L’esito del referendum di domani sull'indipendenza
della Scozia potrebbe sconvolgere l’agenda dell'Ue dei prossimi mesi e anni ed
appesantire di colpo quella della presidenza di turno italiana del Consiglio
dell’Unione.
Una vittoria degli indipendentisti nel referendum
in Scozia porterebbe da un giorno all'altro l’Unione europea su un terreno
giuridico e procedurale del tutto inesplorato e in larga parte neppure previsto
dai Trattati.
Un successo dei sì darebbe, inoltre, una forte spinta ai movimenti indipendentisti in altri
Stati Ue, cominciando con l’esaltare la legittimità delle rivendicazioni della
Catalogna, che il 9 novembre terrà un referendum sull'indipendenza non
autorizzato dal governo spagnolo.
Ma l’effetto a catena
potrebbe poi farsi sentire in Belgio –dove l’indipendentismo fiammingo è ben
vivo-, o in Italia –alimentando le fantasie venete e padane-, o ancora fra i
baschi o i bretoni.
Per contro, la vittoria
dei sì potrebbe pure pesare sull'eventuale referendum britannico, previsto
entro il 2017, per confermare, o meno, l’adesione all'Unione. Gli scozzesi sono
più europeisti della media dei cittadini britannici e, senza di loro, le
possibilità che Londra si separi dall’Ue sono nettamente più alte.
La cosa più simile mai avvenuta nella storia
dell’integrazione è la decisione della Groenlandia, negli Anni Ottanta,
d’uscire dall'allora Comunità europea: la Groenlandia, un territorio danese, lo
decise con un referendum, che ridusse di colpo della metà la superficie della
Cee –un deserto di ghiaccio: gli abitanti erano appena 50mila circa-.
La Groenlandia, però, lasciò la Comunità senza
separarsi dalla Danimarca. La Scozia, invece, vorrebbe separarsi dalla Gran
Bretagna, ma non lasciare l’Ue.
Sull'iter da seguire nel caso della Scozia, se
sceglierà l’indipendenza, gli specialisti hanno opinioni contrastanti. E’
possibile che la presidenza di turno italiana del Consiglio dell’Unione sia
indotta a convocare d’urgenza riunioni ‘ad hoc’ per discuterne: un Vertice
straordinario è un’ipotesi plausibile.
Nell'attuale contesto di fragilità istituzionale
dell’Ue, con l’avvicendamento ormai imminente, il 1° novembre, tra la
Commissione uscente e la nuova presieduta da Jean-Claude Juncker, la grana
scozzese sarebbe ben più di un granello di sabbia negli ingranaggi
dell'eurocrazia e rischierebbe di fare passare in secondo piano dossier
economicamente e socialmente urgenti e rilevanti.
Gli ultimi sondaggi della stampa britannica danno
i no all'indipendenza in risalita e in vantaggio sui sì (52% a 48%), senza però
tenere conto della fetta d’elettori indecisi –almeno il 10%-, le cui schede saranno quindi determinanti.
L’attesa è di una partecipazione record: il fronte del sì mette in campo un
esercito di volontari per smuovere gli incerti.
Nella campagna elettorale alle ultime battute,
l’Ue è stata estremamente discreta, diversamente dagli Stati Uniti: la Casa
Bianca ha esplicitamente detto di preferire una Gran Bretagna unita, cioè un
alleato forte.
I leader politici britannici dei tre maggiori
partiti giocano, all’unisono, la carta dell’unità promettendo una maggiore
autonomia. La regina Elisabetta auspica che gli scozzesi “ci pensino bene”,
all’ora del voto. Il premier Cameron li invita a “non fare a pezzi” la famiglia
britannica, definisce l’indipendenza “un doloroso divorzio”, ricorda che la
grandezza britannica è anche scozzese.
Ma la politica sa pure usare argomenti economici
concreti, che possono andare diritto al cuore degli scozzesi: il nazionalismo
rischia di spezzare il welfare, la sterlina non potrà più essere moneta
scozzese, le frontiere non saranno necessariamente aperte. Così che gli
indipendentisti parlano d’intimidazione.
Se vinceranno i sì, la Scozia diventerà formalmente
indipendente il 24 marzo 2016, anniversario dell’unificazione nel 1707 fra le
due corone nel 1707. Sulla carta, c’è dunque tempo, per mettere a punto gli
aspetti istituzionali, economici e procedurali.
Economicamente, la Scozia avrebbe il controllo di oltre
l’80% del petrolio e del gas del Mare
del Nord, ma non beneficerebbe più della redistribuzione del reddito britannico
e dovrebbe invece accollarsi una quota del debito complessivo del Regno Unito
secondo criteri non ancora definiti, che terranno conto del numero di
abitanti e del Pil complessivo.
Finanziariamente, la Scozia potrebbe decidere di adottare
l’euro, ma una scelta del genere non sarebbe automatica: per il presidente
della Commissione europea José Manuel Barroso, il Paese dovrebbe rinegoziare il
suo ingresso nell'Unione europea, così come alla Nato e all’Onu. E Londra, in
sede Ue, avrebbe un diritto di veto sull'ammissione degli scozzesi.
Tra gli elementi di
tensione, c’è pure la destinazione dei missili nucleari Trident, attualmente
collocati in Scozia nella base di Faslane, e la riorganizzazione delle Forze
Armate.
Il sì avrebbe
ripercussioni anche sul resto del Regno Unito. Dal punto di vista economico Londra perderebbero l’accesso agli
approvvigionamenti ed agli introiti del gas e del petrolio scozzesi. Dal punto
di vista politico i laburisti sarebbero indeboliti, perché storicamente la
Scozia è sempre stata più laburista della media britannica: nelle ultime
elezioni, su 59 deputati eletti in Scozia, 49 erano laburisti e solo uno
conservatore. Nel contempo, però, una vittoria degli indipendentisti
intaccherebbe la legittimità del premier conservatore David Cameron,
costringendolo verosimilmente a dimettersi.
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