Scritto per Formiche il 17/09/2014
L’esito del referendum di domani sull'indipendenza
della Scozia potrebbe sconvolgere l’agenda dell’Ue dei prossimi mesi e anni ed
appesantire di colpo quella della presidenza di turno italiana del Consiglio
dell’Unione.
Si entrerebbe su un terreno giuridico e
procedurale inesplorato, senza contare
che l’indipendenza della Scozia darebbe una forte spinta ai movimenti
indipendentisti in altri Stati Ue ed esalterebbe la legittimità delle
rivendicazioni della Catalogna, che il 9
novembre terrà un referendum sull'indipendenza non autorizzato dal governo
spagnolo.
Per contro, la vittoria
dei sì potrebbe pure pesare sull'eventuale referendum britannico, previsto
entro il 2017, per confermare, o meno, l’adesione all'Unione.
Gli ultimi sondaggi della stampa britannica danno
i no all'indipendenza in risalita e in vantaggio sui sì (52% a 48%), senza però
tenere conto della fetta d’elettori indecisi –almeno il 10%-, le cui schede saranno quindi determinanti.
L’attesa è di una partecipazione record: il fronte del sì mette in campo un
esercito di volontari per smuovere gli incerti.
Nella campagna elettorale alle ultime battute,
l’Ue è stata estremamente discreta, diversamente dagli Stati Uniti: la Casa
Bianca ha esplicitamente detto di preferire una Gran Bretagna unita, cioè un
alleato forte.
Per l’Unione europea, la vittoria del sì sarebbe
una iattura, se non altro per gli inediti problemi procedurali che
comporterebbe. Il caso, infatti, sarebbe senza precedenti: la cosa più simile
mai avvenuta nella storia dell’integrazione è la decisione della Groenlandia,
negli Anni Ottanta, d’uscire dall'allora Comunità europea: la Groenlandia, un
territorio della Danimarca, lo decise con un referendum, che ridusse di colpo
della metà la superficie della Cee –ma gli abitanti erano appena 50mila circa-.
La Groenlandia, però, lasciò la Comunità senza
separarsi dalla Danimarca. La Scozia, invece, vorrebbe separarsi dalla Gran
Bretagna, ma non lasciare l’Ue.
I leader politici britannici dei tre maggiori partiti
giocano, all'unisono, la carta dell’unità promettendo una maggiore autonomia.
La regina Elisabetta auspica che gli scozzesi “ci pensino bene”, all’ora del
voto. Il premier Cameron li invita a “non fare a pezzi” la famiglia britannica,
definisce l’indipendenza “un doloroso divorzio”, ricorda che la grandezza
britannica è anche scozzese.
Ma la politica sa pure usare argomenti economici
concreti, che possono andare diritto al cuore degli scozzesi: il nazionalismo
rischia di spezzare il welfare, la sterlina non potrà più essere moneta
scozzese, le frontiere non saranno necessariamente aperte. Così che gli
indipendentisti parlano d’intimidazione.
Se vinceranno i sì, la Scozia diventerà formalmente
indipendente il 24 marzo 2016, anniversario dell’unificazione nel 1707 fra le
due corone. Sulla carta, c’è dunque tempo, per mettere a punto gli aspetti
istituzionali, economici e procedurali.
Economicamente, la Scozia avrebbe il controllo di oltre
l’80% del petrolio e del gas del Mare
del Nord, ma non beneficerebbe più della redistribuzione del reddito britannico
e dovrebbe invece accollarsi una quota del debito complessivo del Regno Unito
secondo criteri non ancora definiti, che terranno conto del numero di
abitanti e del Pil complessivo.
Finanziariamente, la Scozia potrebbe decidere di adottare
l’euro, ma una scelta del genere non sarebbe automatica: per il presidente
della Commissione europea José Manuel Barroso, il Paese dovrebbe rinegoziare il
suo ingresso nell'Unione europea, così come alla Nato e all’Onu. E Londra, in
sede Ue, avrebbe un diritto di veto sull'ammissione degli scozzesi.
Il sì avrebbe ripercussioni anche sul resto del
Regno Unito. Dal punto di vista
economico Londra perderebbero l’accesso agli approvvigionamenti ed agli
introiti del gas e del petrolio scozzesi. Dal punto di vista politico i
laburisti sarebbero indeboliti, perché storicamente la Scozia è sempre stata
più laburista della media britannica: nelle ultime elezioni, su 59 deputati
eletti in Scozia, 49 erano laburisti e solo uno conservatore. Nel contempo,
però, una vittoria degli indipendentisti intaccherebbe la legittimità del
premier conservatore David Cameron, costringendolo verosimilmente a dimettersi.
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