Scritto per Metro dell'11/09/2014
Tredici anni
dopo, il Mondo non pare più sicuro. E non lo è. Anzi, nel 2001, un istante
prima che scattasse l’attacco all’America di al Qaeda, ci sentivamo tutti molto
più sicuri di adesso. Almeno noi in Occidente: impegnati a raccontarci che la
storia era finita dopo che avevamo vinto l’ultima guerra, quella fredda;
incapaci di cogliere i segnali d’allarme che erano già venuti e che
continuavano a venire da Nairobi e da Dar es Salam, dall’Afghanistan e dallo
Yemen.
Anzi, ora
scopriamo –o, meglio, riscopriamo, perché ce ne eravamo già accorti- che le
scelte fatte, da allora, per rendere il Mondo più sicuro, con l’intervento in Afghanistan,
l’invasione dell’Iraq, prima la visione dello scontro fra civiltà, poi
l’apertura al dialogo, l’appoggio alle Primavere arabe e poco dopo la loro
negazione, non sono state quelle giuste. Anzi, si sono rivelate in buona parte
controproducenti.
Non che non lo
sapessimo, che ogni bomba che cadeva sull’Iraq invaso con falsi pretesti
uccideva persone e generava grappoli di terroristi. O che la democrazia non
s’esporta da un giorno all’altro contro la volontà dei popoli sulla punta delle
baionette, o sulle torrette dei carrarmati. Il passaggio di consegne alla Casa
Bianca tra Bush e Obama ci aveva solo illuso che la pagina del terrore fosse
stata chiusa e quella del dialogo aperta.
Adesso, invece,
ci troviamo di nuovo attaccati da un nemico che spesso è l’amico di ieri, come
accade sovente nel girone infernale del Medio Oriente: contro l’integralismo
sunnita, abbiamo alleati scomodi, l’Iran degli ayatollah e la Siria di
al-Assad, o le monarchie del Golfo imbarazzanti per molti versi per il loro
oscurantismo, o ancora l’imbelle regime iracheno lascito dell’occupazione – in
attesa di vedere all’opera il nuovo governo-. E, intanto, la macchia
dell’insicurezza s’allarga sull’Europa: il conflitto in Ucraina ripropone un clima
da Guerra Fredda tra l’Occidente e la Russia.
Obama sceglie
l’anniversario dell’11 Settembre per annunciare l’attacco al Califfato, che
semina, sul terreno e sul web, odio e orrore. Il Nobel per la pace va alla guerra,
con più determinazione, forse, delle altre volte. La lunga guerra del suo
predecessore, che lui voleva finire, ricomincia: durerà “almeno tre anni”, sarà
un suo lascito al suo successore.
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