Per i repubblicani, sembrava spianata la via della Casa
Bianca dopo la larga vittoria del 4 novembre nelle elezioni di Mid-term.
Invece, dentro il partito s’è già scatenata la corsa alla candidatura, che
accentua divisioni e rivalità, soprattutto in assenza d’un ‘campione’ forte e
riconosciuto: una decina almeno i pretendenti alla ‘nomination’, nessuno dei
quali ha per il momento una visibilità nazionale. I democratici, invece, sono
più compatti e partono da meno lontano: due, massimo tre, i contendenti già
emersi, profili forti e solida notorietà, l’immarcescibile Hillary Clinton, lo
stagionato Joe Biden, la grintosa Elizabeth Warren.
Poi, c’è il fattore Obama, un fattore a sorpresa. Dopo il
voto di Mid-term, il presidente era divenuto un’ameba
politica, condannato a fare l’ ‘anatra zoppa’ nell’ultimo biennio alla Casa
Bianca. Pareva persino
fosse perseguitato da una ‘legge di Murphy’ applicata alla sua Amministrazione
sui fronti della politica interna degli Stati Uniti. Invece, a dicembre Barack Obama ha preso l’iniziativa, deciso
a dettare lui l’agenda al Congresso che s’insedierà a gennaio, con maggioranza
repubblicana sia alla Camera che al Senato.
Obama, da ameba politica ad asso
pigliatutto
Il presidente pareva ko, ma covava
la metamorfosi. Prima, ha lanciato la riforma dell’immigrazione, con
l’equivalente Usa d’un decreto legge, costringendo il Congresso, riluttante, ad
occuparsene; poi, ha abbattuto il muro diplomatico delle relazioni con Cuba,
passando al Congresso la patata bollente della fine dell’embargo. L’opposizione
repubblicana fa la voce grossa, ma su entrambi i fronti avrà problemi grossi a
fare deragliare le iniziative presidenziali.
... di qui in avanti, passaggi da www.GpNewsUsa2016.eu ...
L’identikit
dei candidati 2016
Nel tracciare l’identikit dei candidati alla
nomination, bisogna proprio partire dalla loro capacità d’occupare il centro,
tenendo nel contempo unito e mobilitato il loro partito. Per il repubblicani è
più difficile, perché loro sono una galassia di componenti, dove populismo del
Tea Party e fondamentalismo degli evangelici hanno una forte capacità di
mobilitazione, ma anche d’alienazione –dell’elettorato moderato-.
Un altro fattore è che l’America s’è stancata
d’un comandante in capo che tentenna più di quanto non decida e che pencola al
dialogo non sapendo farsi ascoltare. Nonostante la metamorfosi d’Obama, i democratici prenderanno sempre più le distanze dalla Casa
Bianca nella corsa 2016.
Alla fine, i candidati potrebbero avere nomi antichi, se
dovessero essere, com’è possibile, Hillary Rodham Clinton, ex first lady, ex
senatrice dello Stato di New York, ex segretario di Stato, ma soprattutto
candidata alla nomination democratica battuta nel 2008 da Obama; e appunto Jeb
Bush, il ‘cocco di famiglia’ destinato alla Casa Bianca da papà George, ma che
nel 2000 si fece bruciare dal fratellone su cui nessuno in casa scommetteva un
cent.
Bush e Rubio a parte, i repubblicani sono alla ricerca d’un
leader: l’usato - più o meno - sicuro conservatore se ne sta per ora al
coperto. Chris Christie, governatore del New Jersey, Ted Cruz, senatore del
Texas, Mike Huckabee, ex governatore dell’Arkansas, Sarah Palin, candidata
vice-presidente 2008, Rick Perry, ex governatore del Texas, Mitt Romney, candidato
presidente 2012, Paul Ryan, candidato vice-presidente 2012, Rick Santorum, ex
senatore della Pennsylvania, giocano a nascondino e hanno tutti scheletri
nell'armadio.
i espone di più, confermando che negli Usa la politica è
anche un affare di famiglia, ‘Rand’ Paul, senatore del Kentucky, un
‘conservatore costituzionale’, figlio del deputato repubblicano del Texas Ron
Paul, un libertario che nel 2012 fu l’ultimo ad arrendersi alla nomination di
Romney.
Nei prossimi mesi fioccheranno
nomi nuovi. Ai repubblicani, manca una donna credibile. Dubito che possa esserlo Shelley Moore
Capito, neo-senatrice della West Virginia, un colonnello che, quand’era
ragazza, scuoiava il maiale.
Nessun commento:
Posta un commento