Scritto per Il Fatto Quotidiano del 13/01/2015
C’era una volta un presidente al minimo di
popolarità nei sondaggi per un inquilino dell’Eliseo e che, alle elezioni
europee del maggio scorso, aveva portato il suo partito al livello più basso
mai toccato di sostegno popolare, con i conti in rosso e un’economia che cresce
al rallentatore. C’era una volta, ma mica tanto tempo fa: una settimana fa
appena.
Poi, l’attacco terroristico contro Charlie Hebdo ha
sferzato la Francia, le ha ridato orgoglio e coraggio, le ha fatto “rialzare la
testa”, scrivevano ieri concordi i quotidiani della destra storica e della
sinistra socialista, scegliendo – quasi tutti - di puntare in prima su una foto
della marea di folla a place de la République, piuttosto che sul cordone dei
leader a braccetto per testimoniare solidarietà: è “la Francia in piedi”, è “la
libertà in marcia”.
E quel presidente bistrattato dai media e dall'opinione
pubblica, stralunato in scooter sotto il casco nelle scappatelle dalla sua
amante, ritrova la dignità di simbolo dell’unità nazionale. Nonostante le
carenze dell’intelligence che non previene, le goffaggini della polizia, la
minaccia che resta perché –dice il premier Valls- potrebbe non essere finita,
“non dobbiamo abbassare la guardia … la caccia continua”.
Non è la prima volta che accade, nella politica
mediatica dei giorni nostri. Nel 2001, gli americani stavano accorgendosi di
avere eletto –anzi, forse manco l’avevano fatto- un presidente da operetta: febbraio,
un sommergibile in emersione nel mezzo del Pacifico centra un peschereccio giapponese,
decine di vittime; aprile, un aereo spia ha una collisione in volo con un
caccia cinese, deve scendere su un aeroporto cinese, l’equipaggio e il velivolo
sono sequestrati per settimane; giugno, a Genova, il G8 si colora di sangue, è
una tragedia. Per la Casa Bianca, un filotto di smacchi.
Poi arriva l’11 Settembre 2001: improvvisamente, Bush
diventa il presidente d’un Paese in guerra, attacca l’Afghanistan, s’inventa un
pretesto per invadere l’Iraq. E la gente per anni gli va dietro, lo rielegge
persino.
In Francia, l’effetto pro-Hollande (e
pro-socialisti) potrebbe non essere così duraturo. A meno che la sferzata non
dia al presidente il carisma che non ha mai avuto. Ma la tregua da unità
nazionale, durante la quale nessuno attacca e le polemiche si stemperano, pare già
agli sgoccioli.
Se Marine Le Pen, leader del Front National, sbaglia
a uscire allo scoperto a cadaveri ancora caldi, ieri l’ex presidente battuto da
Hollande nel 2012, Nicolas Sarkozy smette i panni istituzionali e, tornato leader di parte, prova a smarcarsi dal buonismo
sull’immigrazione proprio per sottrarre voti al Front National. E salta fuori
uno scambio di sgarbi con Netanyahu, anche in sinagoga.
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