Venti di colpo di Stato nello Yemen, un Paese che ospita centri di
indottrinamento e addestramento dell’integralismo terrorista e che, almeno dal
2000, è una maglia importante della rete jihadista, pur recitando da amico
dell’America e dell’Occidente. Le connessioni yemenite degli assassini francesi
di Charlie Hebdo rendono più fragile e più precaria la situazione nel Paese, un
intreccio di tensioni etniche e religiose, tribali e politiche.
Nel pomeriggio d’una giornata cruenta, dopo almeno cinque ore d’intensi
combattimenti, un esile ‘cessate-il-fuoco’ tra miliziani sciiti e forse
lealiste pareva tenere a Sanaa, la capitale, dopo che c’erano stati scontri
tutt’intorno a un palazzo presidenziale. Tragico il bilancio: almeno nove morti
e decine di feriti -67, molti dei quali civili, alcuni in condizioni
gravissime, secondo fonti ufficiali-.
Riuniti intanto a Bruxelles, i ministri degli Esteri dei 28 dell’Ue si
scambiavano dati e valutazioni sui ‘foreign fighters’ –quelli europei sarebbero
tra i 3 e i 5 mila- che costituiscono “una minaccia per la sicurezza”, e
ribadivano l’opportunità di sbloccare in fretta nuove norme su una banca data
dei passeggeri aerei, attualmente frenate dal Parlamento europeo. Inoltre, le
delegazioni dell’Ue in diversi Paesi esteri disporranno d’ora in poi di
‘attachés alla sicurezza’, primo nucleo d’un servizio d’informazioni europeo. Balbettii
politici, se confrontati con la virulenza della minaccia.
Alla tregua a Sanaa si arriva dopo una riunione tra il presidente Abd
Rabbo Mansour Hadi e alcuni suoi ministri e i miliziani sciiti, conosciuti con
il nome di Houti, o Ansaruallah. Il ‘cessate-il-fuoco’ è confermato da
testimoni oculari e da abitanti della capitale, citati dalle agenzie
internazionali. Non è chiaro se l’ex presidente Saleh, a suo tempo ricevuto
nello Studio Ovale della Casa Bianca, abbia un ruolo, e quale, nel precipitare
della situazione.
Gli scontri di ieri seguono di 48 ore il rapimento, da parte dei
miliziani sciiti, del capo di gabinetto del presidente Hadi, Ahmed Awad ben
Moubarak, uno degli artefici della riforma costituzionale, che prevede la
trasformazione dello Yemen in uno Stato federale con sei regioni.
I miliziani sciiti sono cresciuti in forza e numero dopo l’ingresso a
Sanaa il 21 settembre. Essi contestano il progetto di nuovo assetto statale,
perché li priverebbe di uno sbocco sul Mar Rosso.
Nella loro avanzata, ieri mattina, i miliziani Houthi hanno pure preso una
base militare sulla collina di Nahdain, che sovrasta il complesso presidenziale,
permettendo tuttavia ai soldati regolari d’andarsene con le loro armi, e hanno
occupato le sedi della televisione e
dell'agenzia di Stato Saba e l'abitazione del capo della sicurezza del
presidente Hadi. I guerriglieri
sciiti hanno pure attaccato il convoglio del premier Khaled Bahah, che tuttavia
sarebbe rimasto illeso.
Il ministro
dell'Informazione, Nadia al-Saqqaf, ha esplicitamente parlato di "colpo di
Stato tentato", prima che la situazione si acquietasse. Impossibile,
tuttavia, prevedere gli sviluppi della situazione, né dire quale controllo il
governo legittimo effettivamente eserciti sul Paese, dove al Qaida mantiene da
tempo una presenza importante. Proprio ad al Qaida nello Yemen si sono
richiamati, il 7 gennaio, i fratelli Kouachi, compiendo a Parigi la loro
strage.
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