Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 02/09/2016
In principio,
Wikileaks era il tempio della libertà d’informazione, luogo di culto del
giornalismo d’assalto mondiale. Anche se Julian Assange, il biondino
australiano che ne è il sacerdote, non ci ha mai convinto proprio del tutto, specie
dopo aver accettato a Londra l’asilo diplomatico dell’Ecuador non per sottrarsi
alla giustizia di un Paese liberticida, ma della democratica per antonomasia
Svezia. Che, detto per inciso, ma non troppo, l’accusa non d’una fuga di
notizie, ma di violenza sessuale.
Con il passare
del tempo, i dubbi ed i malesseri, nei confronti di Assange e dei suo
coadiutori Edward Snowden, la talpa dell’Nsagate, e Glenn Greenwald, il
giornalista che l’assiste, sono andati infittendosi: nel mirino delle loro
rivelazioni, c’erano sempre gli Stati Uniti e i loro alleati.
Giusto svelare
le loro magagne. Ma possibile che gli dei della libertà d’informazione non
abbiano altri persecutori, nel Mondo? C’è finita di mezzo pure la campagna
elettorale Usa 2016: la pioggia di mail per creare zizzania nel partito
democratico, i documenti filtrati a Wikileaks da hacker russi, gli ingenui appelli
di Donald Trump a Vladimir Putin perché tiri fuori tutte le mail di Hillary. Ce
n’era a sufficienza per una seria inchiesta giornalistica su Wikileaks, Assange
e i fantasmi che aleggiano loro intorno.
L’ha fatta il
New York Times, ricavandone un atto d'accusa
durissimo nei confronti del biondino (ed esponendosi all'ovvio sospetto di
gelosia professionale). "Che
sia convinzione, convenienza o coincidenza, i documenti pubblicati da
Wikileaks, insieme a molte delle affermazioni di Assange, hanno spesso
avvantaggiato la Russia, a spese dell'Occidente", osserva il quotidiano,
schierato contro Trump e pro Hillary in Usa 2016.
Nell'Amministrazione Obama, prosegue il
giornale, l'idea prevalente è che Assange e Wikileaks non abbiano alcun legame
diretto con i servizi segreti russi. Ma Mosca è comunque consapevole d’avere in
Wikileaks una pubblicazione in qualche modo amica, sulla cui email si possono
inoltrare documenti scomodi per i propri nemici.
Il NYT non dice che Assange è una spia russa,
ma lo dipinge come un strumento nelle mani dell’intelligence del Cremlino: "Assange
offre dell'America la visione di una potenza imperiale che, pur proclamando
fedeltà ai principi dei diritti umani, in realtà disloca a tenaglia i suoi
apparati d’intelligence e militare; e poi punisce chi, come lui, ha il coraggio
di dire la verità". Il biondino, infatti, sostiene che l’accusa della Svezia
nei suoi confronti è un ‘cavallo di Troia’ per poterlo successivamente
estradare negli Stati Uniti, dov’è accusato di tradimento.
In Wikileaks, nota il NYT, “manca sempre il
giudizio sull'altra grande potenza mondiale, la Russia, o il suo presidente Vladimir
Putin: un regime che mette a tacere con la forza il dissenso, spiando,
incarcerando, arrivando a eliminare fisicamente i suoi avversari – compresi i giornalisti ostili, ndr - per
consolidare il proprio controllo".
Cosa risponde Assange? Il New York Times
l'ha sentito: lui rileva che "non c'è alcuna prova evidente" che
Wikileaks prenda il materiale da agenzie di intelligence straniere (materiale
che lui sarebbe ben lieto gli venisse offerto); e aggiunge che sarebbe “un po’
noioso” prendersela con la Russia, che è il bersaglio di tutti ed è meno
protagonista sulla scena internazionale di Usa e Cina.
In soccorso di Assange arriva Greenwald,
l’ex giornalista di The Guardian che ha recentemente rivelato sul suo sito The
Intercept che il califfo al-Baghdadi perfezionò la sua formazione integralista
nelle carcere americane in Iraq, non solo a Camp Bucca – e già si sapeva -, ma
pure nella famigerata Abu Ghraib. Su Twitter, Greenwald, parodiando con ironia le
conclusioni anti – Wikileaks,, scrive: “Secondo fonti, i giornalisti del NYT
non hanno probabilmente alcun legame con il sedicente Stato islamico e con al
Qaida, ma la maggior parte di quanto pubblicano è loro d’aiuto”. E lo stesso
varrebbe per la Russia.
Una conferma dell’asse di fatto Assange –
Putin sarebbe pure l’intrusione di Wikileaks in Usa 2016, con la diffusione di 20
mila mail del Comitato nazionale del Partito democratico, che dimostravano quello
che tutti sapevano, cioè che l’establishment favoriva la Clinton sul suo rivale
Bernie Sanders.
Putin e Trump non celano reciproca
simpatia; e Assange, da sempre molto critico con la Clinton, avrebbe in serbo
informazioni che potrebbero indirizzare le sorti della competizione elettorale
pro Trump e, quindi, pro Putin. Ma il biondino replica accusando Hillary e i
democratici di montare “un’isteria da neo-maccartismo sulla Russia”, mentre Wikileaks
lavora per offrire al pubblico “barlumi sulla macchina corrotta che lo governa”.
Certo, sarebbe meglio accendere la luce in tutti gli angoli e non lasciarne
alcuni bui.
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