in pareggio, non hanno più toccato le audience record degli Anni Ottanta: in 80 milioni davanti agli schermi su una popolazione totale di 226 milioni. La media resta però elevata, oltre 50 milioni, e nel 2012 il pubblico s’impennò a 67 milioni: con il Super Bowl, la finale del campionato di football americano, i dibattiti presidenziali sono lo show più visto della televisione negli Usa. E quest’anno la curiosità per Donald Trump e l’incertezza del confronto con Hillary Clinton terranno forse davanti agli schermi un pubblico record.
Hillary Clinton e Donald Trump si presentano praticamente alla pari nei sondaggi al loro primo dibattito, alla Hofstra University, nello Stato di New York: RealClearPolitics, che fa la media dei rilevamenti, dà l’ex first lady al 47,5% e il magnate al 43,4. WP e Abc danno Hillary al 46% e Donald al 44%, la Bloomberg – suo il dato più fresco – li dà entrambi al 46%. Quel che è certo è che, tra polmonite, attacchi terroristici e tensioni razziali, il vantaggio d’agosto della Clinton è evaporato. ... di qui in avanti, pezzo riprende vv post www.GpNewsUsa2016.eu ...
Usa 2016: dibattito 1, Hillary vs Donald, un crescendo di attacchi
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 27/09/2016 e divenuto la base per commento sul blog de Il Fatto Quotidiano
E’ stato un dibattito in
crescendo, il primo in diretta televisiva fra Hillary Clinton e Donald Trump:
partiti senza affondare i colpi, i due candidati alla Casa Bianca hanno finito
con attacchi anche personali. Più presidenziale e controllata la democratica,
più aggressivo e assertivo il repubblicano, hanno parlato ai propri elettori
ciascuno in modo efficace.
Dai primi commenti,
emerge un sostanziale pareggio. Ma i sondaggi diranno fra poche ore se c’è
stato un vincitore per l’opinione pubblica: per la Cnn, che conduce un
rilevamento in tempo reale, Hillary ne esce meglio per il 62% degli
intervistati, quasi i due terzi. Un risultato più netto rispetto alle prime sensazioni di analisti e commentatori. Dopo uno scambio fra i due candidati, la Monmouth University chiede online se il magnate ha la stoffa per fare il presidente: il 61% risponde no, il 35% sì.
E l'editorial board del Washington Post, già schieratosi contro Trump, commenta senza ambiguità: ''Il primo dibattito televisivo ha mostrato ancora volta che c'è un unico candidato adatto alla presidenza'', la Clinton, ''non perfetta ma esperta e sicura''. Il dibattito ''ha raccontato la storia delle presidenziali di quest'anno. Il processo delle primarie repubblicano fallito, con la designazione di un candidato che in modo cinico o per ignoranza vende una visione distorta della realtà, squalificando se stesso praticamente con ogni su affermazione''.
I due rivali si sono presentati sul palco della Hofstra University, a Hempstead, Stato di New York, con i colori invertiti: la Clinton, in rosso; Trump in abito scuro, con una cravatta blu elettrico. C’è stata una stretta di mano al centro della scena: più sicuro di sé lui; misurata nei movimenti e un po’ ‘ingessata’ lei.
E l'editorial board del Washington Post, già schieratosi contro Trump, commenta senza ambiguità: ''Il primo dibattito televisivo ha mostrato ancora volta che c'è un unico candidato adatto alla presidenza'', la Clinton, ''non perfetta ma esperta e sicura''. Il dibattito ''ha raccontato la storia delle presidenziali di quest'anno. Il processo delle primarie repubblicano fallito, con la designazione di un candidato che in modo cinico o per ignoranza vende una visione distorta della realtà, squalificando se stesso praticamente con ogni su affermazione''.
I due rivali si sono presentati sul palco della Hofstra University, a Hempstead, Stato di New York, con i colori invertiti: la Clinton, in rosso; Trump in abito scuro, con una cravatta blu elettrico. C’è stata una stretta di mano al centro della scena: più sicuro di sé lui; misurata nei movimenti e un po’ ‘ingessata’ lei.
In prima figlia, le
rispettive famiglie: Bill Clinton, l’ex presidente, ha stretto la mano a
Melania, l’attuale moglie di Trump, in nero, a Ivanka, la figlia, in bianco, e
a tutti gli altri del clan rivale. Quando tutto è finito, il magnate, in modo
del tutto inusuale, scende in sala stampa, a spiegarsi ulteriormente.
Il fondale era dominato
da diverse tonalità di blu scuro. Il moderatore Lester Holt, Nbc, un nero,
repubblicano – ma non s’è visto -, ha innescato la discussione partendo
dall’economia e passando poi alla sicurezza e alla politica estera. C’è pure
uno spazio lasciato a polemiche specifiche, come sull’atto di nascita del
presidente Obama o sui trascorsi e la ricchezza del Trump imprenditore.
Diversi su tutto, i due
candidati hanno avuto scambi man mano più vivaci. Trump dice che Hillary “non
ha la tempra” per essere presidente; lei replica che lui “insulta le donne” e
le minoranze. Hillary ricorda quello che lei ha fatto nella sua vita politica,
lui ribatte “Lo hai fatto male”. Trump le rimprovera di non avere pubblicato le
sue mail di quando era segretario di Stato; Hillary suggerisce che lui nasconda
qualche cosa, rifiutandosi di pubblicare la propria dichiarazione dei redditi.
Botta e risposta in questo scambio: ''Donald mi critica per essermi preparata a
questo dibattito. Sapete per cos’altro sono preparata? Sono preparata per
essere presidente''; “Io ho un carattere vincente, tu no”.
E ancora: “Manchiamo
di leadership, colpa di gente come la Clinton” – Trump -; “Donald ha storie di
pregiudizi razziali” – Hillary -. Lui la mette sul nuovo contro il vecchio; lei
sull'esperienza contro l’approssimazione (invita spesso a verificare la
veridicità delle dichiarazioni del rivale).
Trump procede per
affermazioni categoriche, Hillary cerca di richiamarsi ai fatti. Resta da
vedere quanto e come il dibattito avrà cambiato le posizioni fra i due
candidati, arrivati quasi in equilibrio al confronto, anche se un sondaggio
della Nbc, pubblicato immediatamente prima del dibattito, dà la Clinton al 45%
e Trump al 40%, con il libertario Gary Johnson al 10% e la verde Jill Stein al
3%.
Economia – Occupa quasi la metà dell’ora e mezzo abbondante del dibattito, che
sfora i tempi. Ma non riserva sorprese: entrambi promettono di creare posti di
lavoro, lui 25 milioni, lei 10.
Trump critica gli accordi
commerciali fatti dalle Amministrazioni repubblicane e intende recuperare i
posti di lavoro “rubati” da Messico e Cina e tagliare le tasse. La Clinton apre
alla green economy, mentre il rivale crede che “il riscaldamento globale sia
una farsa”, e sostiene che il piano fiscale di Trump innescherà altra
recessione. Lui è catastrofico: “Siamo in una bolla in questo momento,
aspettiamoci il crollo”.
Sicurezza – La Clinton dice: “Bisogna ristabilire la fiducia … Tutti devono
essere rispettati … L’epidemia di armi va fermata… Se una persona è troppo
pericolosa per salire su un aereo deve essere troppo pericolosa per acquistare
armi…“. Trump afferma: “Noi abbiamo bisogno di ‘legge e ordine’”, porta
l’esempio di Chicago, la città del presidente, dove quattromila persone
sarebbero state uccise negli ultimi otto anni, si dice orgoglioso dell’appoggio
della lobby delle armi e sostiene che gli afro-americani sono delusi.
Esteri – Per Trump, il sedicente Stato islamico e la minaccia terroristica sono
responsabilità d’Obama e della Clinton, colpevoli “di avere abbandonato l’Iraq”
e del “disastro” in Medio Oriente, oltre che “dell’accordo con l’Iran, uno dei
peggiori mai conclusi” – “Noi abbiamo fatto un’intesa, lui avrebbe fatto la
guerra”, è la replica -.
La Clinton illustra il
suo piano anti-integralisti, “impedire la radicalizzazione online,
intensificare gli attacchi aerei, mettere i nostri alleati in grado di
estirparli sul terreno”; rimprovera a Trump l’ammirazione per Putin; contesta le
affermazioni del rivale su Iraq, Siria, Libia. Al moderatore, che gli ricorda d’essere
stato favorevole all’invasione dell’Iraq, il magnate replica in modo veemente,
ma confuso.
Radicale la differenza d’atteggiamento
sulla Nato. “Molti alleati non pagano e noi li difendiamo – afferma Trump-,
dovrebbero pagare la loro parte e devono concentrarsi sulla lotta contro terrorismo
… La Nato deve intervenire nel Medio Oriente e sradicare l’Isis…”. La Clinton rassicura i partner: “Rispetteremo
i patti, stiamo lavorando bene”.
Entrambi mettono enfasi sulla minaccia nucleare: “è la più grande, non il cambiamento climatico” – così la vede Trump-; “Non diamo i codici nucleari a chi si lascia provocare da un tweet”, è il punto di vista della Clinton. (gp)
Entrambi mettono enfasi sulla minaccia nucleare: “è la più grande, non il cambiamento climatico” – così la vede Trump-; “Non diamo i codici nucleari a chi si lascia provocare da un tweet”, è il punto di vista della Clinton. (gp)
lunedì 26 settembre 2016
Usa 2016: dopo al-Sisi, anche Netanyahu unisce Hillary & Donald
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 26/09/2016
Separati su quasi tutto, ma uniti dal presidente
egiziano al-Sisi e dal premier israeliano Netanyahu: l’uno e l’altro, li hanno
ricevuti entrambi, di passaggio a New York per l’Assemblea generale delle Nazioni
Unite. Più lungo l’incontro di Netanyahu con Trump, oltre un’ora; più breve
quello con la Clinton, meno d’un’ora – tempi forniti dall’'ufficio del primo
ministro -. E più soddisfacente per Netanyahu quello con il candidato
repubblicano, che gli promette mari e monti, mentre la candidata democratica s’attiene
alle linee della diplomazia statunitense.
Il colloquio con Trump è avvenuto nella residenza del
magnate a New York, alla presenza dell'ambasciatore israeliano Ron Dermer e del
genero ebreo di Trump, Jared Kushner.
Al termine dell'incontro Netanyahu ha pubblicato un
comunicato molto stringato in cui rileva d’avere discusso con Trump della
sicurezza di Israele e degli sforzi per portare in Medio Oriente pace e
stabilità. ''Netanyahu ha ringraziato Trump per la sua amicizia e per il suo
sostegno verso Israele''.
Nel suo comunicato, Trump afferma: "Gerusalemme è
stata la capitale eterna del popolo ebraico per oltre 3000 anni''. Di
conseguenza una Amministrazione Trump ''riconoscerebbe Gerusalemme come
capitale indivisibile dello Stato d'Israele''. E il magnate assicura che, una
volta eletto, ''fra Israele e Usa si avvierà una straordinaria cooperazione
strategica, tecnologica, militare e di intelligence''.
''Israele è un partner vitale per gli Stati
Uniti nella lotta contro il terrorismo dell'Islam radicale”, prosegue il
comunicato. Nell'incontro privato sono state affrontate anche le questioni dell'accordo
sul nucleare iraniano - cui Israele si oppone - e la lotta al sedicente Stato
islamico.
Dopo l’incontro con la Clinton, a porte chiuse come l’altro, una nota diffusa dalla candidata rileva che "un Israele forte e sicuro è vitale per gli Stati Uniti" e riafferma "il costante impegno" dell’ex segretario di Stato nelle relazioni tra Stati Uniti e Israele. La Clinton "ha anche sottolineato l’appoggio dato all'accordo raggiunto a inizio settembre per nuovi aiuti militari ed il suo impegno per contrastare gli sforzi volti a boicottare Israele”. (fonti vv – gp)
Dopo l’incontro con la Clinton, a porte chiuse come l’altro, una nota diffusa dalla candidata rileva che "un Israele forte e sicuro è vitale per gli Stati Uniti" e riafferma "il costante impegno" dell’ex segretario di Stato nelle relazioni tra Stati Uniti e Israele. La Clinton "ha anche sottolineato l’appoggio dato all'accordo raggiunto a inizio settembre per nuovi aiuti militari ed il suo impegno per contrastare gli sforzi volti a boicottare Israele”. (fonti vv – gp)
Usa 2016: l'ora dei dibattiti, candidati alla pari, media si schierano
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 26/09/2016
Hillary Clinton e Donald Trump si presentano
praticamente alla pari nei sondaggi al loro primo dibattito televisivo, alla
Hofstra University, nello Stato di New York: secondo un rilevamento Washington
Post / Abc, la candidata democratica ha il 46% delle intenzioni di voto, il
repubblicano il 44%, mentre il candidato libertario Gary Johnson è al 5% e la
verde Jill Stein all’1% - entrambi ben lontani dalla soglia del 15% necessaria
per essere ammessi ai dibattiti presidenziali, da cui, infatti, sono stati
esclusi -.
I due rivali dei maggiori partiti hanno dedicato molto
tempo, negli ultimi giorni, a preparare il loro primo faccia a faccia, in
programma alle 21.00 ora locale – le 03.00 del mattino di domani in Italia.
Alla Hofstra, che ospita l’evento per la terza volta consecutiva, il moderatore sarà Lester Holt, Nbc,
afro-americano.
Il 4 ottobre il confronto
fra i vice sarà gestito da Elaine Quijan della Cbsn. Il 9 ottobre, la formula
dell’incontro con i cittadini che pongono domande sarà condotto dalla coppia
Anderson Cooper (Cnn) e Martha Raddatz (Abc), Infine, l’ultimo dibattito il 19
ottobre sarà affidato a Chris Wallace della Fox. Riserva è Steve Scully della
C-Span.
Hillary, un allenamento metodico e psicologico - Secondo le ricostruzioni
di come i due si sono ‘allenati’ fatte dalla stampa Usa, Hillary ha consultato
ex collaboratori e ghostwriter del magnate: l’ex first lady punta a dimostrare
di essere adeguata alla presidenza, mentre Trump non lo è.
I consiglieri della Clinton hanno fatto un’analisi ‘forense’
delle prestazioni di Trump nei dibattiti con gli altri aspiranti alla
nomination repubblicana, catalogandone le reazioni. Psicologi hanno invece
creato un profilo della personalità del magnate, valutando le risposte agli
attacchi e come potrebbe interagire con una donna sua unica antagonista sul
palco.
Hillary che s’è così preparata a subire provocazioni e
a contrattaccare: intende evitare di seppellire il rivale, ma anche il
pubblico, sotto una valanga di dettagli e vuole piuttosto cercare di indurlo
all’errore, per colpirlo a quel punto.
Secondo il New York Times, se Trump aprisse il
capitolo dell’emailgate, cioè la polemica sull’uso da parte della Clinton del
server privato di posta elettronica quando era segretario di Stato, Hillary
contrattaccherà sulla mancata diffusione da parte del magnate delle dichiarazioni
dei redditi.
Trump
si fida dell’istinto e del golf - Trump, dal canto suo,
ha suscitato qualche preoccupazione nel suo staff, apparendo insofferente a
prepararsi troppo: “Può essere pericoloso – è la sua tesi che suona scusa -,
puoi sembrare falso, come se stessi provando a essere qualcuno che non sei”.
Il candidato repubblicano confida nelle sue doti di
istrione televisivo – in questo, Hillary gli è senz’altro inferiore – e vuole
apparire come un outsider alla politica che dice la verità. E sarebbe pure
deciso ad attaccare la Clinton sulla condotta etica.
Il magnate ha privilegiato scambi d’idee (e di
facezie) coi suoi più stretti collaboratori, su un campo di golf, invece di esercitarsi
nelle risposte in due minuti di tempo, quelli a disposizione nel dibattito.
Il suo ‘inner circle’, fra cui l’ex sindaco di New York Rudolph Giuliani, la conduttrice
di talk show radiofonici Laura Ingraham e Roger Ailes, ex presidente della Fox
News, allontanato dal suo posto dopo accuse di molestie sessuali, gli
suggeriscono di cercare di trasmettere un'immagine d’ottimismo e nel contempo d’energia.
Una polemica sulla presenza, o meno, al dibattito di
Gennifer Flowers, ex fiamma di Bill Clinton, quando era governatore dell’Arkansas,
ha agitato il fine settimana, finché la campagna di Trump ha precisato: "Non
l'abbiamo invitata formalmente e non ci attendiamo che sia presente". Il
magnate "non intende" sollevare il tema delle infedeltà di Bill nel
dibattito, ma “ha tutti i diritti” di difendersi da eventuali attacchi.
In realtà, in un tweet, Trump aveva scritto: ''Se lo
stupido Mark Cuban siederà in prima fila, allora forse potrei invitare Gennifer
Flowers!''. La minaccia, forse scherzosa, seguiva la proposta, forse
altrettanto scherzosa, di Hillary di invitare Cuban, un critico di Trump, alla
Hofstra University. La Flowers, che vive ancora della luce riflessa di quella
avventura, non se l’era fatto dire due volte e aveva accettato l’invito del
magnate prima ancora di riceverlo.
Endorsement
a sorpresa e liti (di Donald) con le giornaliste
- Alla vigilia del dibattito, Trump non ha migliorato i suoi rapporti
conflittuali con i media americani, i più autorevoli dei quali dichiarano il loro
appoggio a Hillary Clinton. Salvo scelte a sorpresa: il Richmond
Times-Dispatch, il maggiore quotidiano della Virginia, non s’è schierato né per
Hillary né per Donald, ma ha scelto il libertario Johnson.
Sta con la Clinton persino il repubblicanissimo Dallas
Morning News, quotidiano del Texas, che interrompe una tradizione cominciata prima
della Seconda Guerra Mondiale. L’editorial board ricorda che per quasi 20
elezioni consecutive il giornale s’è schierato con il candidato repubblicano che
meglio ne incarnava i valori.
Questa volta, però, la scelta ricade su Hillary proprio
per una questione di 'valori': quelli di Trump – secondo il Dallas Morning News
- sono "ostili al conservatorismo". E, inoltre, il magnate
"gioca sulla paura, sfruttando istinti di base come xenofobia, razzismo, misoginia,
per tirare fuori il peggio di ciascuno di noi, invece del meglio. I suoi
cambiamenti di posizioni su questioni fondamentali rivelano un’assenza di
preparazione sorprendente. Gli insulti estemporanei e i tweet di mezzanotte
mostrano una pericolosa mancanza di capacità di giudizio e di auto-controllo".
Trump continua, imperterrito, a litigare con le
giornaliste, come fa dall’inizio della campagna, fin dal primo dibattito fra
aspiranti alla nomination repubblicani, quando si scontrò con la moderatrice
della Fox Megyn Kelly.
Fra i suoi ultimi bersagli, la conduttrice del
programma della Msnbc Mika Brzezinski, di cui dice “è matta”. Eppure, la
trasmissione era fra le sue preferite, fin quando i toni critici dei due
conduttori, Joe Scarborough e appunto la Brzezinski, non l’hanno irritato. Di
Mika, aggiunge che è “nevrotica”, rilanciando l’illazione, che non c’entra
nulla, d’una relazione con il collega.
Trump ha pure insultato una icona del giornalismo femminile negli Stati Uniti, il premio Pulitzer Maureen Dowd, columnist del New York Times: una “idiota nevrotica”, e una “pazza” – concetti che ritornano -, che parla di lui senza conoscerlo. (fonti vv – gp)
Trump ha pure insultato una icona del giornalismo femminile negli Stati Uniti, il premio Pulitzer Maureen Dowd, columnist del New York Times: una “idiota nevrotica”, e una “pazza” – concetti che ritornano -, che parla di lui senza conoscerlo. (fonti vv – gp)
domenica 25 settembre 2016
Usa: tensioni razziali, le bandierine vermiglie d'un'America 'sbroccata'
Scritto per Il Fatto Quotidiano del 25/09/2016
E uno di quei momenti, non rarissimi, che l’America
sembra ‘sbroccare’ e la mappa dell’Unione si riempie di bandierine vermiglie:
gli attacchi d’un terrorismo integralista fatto-in-casa e fai-da-te tra New
York e il New Jersey e nel Minnesota; i neri uccisi da poliziotti bianchi in
Oklahoma e North Carolina; i neri che manifestano contro i poliziotti a
Charlotte, ad Atlanta e un po’ ovunque; e, infine, la classica sparatoria del
tizio che dà fuori e fa una strage al Mall, nello Stato di Washington.
La pubblicazione del video dell’uccisione, martedì, a Charlotte,
di Keith Scott, acuisce la rabbia della comunità nera e la costernazione di
tutta una Nazione. Ormai, il primo pensiero d’una donna di colore, quando il
suo uomo viene fermato dalla polizia, è di filmare la scena con il videofonino,
nella speranza che ciò abbia un effetto dissuasivo. A Charlotte, come già nel
Minnesota a luglio, non ha funzionato: il poliziotto ha sparato lo stesso,
l’uomo è morto, il video resta come denuncia.
In giorni come questi, viene da chiedersi che cosa
abbia fatto per gli afro-americani Barack Obama in otto anni alla Casa Bianca,
a parte l’esserci arrivato, che resterà, comunque, un risultato storico
(celebrato nel museo della storia afro-americana, inaugurato proprio ieri a
Washington).
Certo, alcuni dei risultati conseguiti
dall'Amministrazione democratica, in primo luogo la riforma della sanità, vanno
soprattutto a beneficio dei neri, che sono mediamente più poveri e hanno meno
possibilità di farsi un’assicurazione in proprio. E le campagne di Michelle, la
first lady, a favore dell’igiene alimentare e della forma fisica, pur valide
per tutta la popolazione, avevano nei neri, mediamente più obesi e meno attenti
a che cosa mangiano, un obiettivo prioritario.
Invece, la crociata contro le armi, o almeno per
ridurre il numero di quelle in circolazione, riguarda i neri più come
possessori di pistole – ne hanno troppe anche loro – che come vittime: la
polizia sarebbe sempre e comunque armata negli Stati Uniti. E, in ogni caso, la
crociata non è andata lontano, anzi non è neppure partita.
Se i neri d’America, dopo che uno di loro era divenuto
presidente, si aspettavano di non essere più trattati da neri, non è stato
così. Al cinema, forse. Nella realtà, no. Anzi, negli ultimi quattro anni sono
stati senz’altro più ‘ammazzati da neri’ da poliziotti in genere bianchi di
quanto non avvenisse prima. In parte, dicono le statistiche, è un fenomeno più
mediatico che reale, come i femminicidi e le violenze sulle donne da noi: ci
sono sempre stati, ma a un certo punto cominciano a fare notizia, mentre prima
facevano meno rumore e restavano nascosti nelle pieghe delle cronache.
Fin da subito, Obama ha cercato di non essere un nero
presidente, ma di essere un presidente nero: forse, più nero che presidente, lo
è stato una sola volta, quando si commosse per Trayvon Martin, ragazzo di 17
anni ucciso in Florida da un vigilante ispanico nel febbraio 2012: “Poteva
essere mio figlio”, disse. Pianse anche per i bimbi della scuola di Newtown
uccisi da un ventenne malato, e ugualmente iper-armato, ma quello non fu un
pianto etnico.
Quando, nel suo secondo mandato, Obama ha esplorato
nuove frontiere per i diritti civili, lo ha fatto con buoni risultati per gay e
lesbiche. Ma il suo sforzo di essere ‘solo’ un presidente nero non ha evitato
rigurgiti di razzismo crescente fra quei bianchi che dopo avere perso le
certezze economiche con la crisi del 2008 sentono di non avere più il Paese in
pugno – e provano a riprenderselo votando Donald Trump-.
La scorsa notte è stata la quarta insonne a Charlotte:
è scattato il coprifuoco per evitare incidenti, dopo che era morto pure Justin
Carr, ferito mercoledì durante le proteste da un colpo non esploso dalla
polizia. La madre Vivian ha voluto che gli organi del figlio fossero donati:
“Justin era una persona pacifica, diverse persone hanno ricevuto il suo cuore,
i suoi polmoni, il suo fegato”. Trump e Hillary Clinton hanno rinviato le visite
a Charlotte, per evitare di acuire le tensioni o, semplicemente, non aggravare
il lavoro delle forze dell’ordine.
Intanto, nello Stato di Washington prosegue la caccia
all’uomo, un ispanico, che venerdì sera ha ucciso cinque persone al Cascade
Mall, un popolare centro commerciale, di Burlington, vicino a Seattle. Il
fuggitivo avrebbe anche contattato gli agenti al telefono, minacciandoli. Ieri
mattina, invece, diverse persone sono state aggredite e ferite a Pasadena, in
California, da un uomo armato d’un coltello. I due episodi non appaiono di
natura terroristica.
Usa 2016: dopo LAT, NYT vota Hillary; nessun ad grande azienda pro Trump
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 25/09/2016
C’erano pochi dubbi che i maggiori quotidiani
statunitensi fossero schierati con Hillary Clinton e, soprattutto, contro
Donald Trump in queste elezioni. Washington Post, New York Times e Los Angeles
Times non hanno mai fatto mistero della loro insofferenza per il candidato
repubblicano, che li ha ricambiati con giudizi sprezzanti.
Adesso, è tempo di endorsement formali, come è nella
tradizione di trasparenza dei media Usa, che, con i loro lettori, non fingono
imparzialità, ma dichiarano con chi stanno. Dopo il LAT, il NYT, sotto il
titolo “Hillary Clinton presidente", si schiera con la candidata
democratica, dopo averla già appoggiata nelle primarie (fra i repubblicani,
sosteneva il governatore dell’Ohio John Kasich ).
"L'obiettivo è quello di persuadere coloro che
esitano a votare per la Clinton o perché sono riluttanti a votare per un
democratico, o per un altro Clinton, o per un candidato che in superficie non
offre un cambiamento" afferma il board editoriale del New York Times, che
definisce Trump il "peggiore candidato mai presentato da un partito nella
storia moderna".
"Passando attraverso la guerra e la recessione,
gli americani nati dall'11 Settembre sono stati costretti a crescere
rapidamente e meritano un presidente adulto, maturo. L'impegno che dura da una
vita di Hillary Clinton a risolvere i problemi del mondo reale la qualifica a
essere presidente".
"Il nostro appoggio affonda le sue radici nel
rispetto per la sua intelligenza, esperienza e coraggio" afferma il New
York Times, sottolineando che "in un normale anno elettorale, avremmo
confrontato i due candidati sui singoli temi. Ma questo non è un normale anno
elettorale. Un confronto sarebbe un esercizio vuoto in una corsa in cui un
candidato, Hillary Clinton, ha una storia al servizio del Paese e idee
pragmatiche e l'altro, Donald Trump, non dice nulla di concreto su se stesso o
sui suoi piani promettendo però la luna".
"La campagna 2016 ha portato in superficie la
disperazione e la rabbia dei poveri e della classe media americana, che ritiene
che il governo abbia fatto poco per allentare il peso della recessione, del
cambiamento tecnologico, della concorrenza straniera e della guerra. Nei suoi
40 anni di vita pubblica, Hillary Clinton ha studiato queste forze e valutato risposte
a questi problemi" nota il NYT. "Gli occasionali passi falsi di
Clinton, insieme agli attacchi sulla sua credibilità, hanno distorto la
percezione che si ha di lei. E' uno dei politici più tenaci della sua
generazione".
Dalla
Corporate America non un dollaro a Trump – Neanche uno degli amministratori
delegati delle cento maggiori società americane ha contribuito alla campagna di
Donald Trump: pubblicati dal Wall Street Journal e aggiornati a fine agosto, i
dati mostrano una netta inversione di tendenza rispetto al 202, quando un terzo
degli ad delle società di Fortune 100 avevano aiutato Mitt Romney, l’allora
candidato repubblicano.
Il WSJ riferisce che, durante le primarie, 19 amministratori delegati hanno fatto donazioni ad altri candidati repubblicani. 89 ad su 100 non apprezzano nessuno dei due candidati, mentre 11 stanno con Hillary Clinton. (fonti vv – gp)
Il WSJ riferisce che, durante le primarie, 19 amministratori delegati hanno fatto donazioni ad altri candidati repubblicani. 89 ad su 100 non apprezzano nessuno dei due candidati, mentre 11 stanno con Hillary Clinton. (fonti vv – gp)
sabato 24 settembre 2016
Egitto/Libia/Italia: nell'intreccio tra affari e interessi, i principi si perdono
Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/09/2016
Il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz
socialdemocratico e tedesco, uno che, quando faceva campagna elettorale, i
diritti umani li metteva sempre al primo posto, sostiene che l’Ue,
sull'immigrazione, dovrebbe fare con l’Egitto un accordo come con la Turchia ed
ha la faccia tosta d’affermare che patti del genere sono “possibili” senza
tradire i “nostri principi”.
Quando ci sono di mezzo le nostre paure, in realtà,
deleghiamo altri a calpestare i nostri principi, che si chiamino Erdogan o al-Sisi
non importa. E quando poi le paure s’intrecciano e si sommano agli interessi
economici, non c’è argine che tenga. Lo sta a dimostrare, ma non ce n’era
bisogno, l’intreccio delle vicende tra Italia, Egitto e Libia.
Il regime del generale al-Sisi, giunto al potere
rovesciando il presidente legittimo Mohamed Morsi, ha rapito, torturato e ucciso
Giulio Regeni. Per la palese reticenza a individuare e punire i colpevoli, l’Italia
ha richiamato l’ambasciatore al Cairo e ha congelato o ridotto forme di cooperazione,
senza però compromettere i maggiori interessi economici e commerciali, specie
nel settore energetico.
Con il passare dei mesi – già otto ne sono trascorsi
-, s’avvicina però l’inevitabile normalizzazione, il cui segnale finale sarà il
ritorno al Cairo dell’ambasciatore italiano, nel frattempo avvicendato –
Maurizio Massari è stato inviato presso l’Ue, al suo posto è stato designato
Gian Paolo Cantini -.
Un percorso accelerato dal rapimento, nel sud della
Libia, di due tecnici italiani, Danilo Calonego e Bruno Cacace, e di un loro
collega canadese, la cui ditta lavorava lla manutenzione dell’aeroporto di
Ghat. L’Italia deve ora cercare d’ottenerne al più presto la liberazione e, per
riuscirsi, dialoga con il generale Haftar, l’uomo forte del governo libico
legittimo, che ha sede a Tobruk, ma cui Roma, come tutto l’Occidente, antepone
ormai il governo d’unità nazionale del premier al-Serraj.
Il generale Haftar pare saperla lunga sul rapimento
dei tecnici, che sono stati presi per denaro, ma che potrebbero finire nelle
mani sbagliate, essendo quella zona infestata anche da bande jihadiste. Lui è
il più vicino all’Egitto, fra i personaggi libici.
Ed ecco avvilupparsi e complicarsi la dinamica delle
nostre relazioni con quei Paesi. Le priorità? Liberare e riportare a casa sani
e salvi i tecnici rapiti; e ottenere giustizia per Giulio Regeni; ma, anche,
tenere buoni rapporti con tutti i protagonisti, perché di ciascuno, prima o
poi, possiamo avere bisogno e perché così salvaguardiamo i nostri interessi.
Siamo gente pratica, più che di principi.
In questa dinamica, sembra inserirsi la notizia, data
dall’ambasciatore egiziano a Roma Amr Helmy e lanciata dall’agenzia egiziana
Mena, di “un’intesa con l'Italia per 11 collegamenti aerei tra alcune città
italiane e Sharm El-Sheikh". Obiettivo egiziano: rilanciare il turismo nel
Mar Rosso e nel Sud del Sinai, crollato dopo che un charter russo con 224
persone a bordo fu distrutto da un’esplosione poco dopo il decollo da Sharm
nell’ottobre 2015 – un attentato, che l’Egitto non voleva ammettere -. Il primo
volo decollerà da Milano il 1° ottobre; altre tratte sono previste da Napoli,
Palermo e Pisa.
Il turismo è uno dei settori che più hanno sofferto
per la minaccia terroristica amplificata in Egitto dalla repressione
indiscriminata del regime al-Sisi. Ma gli interessi italiani sono più forti
altrove: l’Eni gestisce Zhor, un enorme giacimento offshore, con riserve
stimate a 850 miliardi di metri cubi di gas. E nel Paese operano circa 130
aziende italiane: Edison con investimenti per due miliardi, Banca Intesa San Paolo,
che nel 2006 ha comprato Bank of Alexandria per 1,6 miliardi di dollari, Italcementi,
Pirelli, Italgen, Danieli Techint, Gruppo Caltagirone, imprese di servizi,
impiantistica, trasporti e logistica e, per il turismo, Alpitour e Valtour.
L’Italia è stata battistrada nel dare credito politico al regime al-Sisi: il primo Paese Ue a riceverlo dopo la presa di potere; e Matteo Renzi è stato il primo leader europeo a visitare l’Egitto di al-Sisi ed a tornarci.
L’Italia è stata battistrada nel dare credito politico al regime al-Sisi: il primo Paese Ue a riceverlo dopo la presa di potere; e Matteo Renzi è stato il primo leader europeo a visitare l’Egitto di al-Sisi ed a tornarci.
In Libia, la presenza è meno articolata e, da cinque
anni in qua, più frenata. Ma l’Eni è il capofila d’un tessuto imprenditoriale
italiano comunque fitto.
Usa 2016: Cruz con Trump, Springsteen (e LAT) con Hillary
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 24/09/2016
Per Usa 2016, è tempo di endorsement, magari tardivi:
l'ex aspirante alla nomination repubblicana Ted Cruz ha creato una certa sorpresa,
annunciando il suo voto a Donald Trump, dopo aver negato al rivale il proprio
appoggio durante la convention del partito a Cleveland. Bruce Springsteen,
invece, si dichiara per Hillary Clinton, che il Los Angeles Times, il più
autorevole quotidiano della West Coast, definisce “una scelta obbligata”
rispetto al suo “catastrofico” avversario.
I
calcoli di Cruz – Ultra-conservatore ed evangelico, Cruz,
di origine cubana, aveva avuto frizioni anche personali con Trump durante le
primarie, quando era stato il più insidioso dei suoi rivali: i due s’erano
scambiati ‘colpi bassi’, coinvolgendo le rispettive famiglie. Sul palco di
Cleveland, il senatore aveva invitato a votare “secondo coscienza”, senza
neppure citare Trump.
Adesso, scrive, sul proprio profilo Facebook: "Dopo
mesi di attente considerazioni, di preghiera ed esame di coscienza, ho deciso
che nell'Election Day voterò per il candidato repubblicano Donald Trump … Ho
preso questa decisione per due motivi. Primo: lo scorso anno ho promesso che
avrei sostenuto il candidato repubblicano. E intendo mantenere la parola.
Secondo: anche se ci sono aree di significativo disaccordo con il nostro
candidato, Hillary Clinton è del tutto inaccettabile".
Per numerosi
osservatori, c’è pure una terza ragione: Cruz intende salvaguardare le proprie
possibilità d’essere nel 2020 il candidato repubblicano alla Casa Bianca, se
Trump dovesse perdere.
Più
contro Trump che per Hillary – La principale molla di
molti endorsement a Hillary Clinton è impedire a Donald Trump di arrivare alla
Casa Bianca. Bruce Springsteen, che in questa campagna s’era finora tenuto in
disparte, lui spesso associato in passato a candidati democratici, dice la sua
parlando a Rolling Stones e a media norvegesi: Trump – dice – costituisce “un
grande imbarazzo” ("Siamo sotto l'assedio di un imbecille"), mentre
"credo che Hillary sarebbe un ottimo presidente". Springsteen va così
ad aggiungersi alla lunga serie di personaggi dello showbiz e della cultura che
sostengono l’ex first lady.
Non sorprende la scelta pro Hillary del Los Angeles Times, una scelta addirittura obbligata – scrive il quotidiano in un editoriale – perché "eleggere Trump potrebbe essere catastrofico per il Paese". Mettendo a confronto l’ex first lady e il magnate, il giornale vede da una parte competenza ed esperienza e dall’altra "un demagogo non qualificato e inadeguato": "Contro un Mitt Romney o un John McCain, Hillary Clinton sarebbe quasi certamente la nostra scelta. Contro Donald Trump, la questione non si pone nemmeno". (fonti vv – gp)
Non sorprende la scelta pro Hillary del Los Angeles Times, una scelta addirittura obbligata – scrive il quotidiano in un editoriale – perché "eleggere Trump potrebbe essere catastrofico per il Paese". Mettendo a confronto l’ex first lady e il magnate, il giornale vede da una parte competenza ed esperienza e dall’altra "un demagogo non qualificato e inadeguato": "Contro un Mitt Romney o un John McCain, Hillary Clinton sarebbe quasi certamente la nostra scelta. Contro Donald Trump, la questione non si pone nemmeno". (fonti vv – gp)
venerdì 23 settembre 2016
Usa: tensioni razziali, il coltello di Trump nelle ferite dell'America
Scritto per Il Fatto Quotidiano del 23/09/2016
Ancora non si sa chi abbia esploso, l’altra notte, i
colpi di arma da fuoco che hanno ridotto in fin di vita un uomo a Charlotte,
durante le proteste per l’uccisione martedì sera d’un nero di 43 anni padre di
sette figli. Ma una cosa è certa: quelle pallottole non venivano dall’arma di
un poliziotto.
L’indicazione dovrebbe contribuire ad allentare la
tensione nella cittadina, dove, negli incidenti che per la seconda notte
consecutiva l’hanno sconvolta, ci sono stati nove feriti – solo uno grave - e
44 arresti. Il governatore della North Carolina Pat McCrory ha proclamato lo
stato d’emergenza, ma il coprifuoco, che era stato ventilato, non è stato
adottato.
Il sussulto di tensioni razziali ha di nuovo cambiato
il fondale della campagna per la Casa Bianca tra Hillary Clinton e Donald
Trump. Con un colpo di scena dei suoi, il candidato repubblicano indulge, ora,
alla rabbia dei neri: è “molto turbato” da quanto accaduto a Tulsa, in
Oklahoma, più che a Charlotte, e parla di una “crisi nazionale”, di cui sono
ovviamente responsabili il presidente Obama e la candidata democratica.
Hillary non lo rincorre. Mentre Obama telefona ai
sindaci di Tulsa e di Charlotte, testimonia loro cordoglio per le vittime e
vicinanza alle famiglie, s’informa sulla situazione e su quanto può fare e
invia la Guardia Nazionale, l’ex first lady reagisce con sdegno, ma senza
accenti teatrali: “E’ insopportabile e deve diventare intollerabile… Quante
altre volte dovremo vederlo accadere…”.
A giudicare dall’ultimo sondaggio Wall Street Journal
/ Nbc, l’opinione pubblica americana è meno volatile di quanto i media avevano
immaginato, nonostante la polmonite di Hillary, l’insidia del terrorismo, le
tensioni razziali, ed è meno sensibile ai richiami di Trump alla paura e alla
forza. A quattro giorni da lunedì sera, quando i due candidati si troveranno
per la prima volta faccia a faccia sul palco di un dibattito televisivo,
Hillary è avanti di sei punti: 43 a 37%. Dietro, il libertario Gay Johnson al
9% - voti in linea di massima sottratti a Trump - e la verde Jill Stein al 3% -
voti invece sottratti a Hillary -. In attesa di verifiche, la rimonta del
magnate non pare esserci stata o, almeno, essersi concretizzata.
Per una delle distorsioni incomprensibili delle
reazioni umane, la rabbia nera non scuote Tulsa, dove pure l’assassinio di
Terence Crutcher intacca la scorza ‘law & order’ di Trump (che, dopo avere
visto il video, si chiede che cosa sia saltato in mente agli agenti per agire
così), ma segna Charlotte, dove il video dell’uccisione di Keith Scott Lamont
non chiarisce se la vittima abbia davvero puntato una pistola contro i
poliziotti, prima di essere abbattuto: le immagini non sono state rese
pubbliche, ma i familiari potranno vederle.
La protesta s’allarga ad altre città: a New York, centinaia
di persone sfilano sulla 5° Strada e Broadway. Un nero muore dopo una colluttazione con agenti a Baltimora.
Trump ne ricava l’immagine di un "Paese ferito” e prospetta una "agenda nazionale contro il crimine" per rendere l'America di nuovo sicura – una formula, non un piano -. Sul palco di Pittsburgh in Pennsylvania, il magnate lancia un appello all'unità e conia l’ennesima variante del suo slogan ‘Make America Great Again’: "Fare l'America di nuovo una". Il tutto accusando Obama e i democratici: "Il nostro Paese ne esce male agli occhi del mondo mentre dovremmo esserne leader. Ma come possiamo guidare, se non riusciamo a controllare le nostre citta?".
A Charlotte, la notte potrebbe rilanciare le violenze: per stemperarle, la polizia cerca l’uomo che ha sparato l’altra sera, innescando momenti di estrema tensione. I manifestanti volevano forzare il cordone di poliziotti in tenuta anti-sommossa per entrare nella lobby dell'hotel dove il ferito veniva soccorso. Gli agenti hanno lanciato lacrimogeni e granate stordenti; dalla folla, partivano pietre e bottiglie. Facinorosi hanno danneggiato automobili, infranto vetrine, devastato negozi, pure lo store degli Hornets, la squadra di basket di Charlotte che gioca nella Nba.
Trump ne ricava l’immagine di un "Paese ferito” e prospetta una "agenda nazionale contro il crimine" per rendere l'America di nuovo sicura – una formula, non un piano -. Sul palco di Pittsburgh in Pennsylvania, il magnate lancia un appello all'unità e conia l’ennesima variante del suo slogan ‘Make America Great Again’: "Fare l'America di nuovo una". Il tutto accusando Obama e i democratici: "Il nostro Paese ne esce male agli occhi del mondo mentre dovremmo esserne leader. Ma come possiamo guidare, se non riusciamo a controllare le nostre citta?".
A Charlotte, la notte potrebbe rilanciare le violenze: per stemperarle, la polizia cerca l’uomo che ha sparato l’altra sera, innescando momenti di estrema tensione. I manifestanti volevano forzare il cordone di poliziotti in tenuta anti-sommossa per entrare nella lobby dell'hotel dove il ferito veniva soccorso. Gli agenti hanno lanciato lacrimogeni e granate stordenti; dalla folla, partivano pietre e bottiglie. Facinorosi hanno danneggiato automobili, infranto vetrine, devastato negozi, pure lo store degli Hornets, la squadra di basket di Charlotte che gioca nella Nba.
Usa 2016: sondaggi, Hillary resta avanti; diplomatici contro Trump
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 23/09/2016
Sondaggi
sorpresa, a pochi giorni dal primo dibattito televisivo, lunedì sera, tra
Hillary Clinton e Donald Trump: in attesa di verifiche da altri rilevamenti,
Wall Street Journal / Nbc danno Hillary in vantaggio su Trump di sei punti,
nonostante gli eventi delle ultime due settimane siano stati unanimemente letti
dai media Usa come favorevoli al candidato repubblicano.
La polmonite
di Hillary tenuta celata al pubblico fino al malessere a Ground Zero l’11
Settembre, gli attacchi terroristici lo scorso fine settimana tra New York e
New Jersey, le tensioni razziali che sono esplose negli ultimi giorni a
Charlotte in North Carolina: tutto ciò pareva preludere a un balzo in avanti
del magnate..
Invece, il
risultato del sondaggio vede la Clinton in testa con il 43% delle intenzioni di
voto, seguita da Trump con il 37%. Il libertario Gay Johnson è al 9%, la verde
Jill Stein al 3%.
Il
repubblicano continua, però, a insidiare la democratica in Stati chiave, come l’Ohio,
la Florida e la stessa North Carolina, ma anche la Pennsylvania e il Nevada.
Per conquistare la Casa Bianca non ci vuole, infatti, la maggioranza dei voti popolari
espressi l’8 Novembre, ma la maggioranza dei Grandi Elettori che saranno
assegnati dai risultati Stato per Stato.
I Grandi
Elettori sono 538, la maggioranza è 270. Secondo un calcolo della Cnn, Hillary
sarebbe oggi a 272, d’un soffio oltre la soglia, mentre il sito 270towin.com ne
dà 200 sicuri alla Clinton e 163 sicuri a Trump, lasciando in bilico 13 Stati –
una situazione meno favorevole all’ex first lady che a inizio settembre -.
Per
270towin.com, gli Stati aperti sono nel Nord-Est New Hampshire e Pennsylvania,
al Sud Virginia, North Carolina, Georgia e Florida, sui Grandi Laghi e nel
MidWest Michigan, Wisconsin, Ohio e Iowa, all’Ovest Colorado, Arizona e Nevada.
Lì si concentreranno le presenze e gli investimenti dei candidati in termini di
spot televisivi nelle prossime decisive settimane.
Diplomatici in pensione, ‘Trump non è qualificato’ – A ciascuno i suoi campioni. Se, all'inizio
di settembre, 88 generali e militari di alto rango avevano espresso, in una
lettera aperta, sostegno a Donald Trump, specie sul fronte della sicurezza
nazionale, adesso, con analogo strumento, 75 ambasciatori in pensione ed ex
alti funzionari del Dipartimento di Stato giudicano il magnate “completamente
inadeguato” a fare il presidente e il comandante-in-capo e dichiarano che
voteranno Hillary Clinton, pur precisando di non condividerne ogni singola
decisione.
giovedì 22 settembre 2016
Usa 2016: clima, per scienziati Trump un pericolo per Pianeta
Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 22/09/2016
Centinaia di menti fra le più eccelse del Pianeta si coalizzano contro Donald Trump e, pur senza mai citarlo, invitano a non farlo presidente degli Stati Uniti. Con una lettera aperta, 375 scienziati, fra cui il fisico Stephen Hawkins e una trentina di premi Nobel, esprimono la convinzione che l'elezione del magnate sarebbe disastrosa per il Pianeta e vanificherebbe gli sforzi per contrastare i cambiamenti climatici causati dal riscaldamento globale.
Trump, le cui opinioni sono però cangianti, dice che il riscaldamento globale è una bufala cinese e vuole recedere dall’ accordo di Parigi sul clima raggiunto nel dicembre 2015 e che dovrebbe entrare in vigore entro fine anno.
"Una 'Parexit' (cioè un’uscita dall’accordo di Parigi degli Usa, ndr) – scrivono gli scienziati – manderebbe al Mondo il segnale al mondo che gli Stati Uniti non si curano del problema globale del cambiamento climatico causato dall'uomo. Come dire, vedetevela voi". la lettera, invece, chiede che gli Usa abbiano un ruolo da protagonista nello sviluppare soluzioni innovative al problema della riduzione delle emissioni di gas che causano l'effetto serra.
Trump perde un sacco di repubblicani, ma conquista un (vecchio) democratico – E’ lungo l’elenco dei repubblicani moderati e rispettati che hanno preso le distanze da Donald Trump (e periodicamente lo aggiorniamo). Ma oggi c’è un vecchio democratico, per militanza e per età, che fa la scelta opposta: "Sono stato un democratico tutta la vita. Venni a Washington a lavorare per il presidente John Kennedy e per il ministro della Giustizia Robert Kennedy. Quest'anno voterò per eleggere Trump presidente degli Stati Uniti": lo scrive Adam Walinsky, sul magazine di Politico.
"Il partito democratico è diventato il partito della guerra" argomenta Walinsky, sottolineando come, a suo avviso, "la nostra prima risposta a problemi o opposizioni di qualsiasi natura sembra sempre essere un'azione o un movimento militare". Nemmeno la candidata democratica Hillary Clinton persegue la pace; anzi, "ha spinto l'America verso invasioni e tentativi di cambiamenti di regime e ha impedito agli Usa di cercare amicizia o cooperazione con il presidente russo Vladimir Putin".
Un sostegno a Trump con motivazioni pacifiste è forse un inedito. Ma, secondo Walinsky, Trump è l'unico potenziale presidente americano che ha avuto l'intelligenza, la visione, di rendersi conto che l'America non può combattere il mondo intero tutto insieme". Ed è l'unico "a mostrare quanto sia insensato cercare lo scontro con la Russia e con la Cina, nel momento in cui tentiamo di annientare quel movimento jihadista che anche loro attaccano”.
Opinionista della Cnn pagato da Trump - E' ancora a libro paga di Trump e in agosto ha ricevuto 20.000 dollari dalla campagna elettorale del candidato repubblicano, ma Corey Lewandowski - ex manager dello staff di Trump messo alla porta all'inizio dell'estate – fa il commentatore della Cnn.
Il conflitto d’interessi, che imbarazza la rete all news, era già affiorato ed ora riemerge. I portavoce di Trump spiegano che la somma versata ad agosto all’ex manager rimosso va a ricompensarne generici servizi di "consulenza strategica". In luglio, quando già emerse un pagamento da parte della campagna di Trump al neo-commentatore televisivo, la Cnn parlò di una "liquidazione di fine rapporto".
Ma il fatto che i pagamenti continuino fa presumere un ruolo ben più attivo di Lewandowski nell'organizzazione di Trump. Ciò mette la Cnn nella posizione di avere un commentatore che lavora di fatto per una delle parti in campo, da cui dovrebbe invece essere se non equidistante almeno indipendente: un conflitto di interessi inaccettabile per la maggior parte dei media Usa. (fonti vv – gp)
Centinaia di menti fra le più eccelse del Pianeta si coalizzano contro Donald Trump e, pur senza mai citarlo, invitano a non farlo presidente degli Stati Uniti. Con una lettera aperta, 375 scienziati, fra cui il fisico Stephen Hawkins e una trentina di premi Nobel, esprimono la convinzione che l'elezione del magnate sarebbe disastrosa per il Pianeta e vanificherebbe gli sforzi per contrastare i cambiamenti climatici causati dal riscaldamento globale.
Trump, le cui opinioni sono però cangianti, dice che il riscaldamento globale è una bufala cinese e vuole recedere dall’ accordo di Parigi sul clima raggiunto nel dicembre 2015 e che dovrebbe entrare in vigore entro fine anno.
"Una 'Parexit' (cioè un’uscita dall’accordo di Parigi degli Usa, ndr) – scrivono gli scienziati – manderebbe al Mondo il segnale al mondo che gli Stati Uniti non si curano del problema globale del cambiamento climatico causato dall'uomo. Come dire, vedetevela voi". la lettera, invece, chiede che gli Usa abbiano un ruolo da protagonista nello sviluppare soluzioni innovative al problema della riduzione delle emissioni di gas che causano l'effetto serra.
Trump perde un sacco di repubblicani, ma conquista un (vecchio) democratico – E’ lungo l’elenco dei repubblicani moderati e rispettati che hanno preso le distanze da Donald Trump (e periodicamente lo aggiorniamo). Ma oggi c’è un vecchio democratico, per militanza e per età, che fa la scelta opposta: "Sono stato un democratico tutta la vita. Venni a Washington a lavorare per il presidente John Kennedy e per il ministro della Giustizia Robert Kennedy. Quest'anno voterò per eleggere Trump presidente degli Stati Uniti": lo scrive Adam Walinsky, sul magazine di Politico.
"Il partito democratico è diventato il partito della guerra" argomenta Walinsky, sottolineando come, a suo avviso, "la nostra prima risposta a problemi o opposizioni di qualsiasi natura sembra sempre essere un'azione o un movimento militare". Nemmeno la candidata democratica Hillary Clinton persegue la pace; anzi, "ha spinto l'America verso invasioni e tentativi di cambiamenti di regime e ha impedito agli Usa di cercare amicizia o cooperazione con il presidente russo Vladimir Putin".
Un sostegno a Trump con motivazioni pacifiste è forse un inedito. Ma, secondo Walinsky, Trump è l'unico potenziale presidente americano che ha avuto l'intelligenza, la visione, di rendersi conto che l'America non può combattere il mondo intero tutto insieme". Ed è l'unico "a mostrare quanto sia insensato cercare lo scontro con la Russia e con la Cina, nel momento in cui tentiamo di annientare quel movimento jihadista che anche loro attaccano”.
Opinionista della Cnn pagato da Trump - E' ancora a libro paga di Trump e in agosto ha ricevuto 20.000 dollari dalla campagna elettorale del candidato repubblicano, ma Corey Lewandowski - ex manager dello staff di Trump messo alla porta all'inizio dell'estate – fa il commentatore della Cnn.
Il conflitto d’interessi, che imbarazza la rete all news, era già affiorato ed ora riemerge. I portavoce di Trump spiegano che la somma versata ad agosto all’ex manager rimosso va a ricompensarne generici servizi di "consulenza strategica". In luglio, quando già emerse un pagamento da parte della campagna di Trump al neo-commentatore televisivo, la Cnn parlò di una "liquidazione di fine rapporto".
Ma il fatto che i pagamenti continuino fa presumere un ruolo ben più attivo di Lewandowski nell'organizzazione di Trump. Ciò mette la Cnn nella posizione di avere un commentatore che lavora di fatto per una delle parti in campo, da cui dovrebbe invece essere se non equidistante almeno indipendente: un conflitto di interessi inaccettabile per la maggior parte dei media Usa. (fonti vv – gp)
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