Scritto per www.GpNewsUsa2016.eu e Formiche.net lo 04/09/2016
Per Barack Obama, è l’ora dei commiati. Ma il
presidente vuole ancora lasciare il segno e cerca, quando può, di consegnare al
suo successore un Mondo migliore: all'ultima missione in Asia e all'ultimo G20
del suo doppio mandato, Obama firma, a Hangzhou, col collega cinese Xi Jinping,
l’accordo di Parigi sul cambiamento climatico.
La firma apposta dal presidente Obama significa che
gli Stati Uniti lo rispetteranno, ma non vuole dire che arriveranno in fretta
alla ratifica parlamentare: il Congresso a maggioranza repubblicana non darà
questa soddisfazione all'Amministrazione democratica, in una stagione
elettorale. E se poi il prossimo inquilino della Casa Bianca fosse Donald
Trump, che ancora contesta l’influenza umana sui cambiamenti climatici, la
sopravvivenza dell’intesa sarebbe a rischio. Hillary Clinton, invece, condivide
l’operato di Obama, anche se, in queste ore, non lo sbandiera troppo.
La stagione elettorale, infatti, non è la più
favorevole ai grandi accordi internazionali, specie a quelli nel segno della
libertà degli scambi: il Tpp, che riguarda il Pacifico, sopravvive perché è già
stato concluso (ma di ratifica non si parla); il Ttip, che riguarda l’Atlantico
e quindi l’Europa, rallenta, se non affonda. Trump, che vuole pure rivedere il
Nafta, come minimo li rinegozierebbe; Hillary, che in campagna accentua i toni
protezionistici, non li spinge.
La firma di Usa e Cina, i due Paesi più inquinanti,
rafforza, comunque, i presupposti perché l’intesa sul clima entri presto in
vigore, magari addirittura entro fine anno: il segretario generale dell'Onu Ban
Ki Moon invita tutti gli Stati coinvolti a New York il 21 settembre, all'Assemblea
generale delle Nazioni Unite.
L'accordo diventerà effettivo 30 giorni dopo la
ratifica da parte di almeno 55 Paesi, le cui emissioni di gas serra siano almeno
il 55% del totale – Usa e Cina da soli fanno il 39% -. Il testo di Parigi è
stato siglato da oltre 175 Paesi – mancano però all'appello Paesi
energeticamente importanti come Arabia saudita, Iraq, Siria, Nigeria, Kazakhstan,
Uzbekistan e vari altri -; e almeno 34 Paesi si sono impegnati a ratificarlo
entro il 2016 – l’Italia fa sapere che intende stringere i tempi -.
Finora, secondo il sito dell'Onu, solo 24 Paesi hanno
concluso il processo, per lo più piccoli Stati insulari del Pacifico molto a
rischio per la crescita del livello delle acque oceaniche, ma che rappresentano
solo l'1,08% delle emissioni globali.
"A Parigi, abbiamo deciso di salvare il
Pianeta", ha detto Obama, apponendo la firma all'accordo sulla riduzione
delle emissioni inquinanti. Poche ore prima, il Parlamento cinese aveva ratificato
l’intesa: la Cina è il Paese più sollecitato dagli impegni di Parigi, perché
attualmente il 70% della sua elettricità viene dal carbone. Ban, presente alla
cerimonia, ha commentato: "Se Paesi come Cina e Usa sono pronti ad
esercitare la leadership con l'esempio è possibile creare un mondo migliore”.
Clima:
i punti dell'accordo raggiunto a Parigi - Questi i punti
salienti dell'accordo sul clima raggiunto il 12 dicembre 2015 a Parigi alla 21a
conferenza mondiale: l’intesa pone obiettivi ambiziosi ed efficaci, ma resta spesso
vaga sugli strumenti per raggiungerli. Si tratta di bloccare l'innalzamento
della temperatura "ben al di sotto dei 2 gradi" rispetto all'era
preindustriale e di fare tutti gli sforzi possibili per non superare 1,5 gradi.
Ciò implica ridurre almeno d’un terzo la quantità di carbonio immessa nell'atmosfera
bruciando combustibili fossili e deforestando.
I Paesi industrializzati si sono impegnati ad
alimentare, a partire dal 2021, un fondo annuo da 100 miliardi di dollari (con
un meccanismo di crescita programmata) per trasferire tecnologie pulite in quei
Paesi non in grado di fare da soli il salto verso la green economy. Sono pure
previsti rafforzamenti periodici degli obiettivi di riduzione fissati
volontariamente dai singoli Paesi. L’intesa avrà una prima verifica nel 2018 e
una prima revisione vera e propria nel 2023 per rivedere al rialzo gli
obiettivi di riduzione della CO2 (le revisioni si susseguiranno ogni cinque
anni).
Greenpeace, “punto partenza, non di arrivo” – Per Greenpeace,
la firma di Usa e Cina “è un segnale molto forte per tutto il Pianeta. Gli
impegni presi nel dicembre 2015 a Parigi si stanno trasformando da semplici
accordi in azioni concrete; e l'entrata in vigore del trattato è ora molto più
vicina. Ciò non deve però essere visto come un punto di arrivo, ma come un punto
di partenza".
Usa e Cina – dice Greenpeace - dovranno ora aumentare
le proprie ambizioni e velocizzare l'adozione di provvedimenti utili a evitare
le conseguenze peggiori dei cambiamenti climatici. Inoltre, dovranno fare
pressione a livello internazionale perché le ratifiche dell’accordo si completino
il prima possibile.
Il G20 offre anche alle altre 18 principali economie del Pianeta la possibilità di mostrare come intendano difendere il clima. E Greenpeace sollecita Ue e Italia alle rispettive ratifiche. (fonti vv - gp)
Il G20 offre anche alle altre 18 principali economie del Pianeta la possibilità di mostrare come intendano difendere il clima. E Greenpeace sollecita Ue e Italia alle rispettive ratifiche. (fonti vv - gp)
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