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venerdì 2 gennaio 2015

2015: accadde domani, tra guerre che restano e (possibili) sorprese

Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 02/01/2015

La ‘guerra al terrorismo’, una costante dopo l’attacco all'America dell’11 Settembre 2001, segna,  anno dopo anno, nelle sue varie declinazioni, il XXI Secolo: l’Afghanistan, l’Iraq, il Califfato, intrecciandosi volta a volta con il persistente conflitto tra israeliani e palestinesi e con gli sviluppi spesso cruenti delle Primavere islamiche tra Siria e Libia. E neppure gli appelli di Papa Francesco nella Giornata della Pace, celebrata il 1° gennaio con rito benaugurante, non serviranno a farla cessare.

Per gli analisti dell’Ispi, l’Istituto di Studi politici internazionali, “raramente il mondo è stato chiamato ad affrontare contemporaneamente così tante sfide e così tante minacce alla sua stabilità”. Il 2014 lascia in eredità “un sistema politico internazionale scosso da una serie di crisi, nessuna delle quali ha ancora trovato una soluzione e le ricadute delle quali peseranno sull’avvenire”: vale per la sfida integralista del sedicente Stato Islamico, l’Is, e per il confronto tra Russia e Ucraina, che coinvolge Stati Uniti e Unione europea.


Certo, ci sono poi le crisi che si risolvono quando te le sei quasi dimenticate, da tanto durano, com’è stato per il disgelo tra Usa e Cuba, dopo mezzo secolo di embargo economico e diplomatico; oppure le crisi che maturano lentamente una soluzione, come quella con l’Iran. L’accordo sul nucleare tra i ‘5 + 1’ e Teheran pare a portata di mano e il presidente Usa Barack Obama non esclude per il 2015, e comunque entro la fine del suo mandato, la riapertura dell'ambasciata in Iran. "Mai dire mai", dice in un'intervista di fine anno alla Npr, il servizio pubblico audiovisivo americano.

Afghanistan - Oltre 13 anni dopo l'inizio della guerra (7 ottobre 2001), la più lunga mai combattuta dagli Stati Uniti, il 31 dicembre è finita la missione di combattimento in Afghanistan dell’Isaf, l’International Security Assistance Force Nato. Obama evita i trionfalismi e ammette che quel Paese resta "un posto pericoloso", nonostante alcuni risultati siano stati ottenuti: la distruzione dei santuari di al Qaeda e l’eliminazione di Osama bin Laden (ucciso dai Navy Seals ad Abottabad in Pakistan la notte tra l’1 e il 2 maggio 2011).

Finita l'operazione 'Enduring Freedom', è subito iniziata l'operazione 'Resolute Support': per i circa 9.800 soldati Usa che resteranno sul territorio afghano, cambia poco. Il ‘comandante in capo’ li ha infatti autorizzati a missioni di combattimento, almeno per un altro anno, nel tentativo di evitare l’errore fatto in Iraq: ‘tutti a casa’ a fine 2012, con il Paese sprofondato nel caos e nella violenza e, nel giro di due anni, le milizie del Califfato –quasi- al potere.

Nel 2015, le forze Usa rimaste in Afghanistan potranno ancora attaccare i talebani o altri gruppi che minaccino militari o civili americani o il governo afghano, e utilizzare contro di loro caccia F-16, bombardieri B-1B e droni Predator e Reaper. Invece, la Nato, con meno di 3.000 uomini, farà solo addestramento. Il commiato dell’Isaf a Kabul è stato tenuto segreto fino all'ultimo per evitare attentati: un segno dell’insicurezza che persiste nel Paese.

La missione dell'Isaf ha subito dal 2001 3.485 perdite -2200 circa i caduti americani, una quarantina gli italiani-. L'Italia è ancora presente in Afghanistan con 1.411 militari, dislocati principalmente nella base di Herat e a Kabul: saranno gradualmente ritirati, ma 750 resteranno per l’addestramento.
La responsabilità della sicurezza pesa ora sui 350.000 uomini dell'esercito afghano. Ma l’instabilità del Paese è attestata dal fatto che le vittime civili, spesso causate da attacchi talebani, sono cresciute del 19% nel 2014, quelle tra gli agenti della polizia e dell'esercito sono state 4.600. Pure in politica è caos: l'Afghanistan non ha un governo e ci sono minacce di impeachment per il nuovo presidente Ashraf Ghani e il premier Abdullah Abdullah.

Califfato – La lotta contro il Califfato, instauratosi tra Iraq e Siria, profittando dal caos politico, etnico e religioso a Baghdad e della guerra civile a Damasco, proseguirà nel 2015, per contenere l’avanzata degli integralisti e per evitare il contagio –già esteso allo Yemen e in Libia, in Nigeria e nel Corno d’Africa-. Gli jihadisti accendono focolai di terrorismo in Occidente: ‘lupi solitari’ hanno già colpito in America, in Europa e in Australia; e continueranno a farlo.

Per Obama, gli Stati Uniti e la coalizione da loro guidata stanno realizzando progressi “lenti ma decisivi”, nonostante il coinvolgimento nel conflitto resti limitato a raid aerei e bombardamenti. L’invio di truppe sul terreno resta al momento escluso, nonostante i vertici militari abbiano già chiarito che l’impiego della sola aviazione non può garantire una vittoria.

Il presidente non prende neppure in considerazione l'ipotesi di un'alleanza con il presidente siriano Bashar al-Assad, in funzione anti-Califfato. Gli Stati Uniti continuano a informare il regime siriano quando operano contro i miliziani nel suo spazio aereo, ma "non ci sono piani per andare oltre", perché –spiega Obama- "Assad ha assassinato centinaia di migliaia di suoi cittadini e ha perso legittimità per la maggioranza del Paese".

Israeliani-palestinesi – Se la guerra al terrorismo continuerà nel 2015, non c’è prospettiva che scoppi la pace tra israeliani e palestinesi. L’ultimo smacco all'Onu per le aspirazioni palestinesi lascia la situazione in stallo e rischia di acuire i contrasti nei Territori e a Gaza tra moderati ed estremisti, mentre la scadenza elettorale del 17 marzo in Israele paralizza i negoziati e impedisce concessioni. Se ne riparlerà in primavera, ma andrà già bene se il 2015 trascorrerà senza scontri aperti e cruenti come quelli dell’estate scorsa.

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