Scritto per Il Fatto Quotidiano dello 07/01/2015
E tre. Dopo la riforma dell’immigrazione e la fine dell’embargo
contro Cuba, il presidente Obama getta in pasto al nuovo Congresso a trazione
repubblicana un terzo soggetto scomodo per i suoi avversari politici: la
‘tolleranza zero’ sulle violenze sessuali nelle forze armate. Sono temi che non
piacciono agli elettori conservatori, ma cui la maggioranza degli americani è
sensibile e favorevole: mettere nell’angolo l’Amministrazione democratica su
quei soggetti, vorrebbe dire collezionare nei prossimi due anni vittorie di
Pirro; e perdere poi la guerra che conta, le presidenziali nel 2016.
L’ultimo fronte il presidente democratico lo apre con l’aiuto di
due deputate democratiche toste, entrambi reduci dall’Iraq. Per la stampa Usa,
una caratteristica del nuovo Congresso che s’è appena insediato è proprio la
presenza alla Camera e al Senato di donne agguerrite, determinate a battersi su
un aspetto spinoso della vita militare, e del loro passato, le violenze sulle
donne in uniforme e la tentazione d’insabbiare il problema.
Finora, il punto di vista ‘liberal’ americano sul tema era
rappresentato soprattutto da Melissa, la soldatessa della striscia ‘Doonesbury’
di Garry Trudeau. Adesso, le deputate democratiche Tammy Duckworth
dell’Illinois e Tulsi Gabbard, delle Hawaii promettono battaglia in tv, prima
ancora che dagli scranni del Congresso, e dichiarano che il sistema attuale
“non va”.
Intervistate dalla Cnn, la Duckworth e la Gabbard criticano il
modo in cui l’apparato militare gestisce problema e denunce. Dice la Duckworth:
“Voglio che le forze armate siano un posto dove le donne possano avere successo
e realizzarsi come ho fatto io … E i vertici militari hanno ormai dimostrato di
non essere capaci di risolvere il problema”. E la Gabbard incalza: insiste
perché le vittime di violenze possano denunciare l’avvenuto senza rischiare
ritorsioni e senza subire pressioni.
Il presidente Obama ha già dato il suo appoggio a una scelta di
‘tolleranza zero’: “Chi si rende responsabile di violenza sessuale, deve portarne
la responsabilità, essere perseguito, destituito, giudicato da una corte
marziale, buttato fuori e congedato con disonore. Punto e basta”.
Difficile, per le donne repubblicane del nuovo Congresso,
dissociarsi da questa posizione, anche quando sono l’espressione di mondi aspri
e socialmente conservatori, come la neo-senatrice della West Virginia Shelley
Wellons Moore Capito, una che ha studiato in una scuola militare e che, da
ragazza, “scuoiava il maiale”: la prima, e fino al 2011 unica, repubblicana
mandata a Washington dal suo Stato e, ora, in assoluto, la prima senatrice.
I veterani al Congresso non sono una novità: gli americani li
eleggono a manciate, ad ogni voto. E li mandano pure alla Casa Bianca: solo per
restare alla storia recente, neppure sette anni dopo la fine della Seconda
Guerra Mondiale, lo stratega dello sbarco in Normandia, il generale Dwight
‘Ike’ Eisenhower, diventava presidente degli Stati Uniti. E poi lo sono stati
Kennedy, Reagan, Bush sr., tutti in guerra nel Pacifico.
I reduci vanno a generazioni. Quelli del Vietnam, veterani d’una
guerra perduta, non sono mai divenuti presidenti, se non al cinema – erano
piloti in Vietnam i presidenti di ‘AirForceOne’ e di ‘Independence Day’ -. Alla
Casa Bianca, sono finiti gli imboscati di quel conflitto, Clinton prima, Bush
jr poi. Invece, chi in Vietnam c’è andato, è stato decorato, è stato anni
prigioniero, come il democratico John Kerry, o il repubblicano John McCain,
diventa sì senatore, ma poi alle presidenziali le becca: da un imboscato, o da
uno della generazione già successiva.
Il XXI Secolo appartiene, politicamente, ai reduci della Guerra
del Golfo e, poi, in Afghanistan e in Iraq. Molti militano fra i repubblicani,
che hanno nelle forze armate una loro roccaforte. Ma ve ne sono pure fra i
democratici, magari scomodi come la Duckworth e la Gabbard. E qualcuno potrebbe
fare già capolino nelle primarie di Usa 2016.
Il cui esito dipenderà, in parte, da quanto avverrà al Congresso
nei prossimi due anni: l’opposizione, che controlla sia la Camera che il Senato
–fatto raro, ma non inedito-, contrappone, all’agenda del presidente, una
propria agenda, che punta allo smantellamento della riforma sanitaria voluta da
Obama ed alla riduzione della spesa pubblica.
Ma i repubblicani non sono monolitici: se al Senato la leadership di Mitch McConnell appare solida, alla Camera c’è chi punta a sostituire lo speaker John Boehner, un possibile candidato alla nomination 2016.
Ma i repubblicani non sono monolitici: se al Senato la leadership di Mitch McConnell appare solida, alla Camera c’è chi punta a sostituire lo speaker John Boehner, un possibile candidato alla nomination 2016.
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