P R O S S I M A M E N T E

Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore - Buone Feste - Sereno Natale - Un 2017 Migliore

giovedì 18 settembre 2014

Scozia: il sì una tegola per Ue e presidenza italiana

Scritto per EurActiv.il il 17/09/2014, integra pezzi per Metro 18/09 e Formiche 17/09 -vedi-

L’esito del referendum di domani sull'indipendenza della Scozia potrebbe sconvolgere l’agenda dell'Ue dei prossimi mesi e anni ed appesantire di colpo quella della presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Unione.

Una vittoria degli indipendentisti nel referendum in Scozia porterebbe da un giorno all'altro l’Unione europea su un terreno giuridico e procedurale del tutto inesplorato e in larga parte neppure previsto dai Trattati.

Un successo dei sì darebbe, inoltre, una forte spinta ai movimenti indipendentisti in altri Stati Ue, cominciando con l’esaltare la legittimità delle rivendicazioni della Catalogna, che il 9 novembre terrà un referendum sull'indipendenza non autorizzato dal governo spagnolo.

Ma l’effetto a catena potrebbe poi farsi sentire in Belgio –dove l’indipendentismo fiammingo è ben vivo-, o in Italia –alimentando le fantasie venete e padane-, o ancora fra i baschi o i bretoni.

Per contro, la vittoria dei sì potrebbe pure pesare sull'eventuale referendum britannico, previsto entro il 2017, per confermare, o meno, l’adesione all'Unione. Gli scozzesi sono più europeisti della media dei cittadini britannici e, senza di loro, le possibilità che Londra si separi dall’Ue sono nettamente più alte.

La cosa più simile mai avvenuta nella storia dell’integrazione è la decisione della Groenlandia, negli Anni Ottanta, d’uscire dall'allora Comunità europea: la Groenlandia, un territorio danese, lo decise con un referendum, che ridusse di colpo della metà la superficie della Cee –un deserto di ghiaccio: gli abitanti erano appena 50mila circa-.

La Groenlandia, però, lasciò la Comunità senza separarsi dalla Danimarca. La Scozia, invece, vorrebbe separarsi dalla Gran Bretagna, ma non lasciare l’Ue.

Sull'iter da seguire nel caso della Scozia, se sceglierà l’indipendenza, gli specialisti hanno opinioni contrastanti. E’ possibile che la presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Unione sia indotta a convocare d’urgenza riunioni ‘ad hoc’ per discuterne: un Vertice straordinario è un’ipotesi plausibile.

Nell'attuale contesto di fragilità istituzionale dell’Ue, con l’avvicendamento ormai imminente, il 1° novembre, tra la Commissione uscente e la nuova presieduta da Jean-Claude Juncker, la grana scozzese sarebbe ben più di un granello di sabbia negli ingranaggi dell'eurocrazia e rischierebbe di fare passare in secondo piano dossier economicamente e socialmente urgenti e rilevanti.

Gli ultimi sondaggi della stampa britannica danno i no all'indipendenza in risalita e in vantaggio sui sì (52% a 48%), senza però tenere conto della fetta d’elettori indecisi –almeno il 10%-,  le cui schede saranno quindi determinanti. L’attesa è di una partecipazione record: il fronte del sì mette in campo un esercito di volontari per smuovere gli incerti.

Nella campagna elettorale alle ultime battute, l’Ue è stata estremamente discreta, diversamente dagli Stati Uniti: la Casa Bianca ha esplicitamente detto di preferire una Gran Bretagna unita, cioè un alleato forte.

I leader politici britannici dei tre maggiori partiti giocano, all’unisono, la carta dell’unità promettendo una maggiore autonomia. La regina Elisabetta auspica che gli scozzesi “ci pensino bene”, all’ora del voto. Il premier Cameron li invita a “non fare a pezzi” la famiglia britannica, definisce l’indipendenza “un doloroso divorzio”, ricorda che la grandezza britannica è anche scozzese.

Ma la politica sa pure usare argomenti economici concreti, che possono andare diritto al cuore degli scozzesi: il nazionalismo rischia di spezzare il welfare, la sterlina non potrà più essere moneta scozzese, le frontiere non saranno necessariamente aperte. Così che gli indipendentisti parlano d’intimidazione.

Se vinceranno i sì, la Scozia diventerà formalmente indipendente il 24 marzo 2016, anniversario dell’unificazione nel 1707 fra le due corone nel 1707. Sulla carta, c’è dunque tempo, per mettere a punto gli aspetti istituzionali, economici e procedurali.

Economicamente, la Scozia avrebbe il controllo di oltre l’80% del petrolio e del gas del Mare del Nord, ma non beneficerebbe più della redistribuzione del reddito britannico e dovrebbe invece accollarsi una quota del debito complessivo del Regno Unito secondo criteri non ancora definiti, che terranno conto del numero di abitanti  e del Pil complessivo.

Finanziariamente, la Scozia potrebbe decidere di adottare l’euro, ma una scelta del genere non sarebbe automatica: per il presidente della Commissione europea José Manuel Barroso, il Paese dovrebbe rinegoziare il suo ingresso nell'Unione europea, così come alla Nato e all’Onu. E Londra, in sede Ue, avrebbe un diritto di veto sull'ammissione degli scozzesi.

Tra gli elementi di tensione, c’è pure la destinazione dei missili nucleari Trident, attualmente collocati in Scozia nella base di Faslane, e la riorganizzazione delle Forze Armate.

Il sì avrebbe ripercussioni anche sul resto del Regno Unito. Dal punto di vista economico Londra perderebbero l’accesso agli approvvigionamenti ed agli introiti del gas e del petrolio scozzesi. Dal punto di vista politico i laburisti sarebbero indeboliti, perché storicamente la Scozia è sempre stata più laburista della media britannica: nelle ultime elezioni, su 59 deputati eletti in Scozia, 49 erano laburisti e solo uno conservatore. Nel contempo, però, una vittoria degli indipendentisti intaccherebbe la legittimità del premier conservatore David Cameron, costringendolo verosimilmente a dimettersi.

Nessun commento:

Posta un commento