Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net il 13/09/2016
Le regole ci sono, ma non sono mai state usate. O,
meglio, sono state usate solo per candidati vice. Da domenica ci s’interroga su
che cosa succederebbe se Hillary Clinton dovesse ‘gettare la spugna’, dopo il
malore dell’11 Settembre a Ground Zero e la diagnosi di polmonite.
Sull’ ANSA, Alessandra Baldini lo spiega così: “Lo
scenario porterebbe la corsa alla Casa Bianca in acque inesplorate. Cambiare un
candidato a metà corsa tra nomination ed elezioni è clamoroso, ma si può fare:
non è però mai successo a livello di candidature presidenziali”, ma solo di
vice.
Prosegue la Baldini: “Sia il partito democratico che
quello repubblicano hanno regole per riempire il vuoto, anche a ridosso della
data del voto. Il presidente del partito, in questo caso la presidente ‘ad
interim’ Donna Brazile, dovrebbe convocare il Comitato nazionale che
sceglierebbe il candidato a maggioranza semplice. Le stesse procedure si
applicano in caso di morte o ritiro di un presidente eletto dopo l’elezione
generale ma prima della riunione del Collegio Elettorale: nel senso che il
partito è l’arbitro assoluto per rimediare alla vacanza”.
In questo caso, però, osserva la AdnKronos, arbitri
resterebbero i 538 Grandi Elettori, che si riuniscono nelle capitali dei
singoli Stati il lunedì dopo il secondo mercoledì di dicembre (quest’anno il 19
dicembre): la legge federale stabilisce che possono votare per chiunque
desiderino.
Invece, se un candidato alla presidenza dovesse
vincere le elezioni, ma rinunciare alla carica prima dell’Inauguration Day del
20 gennaio, ma dopo la riunione del Collegio Elettorale, la questione è risolta
in base al XX Emendamento alla Costituzione: in tal caso, a diventare
presidente sarebbe, infatti, il vice presidente eletto.
“Se non è mai successo al primo posto del ticket
presidenziale – torniamo al racconto della Baldini -, precedenti esistono per candidati
alla vicepresidenza. Nel 1912, il numero due repubblicano James Sherman morì sei
giorni prima delle elezioni, ma in quel caso la riunione del partito fu
cancellata perché il democratico Woodrow Wilson vinse le elezioni. Sessant'anni
dopo fu la volta del vice del candidato democratico George McGovern: Thomas
Eagleton fu costretto ad abbandonare la gara 18 giorni appena dopo la
nomination quando si scoprì che era stato in cura per depressione. Per
tradizione spetta al numero uno del ticket scegliere il suo vice e fu così che
McGovern scelse il capo dei Peace Corps Sargent Shriver. Per mettersi in regola
fu convocato il Comitato nazionale democratico che confermò Shriver in agosto,
prima delle elezioni generali”.
“Se Hillary si dovesse dimettere tornerebbero gioco
forza in pista nomi magari già fatti, ma poi superati: dal vice-presidente Joe
Biden che meditò a lungo se candidarsi per poi escluderlo dopo la morte del
primogenito Beaux per un tumore al cervello, al segretario di Stato John Kerry
che nel 2012 raccolse il testimone di Hillary dopo le dimissioni dal
Dipartimento di Stato, anche in quel caso per motivi di salute. Mentre
l’attuale numero due Tim Kaine non ha necessariamente precedenza nella scelta
del Comitato, si è parlato di nuovo del senatore Bernie Sanders, che all’ex
First Lady nelle primarie ha dato tanto filo da torcere – e che formalmente non s’è mai ritirato dalla corsa, ndr -, e della
collega al Senato Elizabeth Warren (che Hillary ha snobbato come numero due
nonostante la possibilità di dar vita ad un inedito ticket tutto femminile)”.
Appartengono alla fantapolitica, invece, le voci su Chelsea Clinton e su Michelle Obama, che scende in campo in questi giorni per fare una mano alla candidata democratica, offrendole popolarità, fiducia e carisma in misura tale che Hillary non ha mai avuto. (fonti vv – gp)
Appartengono alla fantapolitica, invece, le voci su Chelsea Clinton e su Michelle Obama, che scende in campo in questi giorni per fare una mano alla candidata democratica, offrendole popolarità, fiducia e carisma in misura tale che Hillary non ha mai avuto. (fonti vv – gp)
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