Scritto per Il Fatto Quotidiano del 24/09/2016
Il presidente del Parlamento europeo, Martin Schulz
socialdemocratico e tedesco, uno che, quando faceva campagna elettorale, i
diritti umani li metteva sempre al primo posto, sostiene che l’Ue,
sull'immigrazione, dovrebbe fare con l’Egitto un accordo come con la Turchia ed
ha la faccia tosta d’affermare che patti del genere sono “possibili” senza
tradire i “nostri principi”.
Quando ci sono di mezzo le nostre paure, in realtà,
deleghiamo altri a calpestare i nostri principi, che si chiamino Erdogan o al-Sisi
non importa. E quando poi le paure s’intrecciano e si sommano agli interessi
economici, non c’è argine che tenga. Lo sta a dimostrare, ma non ce n’era
bisogno, l’intreccio delle vicende tra Italia, Egitto e Libia.
Il regime del generale al-Sisi, giunto al potere
rovesciando il presidente legittimo Mohamed Morsi, ha rapito, torturato e ucciso
Giulio Regeni. Per la palese reticenza a individuare e punire i colpevoli, l’Italia
ha richiamato l’ambasciatore al Cairo e ha congelato o ridotto forme di cooperazione,
senza però compromettere i maggiori interessi economici e commerciali, specie
nel settore energetico.
Con il passare dei mesi – già otto ne sono trascorsi
-, s’avvicina però l’inevitabile normalizzazione, il cui segnale finale sarà il
ritorno al Cairo dell’ambasciatore italiano, nel frattempo avvicendato –
Maurizio Massari è stato inviato presso l’Ue, al suo posto è stato designato
Gian Paolo Cantini -.
Un percorso accelerato dal rapimento, nel sud della
Libia, di due tecnici italiani, Danilo Calonego e Bruno Cacace, e di un loro
collega canadese, la cui ditta lavorava lla manutenzione dell’aeroporto di
Ghat. L’Italia deve ora cercare d’ottenerne al più presto la liberazione e, per
riuscirsi, dialoga con il generale Haftar, l’uomo forte del governo libico
legittimo, che ha sede a Tobruk, ma cui Roma, come tutto l’Occidente, antepone
ormai il governo d’unità nazionale del premier al-Serraj.
Il generale Haftar pare saperla lunga sul rapimento
dei tecnici, che sono stati presi per denaro, ma che potrebbero finire nelle
mani sbagliate, essendo quella zona infestata anche da bande jihadiste. Lui è
il più vicino all’Egitto, fra i personaggi libici.
Ed ecco avvilupparsi e complicarsi la dinamica delle
nostre relazioni con quei Paesi. Le priorità? Liberare e riportare a casa sani
e salvi i tecnici rapiti; e ottenere giustizia per Giulio Regeni; ma, anche,
tenere buoni rapporti con tutti i protagonisti, perché di ciascuno, prima o
poi, possiamo avere bisogno e perché così salvaguardiamo i nostri interessi.
Siamo gente pratica, più che di principi.
In questa dinamica, sembra inserirsi la notizia, data
dall’ambasciatore egiziano a Roma Amr Helmy e lanciata dall’agenzia egiziana
Mena, di “un’intesa con l'Italia per 11 collegamenti aerei tra alcune città
italiane e Sharm El-Sheikh". Obiettivo egiziano: rilanciare il turismo nel
Mar Rosso e nel Sud del Sinai, crollato dopo che un charter russo con 224
persone a bordo fu distrutto da un’esplosione poco dopo il decollo da Sharm
nell’ottobre 2015 – un attentato, che l’Egitto non voleva ammettere -. Il primo
volo decollerà da Milano il 1° ottobre; altre tratte sono previste da Napoli,
Palermo e Pisa.
Il turismo è uno dei settori che più hanno sofferto
per la minaccia terroristica amplificata in Egitto dalla repressione
indiscriminata del regime al-Sisi. Ma gli interessi italiani sono più forti
altrove: l’Eni gestisce Zhor, un enorme giacimento offshore, con riserve
stimate a 850 miliardi di metri cubi di gas. E nel Paese operano circa 130
aziende italiane: Edison con investimenti per due miliardi, Banca Intesa San Paolo,
che nel 2006 ha comprato Bank of Alexandria per 1,6 miliardi di dollari, Italcementi,
Pirelli, Italgen, Danieli Techint, Gruppo Caltagirone, imprese di servizi,
impiantistica, trasporti e logistica e, per il turismo, Alpitour e Valtour.
L’Italia è stata battistrada nel dare credito politico al regime al-Sisi: il primo Paese Ue a riceverlo dopo la presa di potere; e Matteo Renzi è stato il primo leader europeo a visitare l’Egitto di al-Sisi ed a tornarci.
L’Italia è stata battistrada nel dare credito politico al regime al-Sisi: il primo Paese Ue a riceverlo dopo la presa di potere; e Matteo Renzi è stato il primo leader europeo a visitare l’Egitto di al-Sisi ed a tornarci.
In Libia, la presenza è meno articolata e, da cinque
anni in qua, più frenata. Ma l’Eni è il capofila d’un tessuto imprenditoriale
italiano comunque fitto.
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